Pericolosa illusione per l’Italia (e l’Europa) pensare di poter giocare in entrambe le squadre
Era il 5 marzo del 1946 quando, parlando a Fulton in Missouri, Wiston Churchill disse:
“Una cortina di ferro è calata sul loro fronte [dei russi]. Non sappiamo che cosa stia succedendo dietro di essa. Non c’è dubbio che l’intera regione ad est della linea Lubecca – Trieste – Corfù sara presto completamente nelle loro mani. A ciò inoltre bisogna aggiungere l’enorme area tra Eisenach e l’Elba che gli americani hanno conquistato e che presumo i russi occuperanno fra poche settimane, quando gli americani si ritireranno.“
Il discorso di Churchill fu il primo passo verso la Guerra Fredda, che prese poi ufficialmente avvio con la divisione definitiva della Germania, la nascita dell’Alleanza Atlantica e del Patto di Varsavia. Oggi, a distanza di oltre trent’anni dalla fine di quella Guerra Fredda, un’altra si presenta all’orizzonte: questa volta al posto della Russia c’è la Repubblica Popolare Cinese. È una guerra fredda che in realtà è davanti ai nostri occhi da anni, anche se l’Occidente ha preferito non vederla, sperando di coinvolgere Pechino nel proprio mondo e piegarlo alle proprie regole. Il risultato è stato quello di una globalizzazione che ha regalato a tutti Rolex falsi ma che, proprio come un Rolex falso, non è stato altro che una illusione. Una illusione che ha visto l’Occidente piegarsi alle regole cinesi, subire la perdita di milioni di posti di lavoro e l’impoverimento di milioni di esseri umani e rimanere quasi totalmente passivo davanti ad un regime, quello cinese, praticamente sconosciuto, poco trasparente e dedito ad attività illegali, per ottenere solamente know-how in regalo, con il solo scopo di copiarlo senza pagare alcun diritto.
La crisi del coronavirus ha, purtroppo ancora timidamente, aperto gli occhi a molti. Al di là del problema dell’origine del virus, non sappiamo praticamente nulla. Anche ammettendo l’ipotesi che il virus sia nato naturalmente, ci siamo trovati davanti ad una situazione pregiudicata per la perdita di preziose settimane, per colpa della censura del regime cinese, che ha silenziato tutti coloro che hanno provato, coraggiosamente, a dare l’allarme. Quando la pandemia è scoppiata, poi, la Cina ha reagito incolpando prima gli Stati Uniti e poi la Lombardia: un’operazione di propaganda che avveniva mentre, ripresasi dopo il primo crollo iniziale, Pechino mandava aiuti al mondo intero (in primis in Italia), a basso costo e spesso difettosi, al solo scopo quello di ricostruire la reputazione del Paese. Un’operazione che, a quanto pare, in Italia sembra essere riuscita e che oggi Pechino porterà avanti per mezzo di una vera e propria task force che colpirà chiunque intenda ledere l’immagine del regime.
È tempo però di sfruttare questa crisi per prendere coscienza che il regime cinese si trova già in uno stato di Guerra Fredda con l’Occidente, sia sotto il profilo economico e geopolitico, che sul piano ideologico. La Via della Seta ne è la prova di fatto, così come la costruzione di una marina in grado, nelle intenzioni, di sfidare quella americana nel Mare Cinese. Se la Cina dovesse raggiungere i due traguardi, Via della Seta e Marina competitiva, l’incubo dell’Heartland si farebbe concreto, regalando a Pechino non soltanto il dominio dei porti principali, ma anche una profondità strategica territoriale de facto senza confini.
Purtroppo per Pechino, e per fortuna per l’Occidente, da quell’obiettivo siamo ancora lontani. Lo siamo per la reazione americana, lo siamo soprattutto per le conseguenze che la crisi del coronavirus avrà proprio sulla Cina. Questo a patto che l’Occidente riconosca la realtà dei fatti e lavori per sconfiggere la narrazione cinese, nella consapevolezza di dover ricostruire un’alleanza. È Pechino che intende rovesciare lo status quo internazionale, che ha aperto del danze.
Reagire si può. Si può con una difesa forte, ma anche e soprattutto con la forza della legge, che porti il mondo libero a marciare all’unisono nella pretesa di avere da Pechino tutte le risposte mancanti sulla crisi del coronavirus. Una pretesa che deve accompagnarsi ad un nuovo ordine economico e commerciale, che non soltanto rivaluti le economie locali, ma che sia fondato sul rispetto delle regole, non sullo “stealing” dei copyright. Chi non si conforma a questi standard minimi, deve sapere che il prezzo è l’isolamento economico e politico. Un prezzo che dovrebbe continuare a pagare, ad esempio, anche il regime iraniano, che ad oggi ancora deve portare davanti ad un tribunale i responsabili dell’abbattimento del jet ucraino ad inizio 2020.
Perché ciò sia possibile occorrono due condizioni ad oggi purtroppo non ancora pienamente soddisfatte:
- che gli Stati Uniti intendano realmente riprendere la leadership internazionale, con tutto quello che questo comporta, anche nel senso di dare agli alleati gli spazi che meritano;
- che all’interno dell’Occidente, alcuni Paesi chiave, la smettano di pensare di poter giocare in due squadre opposte. Sarebbe un gioco pericoloso e con il solo rischio di farsi molto male da soli…
Il riferimento è all’Italia, l’unico dei grandi Paesi europei e occidentali il cui governo non ha sollevato dubbi sull’origine del virus e sulla gestione dell’epidemia da parte di Pechino, e che non si è pronunciato per un’inchiesta indipendente (lo ha fatto persino la Ue con la presidente Von der Leyen). Insomma, l’unico che sembra non essersi nemmeno accorto della reazione americana all’offensiva propagandistica cinese e dell’accelerazione che la pandemia ha dato alla nuova Guerra Fredda Usa-Cina. Business as usual con Pechino, dopo questa crisi, non sarà più possibile.
Ieri, attraverso un’intervista a La Stampa del segretario alla difesa Usa, è arrivato l’ennesimo warning da Washington e, a ben vedere, non riguarda gli “aiuti” e non è certo rivolto a Di Maio, ma direttamente a Palazzo Chigi (e al Quirinale). Mark Esper è andato dritto al punto:
“Gli avversari sfruttano la crisi per seminare divisioni nell’Alleanza e in Europa. Ciò può danneggiare la nostra alleanza. La dipendenza dai fornitori cinesi di 5G, ad esempio, potrebbe rendere i sistemi cruciali dei nostri partner vulnerabili a interruzione, manipolazione e spionaggio. Questo metterebbe a rischio le nostre capacità di comunicazione e condivisione dell’intelligence. Per contrastare tutto ciò, noi incoraggiamo gli alleati e le compagnie tecnologiche americane a sviluppare soluzioni alternative di 5G, e stiamo lavorando con loro per condurre i test di queste tecnologie in diverse basi militari negli Usa mentre parliamo”.
Un’intervista che arriva dopo la tirata d’orecchie, giovedì scorso, di Richard Hass, di cui abbiamo già parlato su Atlantico.
A rischio comunicazione e condivisione dell’intelligence. L’allenatore ci ha avvisati: potremmo finire fuori squadra.