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La nuova Ostpolitik britannica: così Londra rinnova il suo ruolo di garante dell’Europa orientale

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Nel documento base della politica estera, commerciale e di cooperazione internazionale del Regno Unito, intitolato Global Britain in a Competitive Age, il Foreign Office ha dettagliato la nuova realtà geopolitica di Londra dopo l’uscita dall’Unione europea. Ma se l’interesse nei confronti della regione dell’Indo-Pacifico è più che comprensibile, la guerra in Ucraina ha riproposto il Regno Unito come nazione europea a tutti gli effetti, e come alleato primario di Kiev nella battaglia contro la Russia.

Il premier Boris Johnson ha inaugurato così una nuova stagione di Ostpolitik britannica, che, con tutta probabilità, sarà perseguita anche da un eventuale nuovo premier conservatore o da un eventuale futuro premier laburista. Londra punta a est, e non è un mistero. Da tempo il Regno Unito agisce come garante dell’indipendenza dei Paesi Baltici all’interno della Nato e come deputy degli Usa in Romania e, soprattutto, in Polonia. Brexit o non Brexit, è dall’ingresso nell’Unione europea di Estonia, Lettonia e Lituania che Londra si è fatta portavoce delle istanze dei Baltici ed è stata sponsor della loro presenza all’interno delle istituzioni comunitarie per avere alleati che rallentassero il progetto di integrazione europea e che, gonfiando il numero dei partecipanti al club, lo rendesse de facto ingestibile per via della regola dell’unanimità.

All’inizio delle ostilità in Ucraina Johnson ha ospitato a Downing Street i 4 capi di governo dei Paesi del gruppo Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia): nessuna comunanza ideologica, nessun interesse alle tesi e alle idee dei 4 su Ue e sulle difficoltà di Polonia e Ungheria a Bruxelles: da leader pragmatico il premier britannico sa che le contingenze politiche del momento gli impongono di guardare a est. Ed è anche così che si spiega il raddoppio degli effettivi militari UK in Estonia nell’ambito della missione Nato Enhanced Forward Force, guidata proprio da Londra.

I Baltici, gli scandinavi e i Paesi Bassi sono anche i Paesi che compongono la Joint Expeditionary Force a guida britannica. Una “punta avanzata della Nato”, come l’ha definita lo stesso Johnson in una recente intervista all’Economist, che si è radunata già due volte dall’inizio della guerra di Putin a Kiev. I Paesi Bassi, tra l’altro, formano, insieme a UK e Canada, il Gruppo di Sostegno Internazionale, che ha lo scopo di aiutare economicamente, diplomaticamente e a lungo termine l’Ucraina. 

Questo attivismo di Johnson – e di Londra – non deve sorprendere. Sia il ministro della difesa, Ben Wallace, sia quello degli esteri, Liz Truss, entrambi papabili sostituti di Johnson, stanno compiendo viaggi diplomatici in continuazione nel tentativo di garantire il ruolo di protettore di Londra nell’Europa centro-orientale in maniera molto concreta. Basti pensare agli innumerevoli incontri avuti da Johnson a Varsavia e a Londra con il premier polacco Morawiecki, al Patto per la Sicurezza annunciato lo scorso 17 febbraio tra Varsavia, Kiev e Londra poco prima dell’apertura delle ostilità, e, infine, last but not least, all’accordo da miliardi di sterline per la costruzione del NAREW, il futuro sistema anti-missile polacco, siglato nel novembre 2021 dal ministro Wallace e dalla controparte polacca, Mariusz Blaszczak. La collaborazione si basa su un reciproco interesse: Londra vuole proiettare la sua influenza in un’area che ritiene scoperta a livello militare dall’Ue – e in particolare dalla Germania, che è il primo partner commerciale di Varsavia – mentre la Polonia, e, nel complesso, i Baltici, chiedono maggiore protezione alla Nato, sapendo di non potere contare su una inesistente difesa europea. Così, sotto la guida degli Usa, lo UK fa emergere il suo ruolo di primo alleato di Washington nel Continente, agendo da delegato della superpotenza e dando così seguito alle linee guida della nuova Global Britain.

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