Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Mariano Bella, direttore del Centro studi di Confcommercio
Zapping
Verso le undici di sera di qualche giorno fa un “giornalista” di una rete italiana all news annunciava, senza celare una certa soddisfazione – almeno così mi è parso – che il prodotto lordo americano era crollato nel secondo trimestre del 31,7 per cento. Poco dopo la mezzanotte, sulla stessa rete, un suo collega, evidentemente stremato da una dura giornata di lavoro, si fumava l’uno virgola di cui sopra e sintetizzava la variazione del Pil Usa in -37 per cento. A quel punto, seppure sotto l’influsso dello Chardonnay, rapidamente calcolavo il trend. Di conseguenza, decidevo di andare a dormire onde evitare l’imminente notizia della scomparsa del continente americano.
Tweet
Su Twitter, contrariamente alle consuetudini, si approfondiva, spiegando: “La terra del libero mercato, dell’auto-determinazione anche sanitaria, dell’individualismo. Eccola: Usa -31,7 per cento”. E il dato era dentro una tabella che presentava anche le variazioni per diversi Paesi europei, tutte di entità molto più contenuta. Dimostrare è un’arte, e farlo con i numeri conferisce autorevolezza.
Pazienza e noia
Essere anti-trumpiani o antiamericani – direi la seconda più della prima – può andare anche bene (non a me). Essere contro l’aritmetica no, in nessun caso. Vale giusto la pena ribadire che i dati Usa sono annualizzati, cioè le variazioni di un trimestre rispetto al trimestre precedente (variazioni congiunturali) sono calcolate trasformando il dato puntuale nella variazione tendenziale che si osserverebbe fra tre trimestri se le tre prossime variazioni congiunturali fossero uguali all’ultima osservata (cioè il Pil Usa risulterebbe inferiore del 31,7 per cento nel primo quarto del 2021 rispetto al primo quarto del 2020, se nel terzo e quarto trimestre del 2020 e nel primo trimestre del 2021 la variazione congiunturale fosse uguale a quella registrata nel secondo quarto dell’anno 2020).
Perché persone serie e pragmatiche come gli economisti del Bureau of Economic Analysis siano fissati con calcoli così astrusi non saprei dirlo. Probabilmente odiano l’idea di variazione congiunturale e sentono il dovere di trasformarla, sempre e comunque, in una metrica tendenziale. Possiamo pregare perché si ravvedano, ma non imbrogliare sui numeri.
Risultati e classifiche
In ogni caso, bisogna riconoscere e accettare che si possono fare correttamente solo due confronti: tutti i dati calcolati all’europea o tutti i dati calcolati all’americana. Nel primo caso si ha (variazioni percentuali congiunturali): secondo trimestre 2020 Usa -9,1 per cento, Italia -12,8, euroarea -12,1, dopo un primo quarto rispettivamente pari a -1,3 per cento degli Usa contro -5,5 dell’Italia e -3,6 dell’euroarea. Nel secondo caso, all’americana, si ha, per il secondo trimestre del 2020, Usa -31,7 per cento, Italia -42,2 e zona euro -40,3, sempre dopo un primo trimestre 2020 molto più negativo in Italia e in Europa rispetto all’America. Per il futuro c’è poco da prevedere: se si torna ai pregressi tassi di crescita il vecchio continente e la vecchissima Italia recupereranno molto dopo. Alle stesse conclusioni si arriverebbe utilizzando parametri strutturali come l’elasticità dell’occupazione al Pil nei vari Paesi.
Elezioni
Se l’opinione pubblica americana si beve i numeri come li raccontano in Italia allora il presidente Trump ha un’altra freccia al suo arco. I prossimi dati, quelli relativi al terzo trimestre, verranno forniti il 29 ottobre (il 30 in Europa), qualche giorno prima delle elezioni. Il rimbalzo sarà ovunque fortissimo (sebbene non comporterà un pieno recupero). A capitalizzazione composta, cioè all’americana, la crescita Usa potrebbe essere del 20-25 per cento. Se venduta bene – cioè soprattutto negli Stati giusti – può valere moltissimo.
“Giornalisti” (italiani; certo, non tutti)
La sera dopo. Telegiornale rete nazionale pubblica prime time: “La perdita del Pil italiano nel secondo trimestre è stata pari al 12,8 per cento, un crollo che non si vedeva dal 1995”. Provo pulsioni autolesionistiche per non pensare a quello che ho sentito. In italiano, se ancora lo capisco, vorrebbe dire che un dato peggiore di quello appena registrato era stato osservato nel 1995 e non successivamente (fino a oggi). Anche i più giovani, magari per sentito dire, ricorderebbero un evento di tale gravità, se fosse veramente accaduto. Però non lo ricorda nessuno. Perché non è accaduto (il 1995 è stato un anno buono, anzi ottimo, se confrontato con i periodi più recenti).
Ma chi può pensare una cosa del genere? Solo quelli che possono pensare, appunto, che il Pil Usa sia potuto scendere di oltre 30 punti percentuali nella metrica usuale. Cioè solo quelli che non conoscono neppure lontanamente le dimensioni e il funzionamento delle moderne economie.
Però sia nel caso Usa sia nel caso del “dato italiano peggiore dal 1995”, l’assoluzione va accordata. “I giornalisti danno le notizie”, così mi dissero quando ero giovane e protestavo per gli errori che diffondevano. Non devono verificarle, né capirne il senso.
Così, vuoi per idiosincrasia nei confronti dell’inglese o delle statistiche internazionali, in un caso, vuoi, nell’altro, per l’impossibilità di leggere l’intero comunicato Istat – che pure poteva scrivere già in prima pagina “… peggiore dal 1995, anno di inizio delle serie storiche trimestrali” – dobbiamo sentire e prendere quello che viene. E se abbiamo specifiche consuetudini culturali e sufficiente discernimento, proveremo a difenderci: riconoscendo, per esempio, che una caduta come quella del secondo trimestre di quest’anno l’Italia, verosimilmente, non la sperimentava dal secondo o terzo trimestre del 1944. Se non abbiamo, invece, specifiche conoscenze, allora ripeteremo ai nostri congiunti – resto sul vago, sì – e ai nostri amici le fesserie che ci sono state raccontate.
Nel frattempo, fantasiose e strumentali ricostruzioni della nuova strategia della Fed si abbattono sull’opinione pubblica italiana. Siamo un popolo indifeso.