La lite tra il ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, e il pm palermitano Nino Di Matteo rappresenta l’apogeo del giustizialismo all’italiana, il cortocircuito che ha fatto esplodere tutte le contraddizioni e le debolezze di un movimento nato all’inizio degli anni Novanta con Mani Pulite e modificatosi più volte per presentare i nemici del momento – ieri Berlusconi, oggi, naturalmente Salvini – come il Male Assoluto e poco di buono imputabili e condannabili sulla base di dicerie, accuse improbabili, inchieste montate ad arte.
I fatti sono noti. Di Matteo in tv sostiene di non aver ottenuto la direzione del Dipartimento amministrazione penitenziaria (DAP) perché il ministro grillino gliela negò sotto le pressioni dei boss dopo avergliela offerta in precedenza. Bonafede ha negato tutto questo sia in Parlamento sia difendendosi sui media. Alla fine, per mettere pace tra i duellanti giustizialisti sono intervenuti anche i giornalisti giustizialisti che hanno parlato di un “malinteso” tra i due. Il gusto per il comico non fa certamente difetto ai contendenti di una vicenda che, in un Paese normale, non potrebbe che avere due conclusioni possibili: se Di Matteo si è reso responsabile di una affermazione tanto grave quanto mendace dovrebbe rassegnare le sue dimissioni da membro del Csm; se, invece, le sue dichiarazioni meritano un ulteriore approfondimento, e risultassero veritiere, dovrebbero necessariamente portare alle dimissioni del ministro della giustizia.
Bonafede e Di Matteo sono due personaggi da tempo nel pantheon dei giustizialisti italiani: un olimpo che li vede accanto ad Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Nanni Moretti, il popolo dei girotondi, il popolo viola e tutti coloro che negli ultimi trent’anni hanno cercato di sfruttare mediaticamente il populismo delle manette facili al grido “tutti ladri, tutti da arrestare”. Per il manettarismo pentastellato Bonafede era il capopopolo che (finalmente!) stanava i corrotti, li faceva arrestare e buttava via la chiave del carcere. Pazienza se nei regimi democratici il governo non può fare arrestare e condannare gli imputati. Ai giustizialisti non è mai interessato. Basta che tintinnino le manette, anche per i soli sospetti. Di Matteo invece era il simbolo della lotta alla mafia, colui che i 5 Stelle sostenevano contro i “vecchi politici mafiosi” per fare finalmente pulizia. Ma, alla fine, in epoca di sanificazione perenne, la pulizia si è ritorta su se stessa, e ora i due sono in conflitto nell’arena più disprezzata dai loro elettori-simpatizzanti: quella politica.
Nei giorni scorsi, nella sua informativa in Parlamento Bonafede ha parlato della lite con Di Matteo come di una fake news e si è dovuto difendere dall’accusa di avere concesso i domiciliari a un numero imprecisato di malavitosi per via dello scoppio dell’epidemia di coronavirus nelle carceri. “Ne va della mia onorabilità”, ha detto il ministro. Nessuno tra chi si vanta di avere una fede liberale l’ha mai messa in dubbio. Ma provate a immaginarvi se in passato un governo presieduto da Berlusconi – o un ipotetico governo Salvini in futuro – avesse compiuto lo stesso gesto, emanato lo stesso atto. I giornali avrebbero avuto quella che in inglese si definisce a field day, una giornata campale: appelli a resistere, inviti a circondare il Ministero in via Arenula, inchieste su presunti legami dei mafiosi con il governo e i suoi componenti, interventi a getto continuo dei professionisti dell’antimafia a reti unificate e fiaccolate per la libertà (in barba al lockdown).
Quello che ci insegna la polemica – speriamo conclusa – tra il Guardasigilli e il pm è che la giustizia è un campo minato da gestire con sensibilità politica, valori etici, ragionevolezza: tutto ciò che è sempre mancato al grillismo dai suoi esordi (ricordate i Vaffaday?) alla attuale fase governista. È vero quello che diceva Pietro Nenni: “A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro… che ti epura”. Solo che non vorremmo mai che questa volta, a essere epurata, fosse la nostra civiltà giuridica. I due contendenti e i loro aficionados giustizialisti ne tengano conto.