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La Carta dei Valori della destra europea: un manifesto europeista, cioè non federalista

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Salvini, Meloni, Le Pen, Orban, Morawiecki ed altri hanno firmato una Carta dei Valori Europei.

Il documento comincia sostenendo che “il processo d’integrazione ha fatto molto per mantenere la pace”, solo dopo aver premesso un riferimento a “il legame atlantico dell’Unione europea e il Trattato Nord Atlantico”. Qualunque buon inglese saprebbe spiegare che è la Nato ad aver conservato la pace. Qui, nulla quaestio.

Continua sostenendo che il processo di integrazione avrebbe fatto molto per “la comprensione reciproca e le buone relazioni tra Stati” … ma non può che riferirsi alla CEE prima dell’Euro, dal momento che prosegue ricordando come “la serie di crisi che hanno scosso l’Europa, negli ultimi dieci anni, hanno dimostrato che la cooperazione europea sta vacillando”. Pure qui, nulla quaestio.

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La cooperazione europea sta vacillando, “soprattutto perché le nazioni si sentono lentamente spogliate del loro diritto ad esercitare i propri legittimi poteri sovrani”. Già, ma quali poteri? Continua: l’Ue “invece di proteggere l’Europa e il suo patrimonio, invece di permettere il libero sviluppo delle nazioni europee, sta diventando essa stessa una fonte di problemi, preoccupazioni e incertezza”. Già, ma quale libero sviluppo? Qui il documento prende una direzione precisa. Potrebbe dire che fra i legittimi poteri sovrani spogliati v’è la conduzione di una politica economica e di bilancio, ma non lo fa. Potrebbe dire che il libero sviluppo è pure economico, ma non lo fa.

In tal modo, il documento diventa ungherese e polacco, non italiano o francese o spagnolo. O, se si preferisce, diventa valoriale e non materiale. Non sta parlando della dittatura del Patto di Stabilità, del Fiscal Compact, di Bce o del Mes.

Sta parlando della “trasformazione culturale e religiosa, per arrivare alla costruzione di un’Europa senza nazioni, puntando alla creazione di un Superstato europeo, alla distruzione o alla cancellazione della tradizione europea, alla trasformazione delle istituzioni sociali e dei principi morali fondamentali”. Obiettivo di “forze radicali” delle quali “l’Ue sta diventando sempre più uno strumento”. Che si traduce in una “pericolosa e invasiva ingegneria sociale”, un “iperattivismo moralista”, una “pericolosa tendenza ad imporre un monopolio ideologico”. Tutto ciò “deve indurre ad una legittima resistenza”. E va bene. Ma il Mes no? Il Mes non deve indurre ad una legittima resistenza?

Di nuovo, “siamo convinti che la cooperazione delle nazioni europee dovrebbe essere basata sulle tradizioni, il rispetto della cultura e della storia degli Stati europei, sul rispetto dell’eredità giudaico-cristiana dell’Europa … la famiglia è l’unità fondamentale … politica a favore della famiglia dovrebbe essere la risposta rispetto all’immigrazione di massa”. E va bene. Ma la disoccupazione di massa no? La cooperazione delle nazioni europee non dovrebbe essere basata sulla piena occupazione?

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Viene poi la parte in diritto. “I limiti delle competenze dell’Unione sono fissati dal principio di attribuzione – tutte le competenze non conferite all’Unione appartengono agli Stati membri, nel rispetto del principio di sussidiarietà”. Ottimo. Poi la denuncia: “attraverso una costante reinterpretazione dei trattati da parte delle istituzioni dell’Ue negli ultimi decenni, queste delimitazioni si sono spostate significativamente a svantaggio degli Stati”. Vero.

Sin qui, sembra di leggere un giurista tedesco, per esempio l’ottimo Paul Kirchhof che citiamo dalla FAZ:

“L’Unione europea è una lega di Stati [Staatenverbund]. Non è uno Stato federale [Bundesstaat] in cui gli Stati membri sarebbero incorporati come Stati federali, ma un’associazione di Stati [Zusammenschluss von Staaten] particolarmente stretta, alla quale gli Stati membri hanno assegnato responsabilità per la realizzazione dei propri obiettivi comuni. Gli Stati rinunciano con un trattato a un pezzo di potere sovrano, ma si riservano la propria statualità – l’identità centrale delle proprie costituzioni statali … le istituzioni della Ue non sono autorizzate a concedersi nuove competenze e poteri, bensì devono agire nell’ambito del quadro loro assegnato dal trattato. Solo in uno Stato gli organi possono stabilire ulteriori compiti e poteri. La riorganizzazione della condizione giuridica dell’Unione in uno Stato è riservata agli Stati membri, nel trattato essa non è prevista”.

Oppure ancora l’appello firmato da 29 costituzionalisti tedeschi ed apparso in prima pagina sulla FAZ: contro Bruxelles, “il governo federale tedesco deve difendere la comunità europea degli Stati [europäische Gemeinschaft der Staaten] … è importante impedire l’introduzione di uno stato federale europeo [europäischen Bundesstaat] dalla porta di servizio”.

Concetti chiarissimi ai polacchi, così l’eurodeputato Legutko: la Carta dei Valori “replica a chi in Europa spinge per accelerare l’integrazione … il punto è quanto potere abbiano le istituzioni nazionali”. La differenza è che il giurista tedesco spende queste parole a proposito di Bce e politica monetaria. Mentre, la Carta parla di tradizione europea e principi morali fondamentali, come abbiamo visto. E qui viene da chiedersi: la piena occupazione non è fondamentale?

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Ciò che il giurista tedesco difende è il rispetto dei trattati. Egli è, perciò, un europeista. L’Europa è i suoi trattati e chi tali trattati difende è un europeista. Allo stesso modo, la Carta dei Valori è europeista. Al contrario, chi vuole cambiare i trattati (inserendovi un bilancio federale, i cosiddetti diritti Lgbt, cancellando il principio dell’unanimità), non è un europeista, bensì un federalista. Oltreché, naturalmente, un eversore della propria Costituzione nazionale, alla maniera di Ezio Mauro il quale pretende che togliere al Parlamento italiano poteri che la Costituzione italiana ad esso riconosce, sia una forma di “patriottismo costituzionale” [sic].

Al proposito, la Carta fa un poco di confusione quando propone la definizione di “un insieme di competenze inviolabili degli Stati membri dell’Unione europea, e un meccanismo appropriato per la loro protezione”. Salvo poi difendere la regola dell’unanimità, laddove ancora presente. Ma, siccome i trattati li si può modificare solo all’unanimità, meglio avrebbe fatto la Carta a specificare che la definizione delle competenze inviolabili non deve passare da una modifica dei trattati, bensì da una loro filologica interpretazione: in particolare del 2 Tue, dal quale l’intera disputa origina. Qui gli estensori avrebbero potuto essere più precisi. Anche per non dar l’estro ad avversari spudorati, come il citato Ezio Mauro, di scrivere che la Carta pretenderebbe “una riforma radicale” dei trattati, il che è l’opposto del vero.

Ma a fare confusione è pure Giorgia Meloni, quando rivendica di difendere un modello confederale mentre, invece e molto più semplicemente, ciò che la Carta difende sono i trattati esistenti. Come capisce bene Belpietro: “si sostiene la necessità che i Paesi europei possano esercitare i loro legittimi poteri sovrani nelle materie che non siano state conferite alla Ue”, ebbasta.

In ogni caso, nel difendere il principio dell’unanimità, la Carta sostiene che la sua abolizione “potrebbe portare all’annullamento di fatto degli organi costituzionali nazionali, compresi i governi e i parlamenti, ridotti alla funzione di approvare decisioni già prese da altri”. Il che è vero. Ma è pure, esattamente, la condizione alla quale già è ridotto il Parlamento italiano, in materia fiscale-economico-monetaria. Della riduzione a stato coloniale in tali materie, non importa?

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Sin qui la Carta. “Un incredibile pasticcio reazionario” espressione di un “settore reazionario”, per Massimo Cacciari. Espressione de “l’estrema destra, la destra nazionalista identitaria populista anti immigrazione suprematista”, secondo Carretta; della “destra estrema, nazionalista e reazionaria più che conservatrice” secondo Anna Zafesova; che, “come fanno tutte le ideologie totalitarie, dal fascismo al comunismo, parte da un ribaltamento della realtà, accettato il quale tutto si giustifica … perfino la negazione delle libertà politiche”, secondo Bonanni; della “ultradestra” con una “idea bio-politica della nazione”, secondo il solito Ezio Mauro; di “politici che soffocano nei loro paesi le libertà democratiche” secondo Luciano Fontana; della “destra cattolica nazionalista” per Bonini (incurante che finnici, baltici e lo stesso Orban siano protestanti).

Tutto ciò, nonostante molti si compiacciano dell’assenza di ogni riferimento all’Euro: Lauria, Montefiori, Massimo Franco, Imberti, Polillo. Il solo Barbera, incuriosito ma senza offrire alcuna giustificazione, annota: “l’Europa a cui punta il manifesto non sembra compatibile con una Banca centrale europea”.

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Ostile il giudizio di Forza Italia, dove Giorgio Mulè commenta che le “radici giudaico-cristiane dell’Unione sono già nella bandiera” (!) e Giuliano Urbani che il Ppe “mantiene un rapporto con i padri fondatori dell’Europa delle origini” … come se De Gasperi fosse stato un attivista Lgbt e il Trattato di Roma avesse previsto le toilette gender neutral. Commenta il citato Legutko: “la Polonia è più in linea con i valori europei di quanto non sia l’Ue” e, visto che si sta parlando dei trattati e non di sondaggi, ha ragione lui.

Benevolo Luca Volontè: “Chi distrugge credibilità e autorevolezza delle istituzioni europee sono coloro che hanno abusato e condizionato quelle stesse istituzioni”. Benevolo pure Marco Gervasoni, il quale giudica la Carta come un documento che “è a suo modo europeista: solo che reca una idea di Europa diversa da quella delle sinistre. È l’Europa non tanto dei sovranisti, un concetto che ancora non si è capito bene cosa sia, quanto dei conservatori”. Giusto. Ma la domanda sorge spontanea: l’Europa dei conservatori comprende Patto di Stabilità, Fiscal Compact, Bce e Mes?!

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Naturalmente, vi sarà chi trova queste domande ingenue. Lo scopo della Carta non essendo altro che un tentativo di favorire la costituzione di un gruppo unico al Parlamento europeo (obiettivo che pare lontano, benché sia effettivamente la prima volta che questi partiti si riuniscono in una dichiarazione congiunta). Ovvero, un modo per indirizzare la fantomatica Conferenza per il Futuro dell’Europa, in corso nell’indifferenza generale. Oppure ancora un modo, per Salvini, di dare uno scappellotto a chi voleva portarlo nel Ppe (Giorgetti, il quale, infatti, in merito alla Carta non si è pronunciato).

Eppure, piccoli indizi lasciano sperare che la partita abbia respiro più largo. Anzitutto le parole spese da Salvini: “è mio dovere ragionare con chi mette al centro la famiglia, la lotta all’immigrazione e non vuole tornare ai tagli e all’austerità”. Parole immediatamente riferite alla Carta dei Valori la quale, però, alla austerità non fa cenno, come abbiamo visto; evidentemente si riferiscono ad altro. In secondo luogo, Carlo Pelanda nota che un abbandono della interpretazione federalistica dei trattati, “implica anche un’innovazione flessibile dell’Eurozona”. In terzo luogo, un convegno organizzato, per i prossimi giorni a Roma, da alcuni degli estensori della Carta dei Valori e dedicato a cose che in essa mancano. È possibile mutare l’assetto della moneta senza passare da una modifica dei trattati Ue, bensì solo attraverso una loro filologica interpretazione? Sì, basti pensare al fatto che il Fiscal Compact ed il Trattato Mes sono trattati intergovernativi e non Ue, basti pensare all’articolo passepartout 65 Tfeu ovvero all’assenza di alcuna disposizione riguardo l’uscita dalla moneta unica (equivalente al 50 Teu), ciò che consente di fare, letteralmente, ciò che si vuole. Una simile mutazione dell’assetto della moneta sarebbe europeista alla maniera della Carta dei Valori.

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Così si spiega, forse, la reazione iraconda del Pd che, con Letta e poi le due capogruppo Serracchiani e Malpezzi, invita la Lega ad uscire dal governo Draghi. La risposta di Salvini: “siamo in perfetta sintonia con Draghi”. E quella di Zanni: “il Pd professa un europeismo acritico, noi invece proponiamo un europeismo pragmatico, un progetto che tra l’altro è assolutamente in linea anche con l’approccio di questo governo e di Draghi in Europa”. Insomma, è in corso la guerra per le spoglie del governo di Mario Draghi. Perché, in fondo, tutti devono aver capito che Draghi è destinato al Quirinale ed egli, infatti, su tutta questa faccenda della Carta ostenta un malcelato distacco. Quindi, il suo governo è poco più che balneare. Mentre la sua politica economica è destinata a schiantarsi presto contro l’iceberg che qui ben conosciamo. Lasciando il campo ad una sola ipotesi €rista: il Mes, come vorrebbe il Pd. Oppure ad ipotesi alternative, nessuna delle quali è €rista ma, eventualmente, potrebbe essere europeista alla maniera della Carta dei Valori.

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