Viviamo in tempi molto strani. Viviamo in società che si dicono libere, in cui si dice che dobbiamo essere grati se possiamo esprimere liberamente quello che pensiamo, in cui si sente spesso ripetere “non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Queste cose le sentiamo dire spesso, soprattutto quando si parla dei Paesi che liberi non sono. Ce le ripetiamo come se fossero un mantra, le interiorizziamo, e presumiamo che siano vere.
Ecco, forse è arrivato il momento di cominciare a chiederci se queste cose che si dicono sulla libertà siano effettivamente alla base delle società in cui viviamo oppure se siano diventate dei vuoti contenitori.
“Scrisse post sessista contro Kamala Harris, sospeso docente della Statale di Milano”, titolano i giornali. È stato sospeso dall’insegnamento per un mese e rimarrà senza stipendio per questo stesso periodo di tempo Marco Bassani, il docente di Storia delle dottrine politiche dell’Università Statale di Milano che aveva postato sulla sua pagina Facebook, lo scorso novembre, un meme accusato di sessismo sulla neo eletta vice presidente americana Kamala Harris. Una foto della numero due di Joe Biden con la scritta (tradotta dall’inglese): “Sarà una ispirazione per le giovani ragazze dimostrando che se vai a letto con l’uomo giusto, potente e ammanicato, allora anche tu puoi essere la vice di un uomo con la demenza. È come la storia di Cenerentola”. Post che dopo poche ore il professore aveva spontaneamente rimosso, scusandosi.
Ora, non risulta che Kamala Harris abbia sporto querela per diffamazione, né risulta che sappia addirittura dell’esistenza di questo professore. Non troverete un tweet, una intervista, una sola dichiarazione in cui si lamenti di quanto pubblicato dal professore nel suo profilo privato. Si sa solo questo: il post è stato segnalato da un gruppo di studenti di sinistra, della lista universitaria Unisì-Uniti a Sinistra. Non risulta, anche qui, che Kamala Harris abbia chiesto un loro intervento, o se sia al corrente degli straordinari sforzi che profondono per rendere l’Università di Milano un posto peggiore (ricordate la storia delle risse in università? Dovettero chiamare la polizia). Non c’è alcuna difficoltà ad immaginare che condivida le loro idee: d’altronde, lei stessa si è impegnata in una raccolta fondi nel 2020 per pagare la cauzione ai manifestanti violenti di Black Lives Matter. Ricordate? Quelli che bruciavano i negozi e le stazioni di polizia, che picchiavano i passanti, che hanno ucciso cinque afroamericani nei giorni subito successivi alla morte di George Floyd. Ovviamente, la violenza è sempre giustificata se nel nome delle battaglie della sinistra. Lo dicono loro stessi. Guardate i loro post, guardate cosa scrivono. Tranquilli, Twitter non ha alcuna intenzione di intervenire contro di loro. Non sono sostenitori di Trump, quindi va tutto bene.
Vi risparmio il loro comunicato indignato, ma in sostanza suona così: il professore è un oppressore. Kamala Harris è oppressa. Qui sta il punto. Kamala Harris è oppressa. Anche loro si sentono oppressi, impotenti. Per questo hanno usato tutta la loro impotenza per scrivere al Rettore, ottenendo dal cda della Statale la sospensione del professore, e già che c’erano pure dello stipendio, per un mese. È interessante. Di solito i professori universitari in questi casi se la cavano con un richiamo, una “tiratina d’orecchie”. Ma no, in questo caso il professore ha pestato i piedi alla oppressa Kamala Harris, e siccome è l’idolo di queste persone impotenti e oppresse, ecco la massima pena possibile. Avrebbero voluto l’ergastolo, ma si sa, abbiamo ancora delle leggi in questo Paese…
A proposito di leggi. Sapete quale legge è stata applicata per sanzionare il professor Bassani? Una legge che risale al 1933… Il Regio Decreto 31/08/33 n. 1592 “Testo Unico delle leggi sull’istruzione superiore”, ad essere precisi. Curioso. 1933. Un gruppo di studenti di sinistra che chiede l’applicazione di una legge firmata niente meno che da Sua Eccellenza il Cavaliere d’Italia Benito Mussolini in persona. Esilarante. Usare una legge fascista in nome dell’antifascismo. Come anche il nostro codice penale tra l’altro: ah, indovinate quale parte politica ha una proposta di legge pronta in rampa di lancio per riformare il reato di discriminazione?
Com’è possibile che una legge del genere sia ancora nel nostro ordinamento giuridico? Dove siete antifascisti di professione? Dov’è la vostra indignazione? I picchetti, i presidi, le manifestazioni di piazza? Eppure, nel 1948 è stata approvata una Costituzione… Ricordate? Quella fondata sull’antifascismo. Perché abbiamo ancora delle leggi fasciste in vigore? Perché la sinistra in Italia ha propagandato l’antifascismo con il pugno alzato per decenni ma non si è mai battuta per abrogare queste leggi? Ci risulta di aver avuto governi di sinistra in questo Paese, e non da poco. Perché non lo hanno mai fatto? Quale è la ratio di questa legge? È utile? Per chi? All’Università Statale di Milano ne hanno discusso? Siamo tutti curiosi di ascoltare il prossimo discorso del Rettore, Elio Franzini, riguardo la Costituzione fondata sull’antifascismo. Sarà sicuramente illuminante.
“Ma non c’è il diritto ad offendere”, dirà qualcuno. Vero. Assolutamente vero. Sapete chi ha il diritto di agire quando c’è un offesa? L’offeso. Vi risulta che Kamala Harris abbia sporto querela? Il gruppo di studenti di sinistra dell’Università di Milano è legittimato ad intervenire per tutelare la vicepresidente Usa? L’Università Statale di Milano lo è altrettanto? “Ma serve a tutelare il buon nome dell’università”. Ok, ma i gruppi di sinistra, impotenti ed oppressi, che scatenano risse, e gli striscioni con slogan marxisti che incitano all’odio e alla discriminazione, lasciati appesi per mesi nelle varie sedi, contribuiranno a dare gran lustro alla suddetta università…
Badate bene, la sanzione avrebbe se non altro un fondo di logica se il fatto alla base dal meme pubblicato dal professore fosse falso. Il punto è che non lo è. Ed è Kamala Harris stessa a dirlo…
“È venuto alla luce che, 20 anni fa, Kamala Harris ha frequentato l’ex sindaco di San Francisco Willie Brown. Mentre Brown era ancora sposato all’epoca, si era allontanato da sua moglie dal 1981. Harris e Brown si sono lasciati nel 1995”. “Kamala Harris ha affrontato il fatto di aver frequentato Willie Brown per un po’ di tempo, chiedendo ad un intervistatore di SFWeekly nel 2003: ‘Avrebbe senso, se sei un marziano che viene sulla Terra, che la cartina di tornasole per le cariche pubbliche sia dove si trova un candidato rispetto alla sua relazione con Willie Brown?”… Ma non è finita qui, leggete come prosegue l’articolo…
“E, a suo credito, Brown sembra essere d’accordo. […] l’ex sindaco ha rilasciato una brevissima dichiarazione a SFGate intitolata ‘Certo, sono uscito con Kamala Harris. E allora?’ In essa ha menzionato che ha certamente aiutato la sua carriera, ma ha anche “aiutato le carriere della presidente della Camera Nancy Pelosi, del governatore Gavin Newsom, della senatrice Dianne Feinstein e di una serie di altri politici. La differenza è che la Harris è l’unica che, dopo che l’ho aiutata, ha mandato a dire che sarei stato incriminato se le avessi ‘pestato i piedi’ mentre lei era procuratore”.
Chi è Willie Brown? È un ex sindaco Dem di San Francisco, dal 1996 al 2004. Lui dice che ci è stato assieme, Kamala Harris lo conferma. Lui dice di aver aiutato le personalità politiche, Kamala Harris non lo nega. E quindi? Non c’è niente di male. Perché dovrebbe mentire? I Democratici non dicono mai le bugie…
Il punto, dunque, è che il professor Bassani non ha condiviso qualcosa di inventato, una bugia, una fake news. In America se ne parla, Fox News, persino la stampa liberal ne parla, tutti ne parlano in America… e il professor Bassani è assolutamente titolato a parlarne, poiché è cittadino americano, è nato a Hinsdale (in Illinois), ha la cittadinanza, vota in America. È pienamente titolato a parlarne perché è il suo Paese, è interessato a quello che accade perché lo riguarda. Pensate anche ai membri di UniSì, quando c’è la campagna elettorale nel nostro Paese: andate a vedere cosa pubblicano, cosa dicono, cosa scrivono dei politici, in particolare delle donne di destra. Kamala Harris si sente oppressa, loro pensano che sia oppressa – anche se è arrivata alla vicepresidenza degli Stati Uniti – quindi per loro è un’oppressa celebre: quale migliore occasione! È anche un personaggio facilmente identificabile. Va difesa, a prescindere.
Ma il vero punto non è se Kamala Harris abbia tratto profitto politicamente dalla sua relazione con Willie Brown. Il punto è: la Harris ha fatto qualcosa di buono per il popolo americano con tutto questo potere? Questo è ciò che conta: i risultati.
Ma ovviamente, quando si parla di Kamala Harris i risultati non contano. Conta chi sei, conta solo che sei una donna, conta solo il colore della pelle. All’indomani della sua proclamazione come vicepresidente eletta nel mondo della sinistra è stato un tripudio di post che suonavano più o meno così: “prima donna non bianca alla vicepresidenza”. Ne avrete visti a centinaia. Non è stata celebrata per i suoi meriti politici, ma per il suo aspetto e la sua carriera, “prima donna qui, prima donna lì”, finendo per insinuare loro stessi che la carriera di Kamala Harris sia dovuta al suo sesso o al colore della sua pelle.
Kamala Harris non mi piace. Non mi piace perché è espressione di una élite incompetente che ha provocato disastri negli Stati Uniti e perché ha portato con sé una tradizione di malgoverno alla Casa Bianca. Viene dalla California, uno stato democratico che sta vivendo uno spopolamento continuo da anni. Ha perso un seggio alla Camera e un Grande Elettore quest’anno a causa dell’emigrazione della popolazione. Il Governatore, un suo alleato politico, è oggetto di un procedimento di rimozione, le firme sono state raccolte a migliaia tra i suoi stessi cittadini, per la pessima gestione del Covid, per i troppi morti, per le chiusure delle attività economiche e per le restrizioni troppo severe. La California è passata da essere uno degli Stati più ricchi ad uno con la più grande disparità economica e sociale d’America. I più poveri in America vivono in California.
Per non parlare dei record di Kamala Harris da procuratore generale della California, gli arresti di persone in possesso anche solo di piccole quantità di marijuana o della discrepanza tra arrestati afroamericani rispetto alle altre razze durante i suoi mandati. D’altronde, i suoi stessi compagni di partito la chiamavano “Top Cop“. A lei piaceva questo soprannome. Ma non gliene parlate, agli studenti di sinistra della Statale, perché potrebbero rimanerci male.
Perché dunque un politico del genere è diventato l’idolo della sinistra? Beh, perché è donna, milita in un partito che piace a quelli che piacciono, non è bianca, dice le cose che dicono; nella sua carriera ha fatto tutt’altro, ed è sempre stata orgogliosa della sua ferrea applicazione della legge. Ma questo non sembra importare. È in una posizione di potere, quindi tanto basta. È il potere che conta. Nessuno verrà mai punito per aver insinuato che Kamala Harris è brava perché è donna e perché non è bianca.
Chiedete a quanti hanno studiato o studiano all’Università Statale, chiedete quante volte un professore è stato sospeso per aver scritto opinioni “forti” sui politici. Da quando è diventata pratica delle università punire i commenti dei loro professori contro i politici? Fino alla scorsa settimana era lo sport nazionale. Chiedete a chiunque frequenti o abbia frequentato un’università se non pensa che siano luoghi dominati dall’ideologia di sinistra, ascoltate le risposte che vi daranno. Ma non importa, l’Università va preservata dal pensiero dissenziente. Il luogo per eccellenza serbatoio di idee, sede del confronto e del dibattito è da decenni l’ambiente più conformista che esista.
È il potere che conta, e in quanto a potere la sinistra è sempre stata maestra. Nelle rappresentanze delle nostre università domina la sinistra, nei ministeri siedono o hanno seduto uomini e donne di sinistra, un monopolio di potere pazzesco. Sono militanti, arrabbiati, potenti, influenti. E i risultati sono quelli che vediamo… Sapete quante sono le università italiane nei ranking internazionali? Solo una, quella di Bologna, più per una questione di nome (è la prima Università della storia). Qualcosa vorrà dire….
Si possono ancora dire queste cose? Ci si può opporre a personaggi politici amati dagli “impotenti” ed “oppressi” membri delle élites di sinistra? Viviamo ancora in una società che si dice libera, in cui si dice che dobbiamo essere grati se possiamo esprimere liberamente quello che pensiamo? Pensateci, soprattutto quando vi apprestate a commentare quello che succede nei Paesi che liberi non sono. Chiedetevelo a voi stessi. Non è che invece ci stiamo avvicinando a questi Paesi? C’è ancora qualcuno che ha voglia di morire perché possiamo dire queste cose?