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La perdita del senso storico: smania per il “nuovo” e intolleranza ideologica per il passato

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Il Dizionario Enciclopedico Treccani, definisce il termine “nuovo” così: “Agg. [lat. nŏvus]. – In genere, di cosa fatta o avvenuta o manifestatasi da poco, spesso in contrapp. diretta a vecchio, antico, e quindi con sign. prossimo a recente, attuale, moderno, ma con notevole varietà di accezioni.” Quindi, il nuovo, col vecchio non avrebbe nulla da spartire, essendone, invero, la contrapposizione esatta. Non sembrerebbero dimostrarlo così i tanti che abusano del termine per indicare qualcosa che altrimenti non saprebbero come definire. Sorge il dubbio che nella nostra società, sempre avida di definizioni e di etichette da appioppare a tutto e tutti, questa mania del nuovo a tutti i costi stia diventando endemica. Se si riflettesse adeguatamente su certe istanze giovanili e certe richieste di cambiamento (sempre esistite) si scoprirebbe che di nuovo non hanno proprio nulla. Concetti quali “trasparenza”, “umanità”, “rispetto per i deboli”, per fare un esempio banale, hanno ampiamente attraversato la civiltà e la storia e proprio nulla di diverso, o di migliore, hanno nel cuore quelli che oggi sembrano aver inventato concetti condivisibili ma vecchi quanto il mondo, e quindi nient’affatto nuovi.

Si assiste, inoltre, ad una crescente forma d’intolleranza ideologica per il passato, come se soltanto oggi vi fossero persone giuste ed intelligenti. Una frase sempre più ricorrente, quanto storicamente errata ed inappropriata, è “non possiamo tornare al Medio Evo”, come se in tale epoca (quella di Dante Alighieri, tanto per citarne uno) non vi fosse alcuna forma di civiltà e si vivesse come bestie allo stato brado. Niente di più errato: in certe circostanze attuali, l’insegnamento del Medio Evo potrebbe essere di grande aiuto. Ma, non volendo qui affrontare il lato prettamente storico di un passato anche glorioso e rispettabile, basterà soffermarsi sulla contrapposizione nuovo-vecchio che parrebbe essere alla base di certi programmi politici e di tanta parte del ragionamento sociale. Mettiamo un punto fermo, intanto: quanti degli adoratori del nuovo conoscono bene il vecchio, senza pretendere persino l’antico? Pochi, anzi pochissimi, ed il motivo lo sappiamo. Se non si studia la Storia, è difficile sapere cosa fosse stato affrontato in passato in modo diverso da quello che definiamo oggi il nuovo. Capita spesso che, quando si legga o si senta proclamare una linea di condotta definita come nuova, essa sia invece antichissima e tristemente ignota al “novista”. Penso, ad esempio, a certe rivendicazioni giovanili di maggior autonomia rispetto alla famiglia, che definiscono troppo paternalistica, come se rivendicassero chissà quale nuova conquista di civiltà – notare: nuova, quindi per forza giusta – semplicemente non sapendo che l’istituto della emancipatio, attraverso il quale un giovane poteva sottrarsi all’autorità del pater familias e formare una propria famiglia autonoma, è presente già nel primissimo Diritto Romano.

Altresì singolare è sentir parlare dei giovani politici attuali, spesso barbuti per moda ma barbosi come vecchi, dell’opportunità e giustezza di abolire ogni tutela giudiziaria dei parlamentari come una nuova (leggasi giusta) conquista di civiltà. Parliamo, anche in questo caso, di una questione antichissima, anch’essa risalente ai tempi dei Romani e dei tribuni della plebe. Quella che i concittadini di Cicerone chiamavano “inviolabilità” dei tribuni, rappresentanti e portavoce del popolo, come i nostri eletti oggi, era una guarentigia per evitare che i potenti patrizi dell’epoca potessero prevaricarne le funzioni mettendoli sotto accusa. Molto si discusse, nell’Antica Roma, su questo privilegio tribunalizio. Prevalse l’esigenza di rendere intoccabili i rappresentanti della plebe, proprio per tutelarla. Niente di nuovo, quindi, anche in questo caso.

Per alleggerire un pò la trattazione di questi concetti ostici e, magari per mia colpa, noiosi, mi piacerebbe attirare l’attenzione del popolo del web su alcune formidabili nuove invenzioni degli stessi, ad es. il forum. Quello che oggi largamente occupa il web in spazi determinati ove si discuta di argomenti di attualità, scienza, politica, esisteva a Roma ed in ogni presidio della civiltà romana avanti Cristo. Cambia solo la forma di partecipazione, allora fisica ed oggi soltanto virtuale. Niente di così nuovo, no? Vediamo anche, in ogni città, spazi pubblici e persino bar e locali pubblici che si chiamano pomposamente Agorà, inteso come punto di incontro nevralgico della città e centro decisionale. Già ai tempi di Omero, l’Agorà era l’assemblea ove le decisioni dei capi venivano comunicate ai sudditi, ed in qualche misura discusse, prima di una decisione importante, come quella di muovere guerra ad un altro popolo. Anche qui, niente di nuovo, se non che oggi, all’immancabile bar Agorà, si deciderà, semmai, in quale discoteca andare quella sera.

Scherzi a parte, ciò che ampiamente trasuda spesso da tanta smania per il nuovo a tutti i costi è una scelta di campo indecisa e mutevole, quando alle ragioni degli avversari, che quasi mai si conoscono a fondo, si contrappone il nuovo in modo tranciante e semplicistico. Il principio, parlando terra-terra, è pressapoco: “Non so spiegarti perché tu abbia fatto male, ma io sono il nuovo, quindi farò meglio di te”. In quest’ubriacatura collettiva di cambiamento, anche quando ciò che si vuole introdurre nuovo non lo sia per niente, riscontriamo una vittima certa, ossia lo studio e la valutazione critica del passato. Il progresso umano e la civiltà non possono mai trascurare e prescindere dal passato, fatto di decisioni, errori, soluzioni geniali, azioni ed inazioni, mosse azzeccate e mosse sbagliate ed, insomma, tutto il patrimonio storico di un popolo. Va bene, va benissimo, il nuovo, a patto che, se lo definiamo tale, lo sia davvero e che, comunque, prima d’intraprendere una nuova via lo si faccia con quella che una volta si definiva cognizione di causa, ossia la conoscenza approfondita della materia. Temo, invece, che l’etichetta “nuovo” come per certe pessime pizzerie che soltanto hanno cambiato la gestione e non le porcherie che ammanniscono agli avventori, sia soltanto facciata. In quel caso, personalmente, preferisco di gran lunga tenermi il vecchio e persino l’antico.

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