Si dice che Matteo Renzi sia un politico dotato di una certa scaltrezza. Una virtù che però si trova spesso ad essere insidiata dall’ego smisurato e dall’eccesso di sicurezza del personaggio. Ha delle intuizioni giuste, quanto meno per il proprio tornaconto, ma scivola poi rovinosamente, peccando di superbia. Se a Rignano sull’Arno lo etichettavano come “il Bomba”, un motivo ci doveva pur essere. La sua ascesa politica, dalla città e dalla provincia di Firenze sino a Palazzo Chigi, è stata rapida e costellata di successi, ma altrettanto velocemente è svanito il ruolo di leader, della nazione e del Pd. Era certo di vincere quel referendum, ritenendo di avere solo meriti, ed era detestato invece dalla maggioranza degli italiani.
Oggi Matteo Renzi, a causa ancora della batosta subita nel 2016, non può più atteggiarsi a statista sostenuto dalla parte importante del Paese, e non gli rimane che essere uno dei tanti attori del teatrino politico. Possedendo comunque, come si sostiene, una qualche dose di furbizia, Renzi è riuscito ad abbandonare quel cono d’ombra nel quale si era cacciato, contribuendo, mediante l’infelice inciucio con Grillo e Giuseppe Conte, alla nascita dell’attuale governo. Rimane naturalmente da vedere se il rinnovato protagonismo renziano trarrà beneficio dall’esperienza cosiddetta giallorossa, oppure ne verrà travolto in malo modo, vista la scarsa popolarità del Conte 2. Si vedrà, ma intanto non è più un silente senatore del Pd, ammesso e non concesso che sia mai stato veramente zitto e in disparte. Si è pure costruito un partito tutto suo, soffiando al Partito democratico diversi parlamentari.
La nuova creatura renziana, Italia Viva, ha una sua logica, condivisibile o meno, ma comprensibile. Alla luce dello spostamento a sinistra del Pd, spinto dalla segreteria Zingaretti, e del ridimensionamento degli spazi e delle mire di Forza Italia, Renzi sta provando ad occupare quello spazio al centro lasciato parzialmente libero e disabitato. È difficile fare adesso delle previsioni circa le reali chance di successo della nuova avventura dell’ex premier, visto che al momento Italia Viva è data dai sondaggi fra il 4 e il 5 per cento, ovvero a percentuali più basse della pur declinante Forza Italia, tuttavia il disegno renziano è piuttosto chiaro e percepibile dalle dichiarazioni. Alla recente Leopolda Renzi si è spinto ad intestarsi la rappresentanza dell’area liberale, e Maria Elena Boschi avrebbe abbandonato il Pd perché stufa di un partito sempre e solo impegnato a tassare gli italiani. Renzi cerca di piazzarsi, per così dire, alla destra di Conte, Di Maio e Zingaretti, ricordandosi del ceto medio, più da stimolare che da punire fiscalmente, ed attaccando quelle degenerazioni socialistoidi e dirigiste tanto care al M5S e al Pd. Vale a dire, la sugar tax e la plastic tax, frutti malsani della nuova ideologia “green”, la quale non è altro che la riproposizione dello Stato etico e padrone, verniciato di falsa modernità. Italia Viva, almeno a parole, ha bocciato anche la mazzata sulle auto aziendali. Chiunque, all’interno di questa maggioranza di governo, tenti di spingere a modificare gli aspetti più deteriori della manovra economica, senz’altro non può far male al Paese. Ma qui parliamo di un leader politico che prometteva di lasciare completamente la politica in caso di sconfitta al referendum del 2016, ed invece si trova ancora nell’arena, a fare e disfare partiti e governi. Fidarsi di Matteo Renzi è bene, ma non fidarsi è molto meglio!
Vi è una cosa che lega fortemente tutti i protagonisti del Conte 2, inclusi Renzi e Boschi, ovvero la paura folle di andare ad elezioni anticipate e quindi di ricevere dagli italiani un sonoro ceffone. Perciò è concreta la possibilità che nessuno, nemmeno Italia Viva, voglia davvero rompere sulla plastic tax o sulle auto aziendali, e si cercherà piuttosto di inserire qualche modifica raffazzonata in modo che un po’ tutti salvino quel poco di faccia di cui ancora dispongono, senza però cambiare l’impianto altamente depressivo della manovra. E i parlamentari di Italia Viva, come hanno fatto finora, continueranno a votare le succitate degenerazioni socialistoidi e dirigiste, predilette dalla nuova sinistra di Di Maio e da quella più attempata di Nicola Zingaretti. Renzi dice che questo governo è nemico della classe media, e non ha affatto torto. Peccato solamente che il Conte 2 sia divenuto realtà grazie proprio all’apporto determinante del sedicente liberale Matteo Renzi. La storia politica renziana, giova ricordarlo, nasce nel Partito popolare di Gerardo Bianco, Marini e Castagnetti, prosegue nella rutelliana Margherita e sfocia nel Partito democratico. Con una costante, ovvero l’appartenenza a quel mondo cattolico ed ex democristiano sempre schierato a sinistra. I cattolici di sinistra o centrosinistra, in passato definiti come cattocomunisti, sono fra i principali artefici dell’assistenzialismo e del fisco iniquo tipicamente italiani, tutt’oggi complicati da riformare. Diventa difficile intravedere un liberale in un personaggio politico dotato di questo curriculum, anche se il liberalismo è stato usato e bistrattato da troppi nell’ultimo ventennio. Per carità, cambiare idea è possibile, e a volte è persino salutare, ma i ripensamenti sono credibili solo quando la convinzione è reale e i conti con il passato, più o meno recente, sono stati fatti seriamente. Altrimenti si tratta unicamente di riverniciature improvvisate per scopi di marketing politico, e si ha la stessa credibilità di chi, come la Boschi, scopre ad un certo punto tutti i lati riprovevoli del proprio partito, dopo anni di brillante carriera. Se Matteo Renzi vuole essere preso sul serio da un punto di vista liberale, inizi a parlarne con i suoi, a cominciare dal deputato Luigi Marattin, ovvero colui che pretende la carta d’identità per l’uso dei social. Schedare gli utenti del web può rappresentare tutto, tranne che il liberalismo.