La Corte suprema degli Stati Uniti ha dichiarato l’incostituzionalità dell’ordine con cui il Center for Disease Control and Prevention (CDC) aveva imposto una moratoria nazionale del blocco degli sfratti. Il direttore del CDC ha agito invocando una norma che gli attribuisce il potere di adottare “le regolamentazioni a suo giudizio necessarie per impedire l’introduzione, la trasmissione o la diffusione di malattie trasmissibili da paesi stranieri negli Stati, o da uno Stato in qualsiasi altro Stato”. Si tratta di una norma approvata nel 1944 e che è stata raramente utilizzata nei decenni fin qui trascorsi, il più delle volte per vietare il commercio di singoli beni in grado di trasmettere infezioni (nel 1975, ad esempio, fu impiegata per bloccare l’importazione di una specie di tartarughe portatrici della salmonella).
Mai, prima d’ora, questo potere è stato esercitato per imporre una misura, come il blocco degli sfratti, in grado di incidere così in profondità sui diritti di proprietà. Certo, si potrebbe replicare, mai, prima d’ora, si è avuto a che fare con un’emergenza così grave come la pandemia da Covid-19 – ma che questa circostanza possa giustificare l’adozione di politiche così intrusive è questione assai controversa. Su un punto, però, non possono esserci dubbi: l’emergenza sanitaria non può stravolgere il sistema delle fonti e i limiti dell’azione politica che costituiscono garanzia minima e irrinunciabile del rispetto dei diritti fondamentali individuali. La Corte suprema lo chiarisce in apertura della sua opinion:
“Una cosa sarebbe se il Congresso avesse specificamente autorizzato l’azione intrapresa dal CDC. Ma questo non è successo. Invece, il CDC ha imposto una moratoria a livello nazionale sugli sfratti basandosi su uno statuto vecchio di decenni che lo autorizza ad attuare misure come la fumigazione e lo sterminio dei parassiti. È improbabile che questo statuto conceda al direttore del CDC gli enormi poteri che questi afferma”.
Detto altrimenti: un conto è discutere della ragionevolezza del bilanciamento tra interessi divergenti operato da una norma approvata dal Parlamento, cui la Costituzione attribuisce quel potere; un altro conto è accettare che quel bilanciamento possa essere compiuto da un soggetto privo della necessaria autorizzazione costituzionale, sol perché si invoca l’emergenza a mo’ di fonte-fatto. “Se una moratoria sugli sfratti deve continuare, il Congresso deve autorizzarla specificamente”, ha concluso la Corte: come abbiamo avuto occasione di ripetere in più occasioni, l’emergenza sanitaria non è e non può mai essere una giustificazione per cedere a una situazione di emergenza del diritto.
L’opinion della Corte suprema merita di essere letta e meditata con attenzione, perché è piena di spunti di riflessione che vanno anche oltre il singolo tema del rispetto rigoroso delle forme del costituzionalismo moderno. Anzitutto, vi si leggono parole di equilibrio e consapevolezza nei confronti dell’importanza che la tutela dei diritti di proprietà riveste nell’architettura di una società libera:
“La moratoria ha posto milioni di proprietari in tutto il Paese a rischio di danni irreparabili, privandoli del pagamento dei canoni di locazione senza alcuna garanzia di eventuale recupero. Nonostante la determinazione del CDC sul fatto che siano i proprietari a dover sostenere il costo finanziario della pandemia, molti proprietari hanno mezzi modesti. E impedire loro di sfrattare gli inquilini che violano i contratti di locazione si intromette in uno degli elementi più fondamentali del diritto di proprietà: il diritto di escludere”.
La posizione del locatore non è meno meritevole di tutela di quella dell’inquilino, dal momento in cui il primo può aver sopportato costi più o meno ingenti, o può aver rinunciato ad altre opportunità per acconsentire a quella locazione, e può fare affidamento sul canone per altre personali spese: nemmeno il Covid consente di ritenere integralmente sacrificabili le ragioni dei locatori a tutto vantaggio di quella degli inquilini, come hanno riconosciuto anche alcuni tribunali di merito italiani che hanno sollevato questione di costituzionalità del blocco degli sfratti di fronte alla Corte costituzionale.
È considerazione ovvia che locatori e conduttori abbiano obiettivi divergenti, e che la pandemia abbia acuito questa distanza: tuttavia, nemmeno una circostanza così straordinaria dovrebbe autorizzare a cercare una soluzione a quel conflitto al di fuori della contrattazione privata o della tutela della legge.
E veniamo, per questa via, all’aspetto politico-culturale che fa da sfondo all’opinion e che merita dunque di essere portato in primo piano. Il rispetto delle forme del costituzionalismo moderno, e dunque l’attribuzione al Parlamento e non all’Esecutivo (o, addirittura, a una sua emanazione amministrativa specifica, quali le Authorities o le Agencies), merita di essere difeso – in assenza di valide alternative – anzitutto perché rende più difficile incidere sull’esercizio dei diritti fondamentali individuali.
Nel marzo 2020, con l’esplosione della pandemia, il Congresso americano aveva approvato una prima moratoria, con scadenza nel luglio di quell’anno: quando quella data è giunta, in Congresso sono mancati i voti necessari per approvarne un’estensione, perché tra i deputati e i senatori non si è formata una maggioranza convinta che il sacrificio delle ragioni dei proprietari fosse ancora giustificato alla luce del mutamento delle condizioni emergenziali. A fronte dell’inazione del Congresso, è intervenuto il direttore del CDC, il quale non ha dovuto persuadere nessun’altro al di fuori di sé dell’opportunità della sua decisione: e da allora, il termine di scadenza è stato esteso di volta in volta, fino a cadere sotto la scure della Corte suprema.
Una situazione simile si è presentata in Italia, in cui l’adozione di ripetuti decreti-legge è servita (certo con argomenti “formali” più forti rispetto alla vicenda statunitense) a imporre moratorie sugli sfratti – e dunque compressioni notevoli dei diritti di proprietà di milioni di persone – senza che queste venissero prima discusse in modo pubblico e trasparente in Parlamento. A questo punto, non resta da vedere se i giudici della nostra Corte costituzionale seguiranno i colleghi statunitensi nel ricordare, ai deputati e senatori ben contenti di scaricare la responsabilità della decisione sull’Esecutivo, che non può violarsi la promessa di un governo non di uomini, ma di leggi.