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La crisi dei giornali: notizie poche, commenti troppi, e gara a chi la spara prima e più grossa

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Da non giornalista, ma avido lettore di giornali, non posso non far caso al taglio particolare che viene dato in pasto ai destinatari della stampa, ossia tutti noi. Secondo uno schema logico, si dovrebbe partire dalla notizia, certa, veritiera e verificata. Già al punto di partenza, lo stanco e sovraccarico asinello cade miseramente. Se emendassimo dalla stampa tutte le notizie non aventi le minime caratteristiche di verità e vaglio delle fonti, ne avremmo assai meno. Mai come adesso, gli articoli a stampa sembrano assumere le caratteristiche dell’antico giochino del “telegrafo senza fili”, quello, per intenderci, dove si partiva da Roma e si finiva a toma. La verifica delle fonti, ancora una volta, totalmente e tristemente affidata al materiale disponibile su Internet, richiede tempo e metodo. In epoca di “solo breaking news” e di sfida mondiale a chi la spara per primo – se non più grossa – il tempo è tiranno. I liberi giornalisti hanno dunque, almeno un padrone: il tempo. Se n’abbiano anche altri, non lo voglio sapere.

La stupefacente somiglianza del corpo della notizia che viene propalata dai giornali – e letta pari pari nei giornali radio-tv – è prova certa che, alla fine, le fonti giornalistiche sono quasi sempre le stesse. Ma intendiamoci sul concetto di “fonte”: basta un tweet di qualcuno (a volte nemmeno autentico) a scatenare la bagarre giornalistica. Pochissime le notizie fresche ed originali, innumerevoli i commenti o i commenti ai commenti. Persiste soltanto il primato di chi per primo abbia detto qualcosa, senza richiedere nemmeno l’originalità della notizia; l’importante sembra essere consegnare ai lettori qualcosa d’eclatante, senza tante verifiche. Ci sarà tutto il tempo per rispondere ad altri giornalisti, o politici, che ribadiranno, contesteranno, aggiungeranno parti che essi ritengano colpevolmente omesse. Quindi, anche una colossale cazzata, ogni tanto, ci può stare senza rimetterci la faccia e tutti possono aspirare ad essere giornalisti di successo (leggasi con tanti followers) senza darsi pena di badare a ciò che si scrive.

A volte mi chiedo se una testata che privilegiasse la sola cronaca, anche minuta e localizzata, avrebbe successo, togliendo spazio ai pesanti commenti, ai ridondanti approfondimenti, agli stucchevoli spiegoni didascalici che riempiono le sempre crescenti pagine dei quotidiani. Difficile dare una risposta precisa, ma, personalmente, a me piacerebbe. Guardiamo cosa fa la gente comune, che per fortuna ancora esiste, al bar. Del corposo quotidiano, legge quasi unicamente le pagine della cronaca locale e le pagine sportive. A leggere attentamente la terza pagina e le tante pagine di approfondimento politico, saranno quasi certamente quegli avventori, non graditissimi al barista, che con un caffè ed un bicchiere di acqua naturale, occuperanno per buona parte della mattinata un intero tavolino. Pochi per fare statistica. La stragrande maggioranza dei lettori, in controtendenza con l’impostazione editoriale e redazionale dei quotidiani, cercherà sul giornale elementi “certi” sul quel fatto di cronaca del quale ha sentito parlare alla radio mentre si stava sbarbando, o su quell’evento specifico del quale ha già avuto, in qualsiasi modo un’infarinatura, oppure notizie e commenti sportivi, che fanno categoria a sé. Fuori dall’ambito web, dal giornale si dovrebbe pretendere ancora autorevolezza e certezza. Se su Internet si può leggere che sono sbarcati i marziani, sul giornale non dovrebbero trovare posto le scemenze. Così la pensa la vituperata gente comune, quella che, peraltro, garantisce ancora un minimo di sopravvivenza alla carta stampata.

Ci siamo chiesti, inoltre, perché i settimanali, chi più chi meno, vadano tutti male? Potrebbe essere conseguenza del ruolo egemone dei quotidiani? Come impostazione classica il quotidiano dovrebbe permettere al lettore di farsi un’idea di cosa è accaduto in Italia e nel mondo, mentre sul settimanale dovrebbero trovare posto quegli approfondimenti che possano interessare i lettori sulle notizie già pubblicate dai quotidiani nella settimana trascorsa. Partito come il mezzo di approfondimento e critica della cronaca, il settimanale è ormai diventato in massima parte il luogo del giornalismo d’inchiesta, per quanto anche quel settore sia abbondantemente condiviso coi quotidiani, ed entrambi ne perdono in carattere. Perché un lettore dovrebbe acquistare anche il settimanale, se ha già trovato, e per più giorni, tutti gli approfondimenti che voleva avere? Una simile considerazione è altresì possibile quando si parla di crisi della carta stampata per “colpa” dell’informazione sul web, in ogni sua espressione. Ed è crisi vera e generalizzata, proprio dovuta a Internet. Quello che i guru del web e gli infaticabili lettori dello schermo piatto non ammetteranno mai è del tutto evidente: si preferisce cercare una notizia su Internet – oggi disponibile persino sul telefonino – per semplice “comodità”, che meglio sarebbe definita come pigrizia.

Non tralasciamo, infine, di considerare, in questa modesta disamina, che leggere sul web è gratis, mentre i giornali, anche e soprattutto per la concorrenza della rete, costano sempre di più. Spendere quasi tremila delle vecchie (amatissime) lire per sapere se è caduto il governo (e da noi cade spesso) non è così trascurabile nell’economia spicciola della maggioranza degli italiani. Esattamente per lo stesso motivo, moltissimi privilegiano il supermercato o il discount (anche non vicinissimo a casa) rispetto allo storico negozietto sotto casa, per il solo motivo che comprare al negozio locale costa troppo per le loro possibilità. Si mettano in testa, i soloni della comunicazione, che la gente ha sempre meno soldi da spendere e cerca di mantenere le stesse abitudini commerciali cambiando fornitori.

Avremo ancora nuovi grandi giornalisti della carta stampata, quelli che hanno davvero fatto una bella parte della nostra cultura? Può essere, anche se riterrei più probabile, che ci piaccia o no, la proliferazione degli influencer e dei blogger e la definitiva morte, nemmeno troppo lontana, della carta stampata e dei libri cartacei a favore dei giornali online ed e-books.

Ma che buono era il profumo dell’inchiostro ancora fresco quando, intorno alle due di notte, andavamo a comprare una copia appena stampata del Secolo XIX direttamente alla tipografia di Via Varese, a Genova, per leggerlo prima di dormire e “sapere le cose” con qualche ora d’anticipo! Fuori della tipografia al seminterrato, dalla quale un tapis roulant portava su mazzette di giornali appena stampati, per caricarli sui furgoni della distribuzione, viveva il piccolo mondo solidale e notturno che non poteva sottrarsi alla prima parte di quel rito (quasi) quotidiano: universitari, poliziotti, pensionati insonni e qualche malfattore – che i carabinieri tenevano d’occhio fingendo di leggere il Secolo. Si pagava direttamente all’operaio tipografo che stava alla sommità del nastro trasportatore, ossia quello che lanciava con mira millimetrica un pacco di giornali nelle braccia dell’autista di ogni furgone in attesa, quasi tutti rossi e con la scritta “Servizio Stampa”. Il ricavato di tale piccola, innocente e a noi graditissima vendita (che oggi sarebbe reato fiscale punibile con la decapitazione) veniva poi diviso tra tutti i dipendenti della tipografia del quotidiano. La seconda tappa, mi chiederete? Una delle tante panetterie che, con la saracinesca aperta a metà, distribuiva fumante focaccia genovese alle stesse categorie di persone, rigorosamente da consumarsi appoggiati ad un muretto oppure appoggiati alle auto parcheggiate nei pressi. Ma, allora, l’inchiostro tipografico profumava, la focaccia non gonfiava lo stomaco e non riportava avvertenze nutrizionali terroristiche, la carrozzeria delle auto era spessa un millimetro i loro proprietari tolleranti. Oggi, non saprei…

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