MediaQuotidiano

La fallimentare narrazione renziana sui social

Media / Quotidiano

Renzi è tornato. Dopo il lungo silenzio seguito alla disfatta del 4 marzo, rotto da qualche intervento estemporaneo, l’ex segretario dem ha ricominciato a fare opposizione. Un’opposizione che per tempismo e modalità sembra fin troppo strumentale. E tutta orientata ad un unico fine: riprendersi la guida del Pd. In effetti al Nazareno le acque sono piuttosto agitate e le iniziative di Calenda e Zingaretti stanno mettendo in discussione gli equilibri interni. Recuperare le posizioni perse in questi tre mesi sembra dunque l’imperativo che guida i renziani.

Dopo la disastrosa campagna mediatica finalizzata ad evidenziare l’impossibilità di un accordo tra Lega e 5 Stelle, l’ex Presidente del Consiglio crede ancora di poter ricucire il rapporto di fiducia con gli Italiani. E puntuale è ricominciata la stantia narrazione renziana. L’Italia che riparte grazie ad iniezioni di ottimismo, l’Italia degli 80 euro e della crescita.L’Italia delle slide. Un’Italia immaginaria. 

Insomma, è rinato il populismo di governo fondato sui derby tra speranza e paura, tra europeisti e populisti e tra flessibilità e rigore. Buoni e cattivi sono già definiti dai termini della competizione. Le consuete semplificazioni fallimentari che lo hanno condotto al rovinoso esito del referendum sono tornate alla ribalta. Vengono ripetute con la sicumera di chi si sente il primo della classe, nonostante le continue e reiterate sconfitte.

A Renzi, e al suo entourage, non sembra chiaro il cambiamento avvenuto in Italia e nel mondo. Le grandi narrazioni non funzionano più, non fanno più presa sull’elettorato. E diventano letali se non si riferiscono alla realtà vissuta e percepita. Sostenere che l’Italia sia ripartita grazie al ‘governo dei 1000 giorni’, quando il tasso di disoccupazione resta inchiodato all’11,2% significa non fare i conti con il principio di realtà. Lo stesso ragionamento vale per lo scottante tema dell’immigrazione. Grazie all’operato di Minniti (definito fascista da alcuni importanti esponenti del Pd…) gli sbarchi sono notevolmente diminuiti ma la percezione dell’insicurezza rimane alta. E non bastano i numeri per rassicurare chi vive gravi situazioni di degrado. Basti pensare alle periferie delle grandi città.

Una narrazione quando stride con il vissuto di milioni di persone diventa controproducente. Anzi dannosa. Perché crea uno iato irreparabile tra il narratore e l’uditorio che incomincia a diffidarne. Se il messaggio prosegue senza alcuna variazione, nonostante innumerevoli segnali negativi, il comunicatore perde qualsiasi credibilità. Le sue parole, per principio, vengono ignorate preventivamente perché ritenute false a priori.

Ed è proprio ciò che è accaduto a Renzi in questi ultimi anni. La sua figura è ormai delegittimata, le sue parole largamente ignorate. Mentre Salvini imperversa con una comunicazione istintiva e immediata che affonda le proprie radici nella realtà del Paese (o almeno in quella percepita), l’ex segretario del Pd arranca. Tenta di fare delle diretteFacebook emulando il leader della Lega e viene riempito di commenti negativi; prova a fare battute e gag ma queste gli si ritorcono contro. Il Paese ormai viaggia su tutt’altralunghezza d’onda.

L’ex Presidente del Consiglio dovrebbe mettersi il cuore in pace. È finita la sua epoca. Come sono tramontati Obama, Blair e i grandi miti del progressismo che avevano fatto dello storytelling una delle fonti principali del proprio consenso. È l’ora dei populisti, e di una comunicazione immediata che non è più narrazione: populismo 1, Renzi 0.