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La lezione di Vilfredo Pareto: non solo teoria, una conoscenza mai disgiunta dalla realtà

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Il marchese Vilfredo Federico Damaso Pareto (Parigi 1848 – Ginevra 1923) inventò un termine che oggi pare quanto mai attuale: quel termine è “ofelimità”. Con tale locuzione, Pareto indicò quel tipo particolare di utilità che ciascuno di noi attribuisce a qualcosa, secondo i propri desideri e soltanto in linea con le nostre condizioni personali. Nell’economia politica classica, con il termine si indica esattamente “quel rapporto di convenienza, che fa sì che una cosa soddisfi un bisogno o un desiderio, legittimo o meno».

Come accadde spesso in passato per altri giganti della Storia, Pareto fu un personaggio eclettico, la cui esperienza di lavoro e di studio fu assolutamente multiforme e variegata. Laureatosi in ingegneria al Politecnico di Torino, dove visse dopo l’infanzia trascorsa in Francia, ebbe grande successo come dirigente tecnico nel settore ferroviario e siderurgico, che lo vide prima direttore delle ferrovie di S. Giovanni Valdarno e poi direttore generale delle Ferriere Italiane (il primo polo siderurgico italiano). Ma ciò che rende famoso Vilfredo Pareto è la sua opera di economista, in quanto entusiasta, e poi autorevole, fautore della teoria del libero scambio, in contrapposizione con la dominante corrente protezionista che tendeva a favorire – solo allora? –  i grandi gruppi industriali e le concentrazioni di potere. Persona colta, raffinata e dedita alla frequentazione dei “salotti buoni”, primo agone politico e principale ambiente comunicativo della sua prima fase divulgativa, non smise mai di rimanere un industriale ed un tecnico, uno che sapeva bene come funzionano le fabbriche e di cosa abbisognano per fare carri ferroviari e manufatti in acciaio. Tutto si potrà addebitare all’economista francese naturalizzato italiano, tranne di essere stato un mero teorico, uno di quelli di cui ancora abbondiamo e dai quali ci sentiamo spiegare come si debba fare questo o quello. Pareto appartenne all’epoca nella quale, di solito, chi parlava in pubblico o scriveva libri, sapeva bene ciò che diceva, con profonda cognizione di causa. Dedicò allo studio accuratissimo dell’economia politica lunghi anni prima di dire la sua, formandosi alla scuola del Giornale degli Economisti, allora diretta da Maffeo Pantaleoni, e contribuendo peraltro, e pure in misura determinante, alla formazione della dottrina dell’economia matematica. Si potrebbe quindi pensare ad una vita fatta di sempre maggiori successi, ad un cursus honorum senza battute d’arresto e senza problemi. Ma i problemi e le delusioni vi furono, eccome, come quando gli venne negata la cattedra in economia in Italia, a causa della vibrante protesta degli accademici del tempo, che lo ritenevano troppo “tecnico” e troppo poco “professore”, riferendosi a lui spregiativamente, con l’appellativo “l’ingegnere”.

Come accade ancora oggi nelle dispute combattute col coltello tra i denti e senza esclusioni di colpi dell’ambiente accademico si cadde nella contraddizione di ritenere Pareto, da una parte, troppo legato agli aspetti pratici della produzione industriale e, contemporaneamente, troppo rivolto agli aspetti sociologici più che a quelli freddamente economici. Per dirla senza giri di parole, ben possiamo affermare che già nel primo Novecento l’élite universitaria non perdeva occasione per scoccare strali al curaro contro chi osasse entrane a far parte senza il placet dei primi tromboni che dirigevano l’orchestra. Come tutte le persone d’ingegno, tuttavia, il marchese Pareto la cattedra la trovò subito all’estero, nella Losanna dove insegnò il gigante dell’economia Walras, del quale, con enorme scorno dei colleghi italici, Vilfredo Pareto divenne il successore nel 1893. Se anche potessimo trascurare l’enorme peso nell’economia moderna della teoria del libero scambio, poi letteralmente esplosa attraverso l’opera di John Maynard Keynes, curiosamente anch’egli nobile, che quando Pareto divenne titolare della cattedra di economia a Losanna aveva dieci anni, la vita del marchese Vilfredo c’insegna qualcosa che vale la pena di ricordare come esempio di passione, coerenza ed eclettismo, mai disgiunti dalla compiuta conoscenza della cruda realtà, quella che fa funzionare le fabbriche e costruisce il progresso lingotto dopo lingotto.

Siamo abituati, noi sapientoni del terzo millennio, a ripetere la frase “la ricchezza del mondo è posseduta dal venti per cento della popolazione”, talvolta espressa anche con la formula “l’ottanta per cento dei risultati è prodotto dal venti per cento del lavoro”, che, di per sé, sembrerebbe l’amara considerazione di chi ha osservato criticamente le trasformazioni politiche della civiltà prodotte dalla rivoluzione industriale, dalle guerre mondiali, dalla rinascita del boom economico e dalla crescente crisi mondiale odierna. Niente affatto. Lo scrisse Pareto nel 1897, mentre si trovava a Londra per studiare i meccanismi della struttura industriale inglese. Concludo con qualche altra citazione dello stesso autore: “Per molti socialisti, ogni guaio, piccolo o grande, che possa toccare all’uomo è sicura conseguenza del capitalismo”. Ed ancora: “I precetti morali sono spesso rivolti ad assodare il potere della classe dominante, spessissimo a temperarlo”, per concludere con questa: “Notiamo che l’incivilimento europeo è frutto di infinite guerre e della larghissima distruzione dei deboli compiuta dai forti; con quelle sofferenze si è comprata la prosperità presente; ciò è bene o è male?”. Mi piace concludere proprio con questa citazione di Pareto, soprattutto perché termina con un dubbio, quello che dovrebbe albergare sempre in ogni persona razionale. L’invito ad una lettura più approfondita dell’opera di Vilfredo Pareto, vi assicuro, non sarà mai noiosa e troppo densa di astruse formule economiche, al contrario, potrà essere una straordinaria occasione di riflessione su molti temi sociali attualissimi; l’opera di un grande professore, a cui i succitati primi tromboni con obbligo della seconda trombetta, della barbosa e supponente orchestrona accademica italica negarono la cattedra, ritenendolo poco più che un mentecatto. Loro.