La destra che scappa davanti al giro di vite contro la libertà di espressione

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 30 novembre 2019

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Più che il rumore delle manette agitate con gioioso trasporto digitale dai soliti giustizialisti color rosso sovietico, a lasciare il segno, dopo l’operazione dei Ros che ha visto indagate undici persone per vilipendio al presidente della Repubblica, è il solito, glaciale silenzio dell’area riferibile, genericamente, al centrodestra, nelle sue varie sfumature liberale, sovranista, patriottica e via dicendo.

Eppure il professor Marco Gervasoni, qualunque cosa se ne possa pensare sia in termini ideologici sia in quelli più prosaici del contegno social, non è di certo un eversore neonazista, ma uno storico con un solido background editoriale e accademico e, soprattutto, per i fini che qui interessano, dalle collaborazioni con fondazioni, associazioni e partiti dell’area di centrodestra.

Fa quasi sorridere oggi, alla luce delle ricostruzioni offerte dai mass media che lo dipingono come una sorta di troll mussoliniano, rileggere il suo articolo apparso nell’agosto 2020 su Formiche.net, nel quale consigliava la Meloni di non assumere né una posizione eccessivamente moderata ma nemmeno troppo radicale: un articolo nel quale, in maniera chiara e priva di qualunque ambiguità, venivano regolati i conti con il nostalgismo da camicia nera, residuale in alcune frazioni di FdI che però appunto Gervasoni liquidava come prive di peso specifico nel disegno complessivo del partito della Meloni, la quale avrebbe dovuto invece ambire a un respiro sovranista e conservatore, pur senza scadere nell’estremismo d’accatto.

Non propriamente il ragionamento di un presunto ideologo suprematista. Poi, per carità, qualcuno potrà dire che per anni dissimulava in pubblico, mentre nel segreto azzurrognolo dei social network adunava le folle digitali per offendere il presidente della Repubblica, d’altronde si è capito che per i comunisti ormai vale tutto, per quanto dadaista possa essere una ricostruzione.

Però, date queste premesse, se si eccettua un largamente generico post apparso sui profili social proprio di Giorgia Meloni, riguardo l’operazione poliziesca e le sue implicazioni concettuali, in primis il giro di vite contro la libertà di espressione, per quanto essa possa essere corrosiva, velenosa o anche francamente oscena, la destra italiana ha esercitato la nobile arte in cui sembra da sempre più ferrata: scappare a gambe levate.

La strategia dello struzzo, con la testa cacciata a viva forza sotto la sabbia, mentre tutto attorno il mondo si incendia, la società va avanti o indietro a seconda dei punti di vista, i comunisti si fanno sempre più baldanzosi e arroganti, è un classico che non manca mai di stupire, in negativo, per il suo intrinseco masochismo.

D’altronde, visto che parliamo di masochismo, von Masoch ne “La venere in pelliccia” ha scritto che chi si lascia frustare merita di essere frustato. E così, nonostante il Paese da mesi ormai sia avviato e avvitato nel cuore di una delle più gravi crisi istituzionali involgenti il potere giudiziario, nonostante il ‘sistema’ Palamara, nonostante il Consiglio di Stato abbia sconfessato in maniera clamorosa e piena la nomina dell’attuale procuratore capo della Procura di Roma decretata a suo tempo dal Csm, e nonostante lo scandalo dei verbali filtrati fuori dal Csm in direzione testate giornalistiche, nessun politico, intellettuale, filosofo riferibile al centrodestra ha provato a criticare il potere magistratuale e a sottolineare la intrinseca gravità di una operazione che ha visto coinvolti i reparti speciali, con tanto di blitz mattutino e perquisizioni domiciliari, in danno di un professore universitario che pure con quel centrodestra ha non episodici rapporti.

Quasi nessuno ha sollevato la pericolosità di contestazioni ideologiche poggianti sulla sdrucciolevole base di una fattispecie criminosa d’ancien regime.

Quasi nessuno ha rilevato come molto spesso una parte della magistratura requirente coltivi rapporti non episodici con il mondo della sinistra e con una parte della stampa, nonostante le vicende descritte sopra concilierebbero una seria riflessione sulla oggettiva politicizzazione di frammenti della magistratura e il perseguimento di fini non sempre propriamente nobili.

Mi sembra ci sia sufficiente carne al fuoco, tra scandali ed esercizio assai spesso creativo dell’azione penale, per sollecitare una massiccia mobilitazione a favore di un moto referendario che metta a sistema i veri rimedi e razionalizzi alcune delle distorsioni che stiamo sperimentando, proponendone il superamento, ricorrendo alla  separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, responsabilizzazione, superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale, radicale riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e contrasto alle fughe di notizie che assai spesso crocifiggono gli indagati prima ancora di qualunque accertamento.

La stampa infatti, nel delineare l’identikit politico di Gervasoni, lo ha avvicinato, anzi lo ha reso quasi organico, indulgendo in un compiacimento simil-lombrosiano, a un non meglio precisato mondo suprematista: ma se uno va a ripercorrere le pubblicazioni, le collaborazioni, le partecipazioni a convegni del professore si noterà come le stesse si iscrivano nel mondo di una destra istituzionale, assai spesso con ampia rappresentanza parlamentare e di un mondo culturale tra sovranismo e conservatorismo.

Niente congiure, niente mondo oscuro del neonazismo, niente pittoreschi e runici raduni tra torce baluginanti, ma solo incontri e convegni di una destra comunque rispettabile, anche se so perfettamente che per i comunisti nessuna destra è mai rispettabile davvero.

Gervasoni è stato relatore e partecipante a incontri come la National Conservatism Conference, di Roma, assieme a relatori statunitensi, israeliani, italiani, nessuno dei quali appartenente al sedicente ‘suprematismo’, qualunque cosa significhi il termine; ha parlato nel convegno di presentazione di un libro sul sovranismo, nel novembre 2019, assieme alla professoressa Ginevra Cerrina Feroni, attualmente vicepresidente del Garante Privacy e che nessuno sano di mente potrebbe sospettare di presunte simpatie per il suprematismo.

Gli unici quotidiani e autori che hanno difeso Gervasoni, o meglio hanno preso di petto la vera questione, ovvero il giro di vite contro la libertà di espressione e la vetustà del reato contestato rispetto al nostro ordinamento e alla società del 2021, sono stati Libero e La Verità, Feltri, Capezzone, le firme di questo sito, Atlantico Quotidiano. Ci sono stati interventi poi di Becchi e Palma, sul sito di Nicola Porro. Quasi tutte firme più legate al mondo liberale che non alla destra. Tutto qui.

Ma in generale, si è registrato un ordine sparso che ha perso per via, come al solito, diversi esponenti di politica e cultura che forse per antipatia personale nei confronti dell’indagato, forse per paura di ‘sporcarsi’, o per altri motivi di cui mi importa assai poco, si sono eclissati alla velocità della luce, magari dopo una vita spesa lamentando l’ingiusto ostracismo nei loro confronti.

E sinceramente, lo ribadisco ancora una volta, si può contestare la permanenza nel nostro ordinamento di una certa fattispecie di reato e difendere la libertà di espressione pure se ci interessa poco dell’indagato di turno. Anche perché, ne sono ben sicuro, molti degli smemorati e dei silenti odierni sono gli stessi che si stracciano le vesti per la deriva liberticida implicata dal ddl Zan.

Silenzio anche ora che il ministro dell’università interviene nella vicenda chiedendo all’Università del Molise, ove Gervasoni insegna, una istruttoria disciplinare.

Il tutto mentre Matteo Salvini viene coperto di insulti da ultras pro-palestinesi, conditi da virulente minacce e da insulti alla madre del leader della Lega, mentre i comunisti continuano a chiedere di riflettere sulla ‘guerra civile’ degli anni Settanta e sui loro compagni che ’sbagliavano’, chiedendo amnistie, perdoni, redigendo petizioni, e la destra al solito si è frantumata in mille pezzi, tra volute di fumo e silenzio monastico.

Il paradosso, atroce e grottesco al tempo stesso, è che in questo Paese i comunisti hanno difeso i loro per senso di appartenenza identitaria ai limiti del tribale, hanno difeso a prescindere dalle ragioni o dai torti oggettivi, andando oltre la gravità delle accuse, e hanno messo nello stesso calderone di appassionata, totale difesa ex terroristi, intellettuali perseguitati, assassini, gente che ha appiccato roghi, gambizzato, elogiato atti di violenza e di illegalità, accogliendo poi con paterno trasporto il ritorno a casa dei ‘rivoluzionari’.

Hanno fatto quadrato, chiudendosi a riccio, senza voler sentire accuse e verità, hanno difeso a priori. A destra al contrario si sono chieste pene esemplari, si sono isolati i ‘reprobi’ che poi erano chiaramente innocenti, oppure come nel caso di specie si è serbato un rigoroso e fragoroso silenzio nonostante contestazioni penali che implicano il mero esercizio della parola e dell’intelletto, non certo della violenza. Un silenzio gravido di pavida inettitudine.

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