Una questione in particolare ha caratterizzato l’ultimo decennio, ma pare che sia passata inosservata lontano dalle preoccupazioni dei cittadini, quasi come fossero ignari. Non è l’economia né il lavoro, non è nemmeno l’onnipresente immigrazione o l’infinita dicotomia Euro/sovranità. Per la prima volta, dopo decenni, è stato rimesso in discussione ed attaccato uno dei diritti fondamentali dell’uomo: la libertà di pensiero e di parola. Se pensiamo che questo problema sia arginato a un qualche episodio locale, dobbiamo seriamente ricrederci: proprio come un’epidemia, sembra essersi diffuso prima negli Stati Uniti, per poi attraversare l’Oceano e disseminarsi trasversalmente attraverso l’Europa. Complici di questo, purtroppo, sono i giovani.
Una ricerca effettuata dal Pew Research Center rivela come il 40 per cento dei Millennials statunitensi (ovvero i ragazzi e le ragazze tra i 18 e i 34 anni) siano propensi a sostenere che il Governo o lo Stato debbano impedire alle persone di dire cose o affermazioni offensive, spesso e volentieri di carattere razziale o “gender-based”. In Europa la questione si fa più seria: sempre lo studio riporta di come sette tedeschi su dieci siano d’accordo nel concedere allo Stato i poteri di limitare la libertà di espressione su argomenti controversi, mentre in Italia sono “solo” sei su dieci. In generale, il 49 per cento degli europei intervistati si dice a favore di una qualche forma di censura o controllo. Il dibattito su quale tipo di pensiero dovrebbe essere tollerato in pubblico è diventato un fatto importante in tutto il mondo negli ultimi tempi – complici anche le questioni etniche sulla scia dei fenomeni migratori, gli attacchi terroristici, le lotte di genere e il recente risalto mediatico dei gruppi politici estremisti.
La critica che viene avanzata dai socialdem e progressisti – spesso anche accademici – contro libertà di espressione deriva dal paradosso della tolleranza formulato da Karl Popper nel suo saggio “La società aperta e i suoi nemici” (1945), dove recita: “La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.” In poche parole: se noi tolleranti diamo la possibilità di espressione anche ai gruppi intolleranti, inevitabilmente loro prevarranno su di noi, distruggendo la libertà.
Politicamente questo si traduce con molti giovani che strizzano l’occhiolino alle forme di governo politically correct dal forte stampo paternalistico, come il socialismo. Nel Regno Unito i sintomi sono molto evidenti, ne è la dimostrazione l’ampissima e giovanissima base elettorale del leader laburista Corbyn, sostenitore delle peggiori idee uscite da una qualche utopia socialista ex-URSS. In Italia tale fenomeno si è manifestato con le innumerevoli proposte provenienti del mondo di sinistra: dalla legge Fiano alle quotidiane uscite della Boldrini, fino ad arrivare alle illiberali ed “evergreen” manifestazioni antifasciste; le quali si fanno fiere portatrici della violenza politica giustificata come “preventiva”.
Una società liberale nel vero senso della parola, anziché affidarsi al giudizio delle emozioni passa prima attraverso il dibattito razionale, il confronto, l’utilizzo dell’intelletto e l’applicazione del sistema legislativo in modo da poter esplorare ed analizzare idee scomode. La repressione a prescindere del pensiero “sbagliato” è pericolosa per diversi motivi: in primo luogo rischia di risultare ancora più intrigante ed appetibile agli occhi delle più disparate categorie di cittadini, dando una parvenza di legittimità (“qualche potere forte non vuole che si sappia”, tanto per fare un esempio). In secondo luogo, ritenere che delle opinioni che non ci piacciono NON debbano essere diffuse solo per mere questioni di appartenenza politica o di gusti personali è la cosa più illiberale e pericolosa di sempre. Chi stabilisce ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? Chi stabilisce ciò che è da censurare e ciò che si può diffondere? Chi si può arrogare questo potere capace di prevaricare i diritti individuali e la dignità del libero pensiero umano? In una situazione simile, passare dalla parte della “ragione” alla parte del “torto” sarebbe pericolosamente troppo facile, un confine troppo labile in balia del politicante di turno: ciò creerebbe un precedente dove lo Stato o, per meglio dire, un qualche grigio burocrate in un grigio ufficio avrebbe la possibilità di poter mettere dei paletti alle nostre libertà fondamentali.
I pensieri, soprattutto quelli che riteniamo avversi, devono poter essere liberamente discussi, criticati e messi a nudo davanti a tutti: solo così possiamo evitare il diffondersi di idee pericolose e stupide. Sulla linea delle parole di Ronald Reagan, dobbiamo ricordarci che la libertà di parlare, pensare, criticare, essere e anche offendere, non è mai più di una generazione lontano dall’estinzione. Non si passa ai figli attraverso il sangue e non si può tramandare come fosse un testimone, ma va difesa sia per noi stessi che per gli altri, anche se si tratta di nostri antagonisti politici.
“I may not agree with you, but I will defend to the death your right to make an ass of yourself.”
Oscar Wilde