Anche voi siete arrabbiati per le accuse inesistenti di stupro fatte a Kevin Spacey, che vi hanno privato di quella coppia meravigliosa che erano Frank Underwood e House of Cards?
Proviamo a vedere le cose un po’ più precisamente. Ve la ricordate Meryl Streep a Cannes nel 2017, che si improvvisava fustigatrice di Donald Trump, da poco scelto da 63 milioni di suoi concittadini come presidente? Fu solo la più celebre delle occasioni in cui la Streep non si faceva mancare nulla del repertorio caro al mondo liberal statunitense nei confronti del leader repubblicano di turno: profeta della paura, razzista, cattivo, istigatore di violenza. Il nucleo dei suoi attacchi era però, immancabile, un altro: la misoginia. Trump predatore sessuale, un uomo che considera le donne degli oggetti di cui disporre a piacimento. Non una di queste accuse si è tradotta in condanne, la maggioranza neanche in processi. Molte risalivano agli anni ’70, ’80 e guarda caso sono emerse proprio a cavallo della campagna elettorale del 2016. Ma per la giudice morale Streep era sufficiente: Donald Trump è un predatore sessuale, un maniaco.
Pochi mesi dopo però a finire in manette non sarebbe stato Donald Trump, ma Harvey Weinstein. Il magnate di Hollywood venne arrestato sulla base di prove inconfutabili, con 80 accuse di violenza sessuale e 12 di stupro. Chi è Weinstein? È il padre della carriera di Meryl Streep, al punto da essere da lei definito come un uomo di valore paragonabile a “God”, “Dio”. È un suo intimo amico, collaboratore, confidente, collega.
Nulla come questa vicenda squarciò il velo di una delle realtà più spudoratamente ipocrite del mondo: l’intellighenzia liberal di Hollywood. Attori, cantanti, star di ogni genere sempre in prima linea per le grandi battaglie morali dei Democrat, e quanto mai colpevoli di quegli stessi comportamenti nelle proprie vite. Da Clooney alla Streep, passando per Lady Gaga e Madonna. Tutti pronti ad accusare oggi Trump, ieri Bush, domani chissà. Ma nessuno che si fosse degnato di aprire bocca su Weinstein, che avevano alla porta accanto e da cui dipendevano i loro ghiotti guadagni.
Ecco, sapete chi c’era sempre tra le fila di quei presunti superiori morali, di quei puntatori del dito contro chiunque non fosse allineato alla causa liberal del momento? Kevin Spacey, democratico della prim’ora, che tanto per fare un esempio definì Trump “una malattia”. Che quando il suo Frank Underwood veniva in House of Cards accusato di molestie, ricordava come quel personaggio (scherzando soltanto di facciata) rimandasse proprio a Trump.
Spacey, attore straordinario, è rimasto vittima del sistema stesso che lui e tanti illustri compari di Hollywood hanno alimentato negli anni. Divorato dalla macchina letale che il mondo liberal da decenni utilizza con cinismo e spregiudicatezza. Un sistema di accuse umilianti, quasi sempre infondate, rivolte del tutto a caso a chi la pensa diversamente o al bersaglio sacrificale di turno. Un accanimento e una distruzione umiliante dell’uomo in questione, interamente sui giornali e senza aspettare che una qualsiasi Corte si pronunci su basi fondate. Un sistema tanto agghiacciante quanto letale. Purtroppo, è toccato proprio a lui. Due anni di accuse fondate sul nulla, che hanno rovinato la sua carriera e privato tutti noi di uno dei migliori attori contemporanei. Una privazione per cui non riesco francamente a provare alcun tipo di pena o dispiacere.
Anzi, chissà che Mister Spacey non riesca a riflettere un po’, mentre prova su se stesso ciò che i moralisti di Hollywood come lui hanno inflitto in tante occasioni ad altre persone, innocenti ma colpevoli di non essere allineate.