Troppo spesso la frase “non si è liberi di gridare ‘al fuoco’ in un teatro affollato” viene citata per tappare la bocca a chi contesta i provvedimenti anti-Covid, ma senza conoscere la sentenza in cui è contenuta, considerata una delle peggiori decisioni della storia della Corte suprema Usa
Molte persone che oggi vanno per la maggiore nel nostro Paese non si limitano a sostenere le proprie idee (sempre rispettabili anche quando non condivisibili) sul modo di uscire dalla pandemia, ma pretendono anche (cosa questa invece non rispettabile) di negare il diritto a chi la pensa diversamente da loro di esprimere la propria opinione. Per fare ciò ricorrono spesso alla frase “lapidaria” secondo cui “non si è liberi di gridare ‘al fuoco’ in un teatro affollato”: i lettori di Atlantico Quotidiano ne troveranno conferma rileggendo ad esempio il tweet del noto virologo ed opinionista Roberto Burioni riportato nell’articolo di Federico Punzi dello scorso 11 ottobre.
Nella nostra epoca, dove la comunicazione è diventata molto più agevole e diffusa, ma anche molto più superficiale, la verità è sempre più spesso una verità solo apparente fatta di particolari tanto “oggettivi” quanto ingannevoli e la conoscenza è sempre più una conoscenza che si concentra su dettagli insignificanti ed ignora le cose importanti. Vale perciò a mio parere la pena di soffermarci un poco ad approfondire l’origine di questa frase tanto citata e il contesto di insieme in cui si inserisce, anche perché ciò ci darà modo di parlare di un grande giurista che fu anche un grande uomo e di accennare ad un principio da lui affermato che dovrebbe servire da guida sia nell’attività scientifica che nel vivere civile.
Chi conosce la sentenza della Corte suprema americana che contiene l’affermazione sul teatro affollato, cioè la sentenza della causa Schenck contro Stati Uniti, pronunciata nel marzo del 1919 (la data indicata nel tweet di cui sopra è errata) in genere si guarda bene dal citarla per sostenere le proprie tesi, dato che essa è considerata una delle peggiori decisioni della storia della Corte, tanto che alcuni studiosi la inseriscono in una sorta di “lista nera” che comprende anche, ad esempio la sentenza che giustificò la creazione di carrozze separate per bianchi e per persone di colore sui mezzi pubblici (causa Plessy contro Ferguson del 1896), e quella che, durante la Seconda Guerra Mondiale, considerò legittimo l’internamento senza prove in campi di detenzione dei cittadini americani di origine giapponese sospettati di collegamenti con il nemico (causa Korematsu contro Stati Uniti del 1944).
Nella causa Schenck peraltro non si aveva a che fare con nessun incendio vero o presunto: quello della persona che grida “al fuoco” in un teatro affollato rappresentava solo un esempio, finalizzato ad illustrare meglio la decisione. In essa si faceva invece questione della legittimità della condanna penale inflitta a Charles Schenck, segretario del Partito socialista americano, per avere promosso la diffusione negli ambienti militari di volantini che contestavano (senza peraltro invitare alla disobbedienza civile) la coscrizione obbligatoria che insieme all’arruolamento volontario, era stata introdotta da una legge del Congresso in seguito all’entrata in guerra degli Stati Uniti durante il primo conflitto mondiale.
Di fronte alla condanna per “sabotaggio”, per avere con il volantinaggio ostacolato l’attività di reclutamento dei soldati, la difesa di Schenck si appellò al primo emendamento alla Costituzione americana che tutela la libertà di parola, ma invano. La Corte all’unanimità, dopo avere fatto en passant l’esempio poi divenuto famoso del teatro, stabilì che, durante un periodo di emergenza i diritti possono essere maggiormente limitati e che, a prescindere dalle sue intenzioni una persona può essere condannata per le proprie opinioni se queste possono causare un pericolo “grave ed attuale” di violazione delle norme di legge, nel caso specifico di quelle sul reclutamento. Una visione certamente molto restrittiva della libertà di parola, anche se non paragonabile ovviamente a quanto accadeva in Europa nella stessa epoca.
A scrivere la decisione condivisa da tutti i nove giudici fu uno dei più grandi giuristi americani di tutti i tempi, Oliver W. Holmes jr. (1841-1935). Originario di Boston nel Massachusetts, cristiano di confessione “unitaria” (gli unitari sono quei cristiani che non credono al dogma della Trinità), figlio del medico e poeta Oliver W. Holmes sr., dopo avere partecipato giovanissimo alla guerra di secessione, militando nell’esercito unionista, si dedicò agli studi legali, laureandosi all’università Harvard. Praticò quindi per anni l’avvocatura, fu giudice nello stato del Massachussetts e professore nella stessa università in cui aveva studiato; scrisse inoltre alcuni libri sul diritto (il “common law”) americano che ancora oggi sono considerati opere fondamentali in tale materia. Infine nel 1902 fu nominato dal presidente Theodore Roosevelt giudice della Corte suprema federale, dove prestò servizio per trent’anni, fino a quanto ormai novantenne – un record – si ritirò nel 1932. Seppe combinare a detta di tutti l’orientamento progressista diretto alla promozione dei diritti delle minoranze sociali ed economicamente svantaggiate con la rigida tutela delle libertà individuali.
Tra gli studiosi di storia del diritto americano qualcuno non gli perdona di avere scritto la sentenza della causa Schenck; altri invece, con maggior senso di realismo ritengono a questo proposito che la grandezza di un uomo non consiste nel non commettere errori, ma nel saperli correggere, e c’è anche chi cita il famoso verso di Orazio, secondo cui ogni tanto “anche il grande Omero sonnecchia” (“bonus dormitat Homerus”). Come che sia, Holmes jr. si “risvegliò” presto dal suo errore. Nello stesso anno 1919, nel mese di novembre la Corte si pronunciò sulla causa Abrams contro Stati Uniti, nella quale Jacob Abrams, immigrato russo di convinzioni leniniste, condannato per “cospirazione contro gli Stati Uniti”, anche lui per la diffusione di volantini che in questo caso inveivano, anche con epiteti pesanti rivolti al presidente americano, contro la guerra “imperialista” e inneggiavano alla “rivoluzione comunista”, si era appellato al primo emendamento.
Come nella causa precedente la Corte confermò la condanna, ma solo sette giudici aderirono: Holmes jr., a cui si unì il giudice Luis Brandeis, questa volta scrisse un’opinione dissenziente destinata a fare scuola nel diritto americano, ben più della frase buttata là dell’incendio nel teatro della sentenza Schenck. Nell’opinione dissenziente della causa Abrams sono contenute infatti alcune affermazioni fondamentali: che il contenuto del diritto di parola è lo stesso sia in pace che in guerra (cioè sia in condizioni normali che in emergenza) e che quindi non può mai essere ridotto a seconda delle circostanze; che la libertà di parola può essere limitata solo quando essa diventa una istigazione intenzionale a commettere un atto illecito concreto, cioè quando diventa una forma di complicità nello stesso; che i Parlamenti e i Governi non possono impedire a nessuno di cercare di modificare le loro decisioni.
Holmes jr. portò avanti per tutto il resto della sua carriera alla Corte queste posizioni dissenzienti rispetto agli orientamenti di maggioranza. Ci volle del tempo, ma alla fine le sue tesi si affermarono. Esattamente mezzo secolo dopo la sentenza Schenck, nella causa Brandenburg contro Ohio, decisa dalla Corte suprema nel giugno del 1969, la tutela della libertà di parola, se non usata strumentalmente al fine di istigare a commettere un concreto atto delittuoso ma solo per esprimere idee generali, per quanto aberranti, fu ritenuta più importante di tutte le esigenze di prevenzione dei possibili pericoli sociali derivanti dalla diffusione di tali idee. In particolare la Corte, con decisione unanime, redatta dal giudice William J. Brennan dichiarò addirittura illegittima la condanna di Clarence Brandenburg, dirigente del Ku klux klan, che, durante un raduno dell’organizzazione razzista aveva inneggiato in generale all’uso della violenza, in ciò richiamandosi ai principi stabiliti da Holmes jr. secondo cui l’espressione di un pensiero può essere condannata solo se diventa in concreto complice di un delitto o di un atto illecito. Nella sua opinione concorrente (un’opinione con cui un giudice americano, che concorda con la maggioranza aggiunge alcune motivazioni sue proprie), il giudice William O. Douglas fece esplicito riferimento all’insegnamento che si doveva ricavare dall’evoluzione del pensiero di Holmes jr. dalla causa Schenck alla causa Abrams.
Un altro mezzo secolo è passato dalla causa Brandenburg ad oggi, e nessuno negli Stati Uniti, pure spesso patria di scontri polemici al calor bianco, si sognerebbe di negare ad altri il diritto di esprimere le proprie opinioni su come affrontare la pandemia, a maggior ragione in quanto non si tratta di tesi razziste o leniniste, ma solo di ipotesi scientifiche e/o di teorie sociali, che hanno alle loro spalle studiosi altrettanto illustri nei due campi contrapposti e dove un potere pubblico che voglia essere democratico e liberale è tenuto a rispettare il diritto dei dissenzienti di portare avanti le loro idee. Troppo spesso, di Holmes jr. viene citata meccanicamente (o “pappagallescamente”, come diceva un mio vecchio insegnante che usava questo termine per chi recitava a memoria le poesie senza poi saperle commentare) la frase sul teatro in fiamme. Personalmente ritengo invece che sarebbe utile riflettere su queste brevi considerazioni del grande giurista, tratte dall’opinione dissenziente della causa Abrams:
“…. la migliore prova della verità è il potere del pensiero di farsi accettare in una competizione di mercato, e … la verità è l’unica base sulla quale i loro [degli uomini] desideri possono essere portati avanti con sicurezza. Questa in ogni caso è la filosofia della nostra Costituzione. È un esperimento, come tutta la vita è un esperimento. Ogni anno, se non ogni giorno, dobbiamo scommettere la nostra salvezza su una qualche profezia basata su una conoscenza imperfetta.”
“ …. the best test of truth is the power of the thought to get itself accepted in the competition of the market, and … truth is the only ground upon which their [men’s] wishes safely can be carried out. That at any rate is the theory of our Constitution. It is an experiment, as all life is an experiment. Every year if not every day we have to wager our salvation upon some prophecy based upon imperfect knowledge.”
Nei periodi di emergenza, quale quello in cui stiamo vivendo, le decisioni dei poteri pubblici diventano più difficili e le opinioni scientifiche meno sicure: è una cosa inevitabile, ma proprio per questo è tanto più necessario questo atteggiamento umile ed empirico descritto da Holmes jr., un atteggiamento che ad esempio dovrebbe essere diretto a valutare pacatamente quali sono stati gli errori, alcuni gravi (non ultimo, a mio avviso, l’introduzione del Green Pass) commessi nella gestione dell’epidemia, e che dovrebbe unire, pur nelle legittime divergenze scienziati, opinionisti e politici, al fine di evitare che essi si ripetano in futuro, anche perché chi scrive crede (a costo di essere accusato di pessimismo) che le occasioni purtroppo non mancheranno.