Era noto che il semestre bianco e la tornata elettorale delle amministrative avrebbero impresso un salto di qualità alla endemica litigiosità tra partiti, ciascuno più o meno desideroso di piantare le proprie bandierine identitarie per poter inviare al proprio elettorato di riferimento segnali di potenza e di presenza, in capo al governo di unità nazionale che unito è forse solo in certe ricostruzioni giornalistiche.
Meno prevedibile era però l’autentica escalation dalle sfumature quasi ideologiche che una certa parte politica, segnatamente il Pd a guida lettiana, ha impresso al dibattito politico nel suo complesso: in principio fu il tentativo di esasperazione di Salvini e della Lega, con continui punzecchiamenti e polemiche destabilizzanti la cui funzione doveva essere la costituzione di una maggioranza “Ursula”, espellendo, per esacerbazione, la componente leghista dal governo a guida Mario Draghi.
Fallito il tentativo della espulsione, ma comunque avendo ottenuto una evidente polarizzazione delle posizioni, il Pd sembra aver ormai sposato la logica della guerra totale, finendo con l’ideologizzare qualunque passaggio parlamentare o qualunque elemento di dibattito pubblico.
E si è così passati dall’invocare la incompatibilità di certe posizioni, ad esempio quelle no Green Pass con la permanenza in seno all’esecutivo, come se poi fossero Letta e sodali ad assegnare patenti di legittimità per stare al governo, ad un passaggio ulteriore, l’arma di distruzione di massa di quello che Bettini e Bersani amano definire il ‘campo progressista’ e che alla fin fine ricorda giusto il Campo dei Santi, dell’omonimo, celebre romanzo di Jean Raspail: il pericolo per la tenuta democratica, il risorgente fascismo.
L’avversario politico, ormai fatto rifluire a ‘nemico’, non è più semplicemente un populista confusionario che non darebbe garanzie in termini di tenuta europea, perché d’altronde ci si limitasse a questo spettro interpretativo bisognerebbe ammettere di avere un serio problema flirtando non occasionalmente con il Movimento 5 Stelle: no, questa vulgata non basta più, come non basta paventare una apparente e presunta incompatibilità della Lega al governo.
Si è passati, o tornati se si preferisce visto che è uno degli sport preferiti della sinistra italiana, a criminalizzare la controparte politica paventando archi costituzionali, conventio ad excludendum, legittimità democratica.
In maniera maldestra ma sincera, l’ex ministro Provenzano aveva addirittura attaccato FdI, ‘colpevole’ a suo dire di eccessiva timidezza nel condannare il proprio presunto passato fascista e anti-democratico, delineando un quadro da cui stringi stringi si desumeva che il partito meloniano si poneva fuori dal canone della accettabilità democratica.
Si tratta di un refrain che a sinistra vivono con la naturalezza dell’aria che si respira. Pochi giorni fa, in un articolo di Repubblica in cui si parlava della plausibile candidatura dell’ex calciatore Damiano Tommasi, come rappresentante del centrosinistra nella città di Verona, si è utilizzata la locuzione ‘forze democratiche’ per indicare i partiti e i movimenti che lo avrebbero sostenuto. Volontario o meno che fosse, è il vecchio tic del lasciar intendere che gli altri, gli avversari, i nemici, definiamoli come meglio crediamo, siano solo una accozzaglia di antidemocratici più o meno pericolosi.
D’altronde i toni si sono accesi in modo non banale sin dall’assalto alla sede nazionale della Cgil, sincronizzato perfettamente con i tempi delle elezioni amministrative: non casualmente l’intero dibattito politico di quei giorni è stato punteggiato non tanto e non solo da questioni squisitamente amministrative e legate ai servizi pubblici che interessano i cittadini ma alla sempiterna questione del fascismo ritornante.
Il tripudio di bandiere rosse della manifestazione del sabato di silenzio elettorale esprime meglio di ogni analisi la china che la situazione va assumendo.
Esattamente come la strumentale richiesta di scioglimento di Forza Nuova e dei movimenti neofascisti, durata lo spazio di un mattino e cavalcata abilmente dal solito combinato disposto di dichiarazioni fatte col ciclostile dagli esponenti del Pd e dalla stampa sempre desiderosa di farsi cassa di risonanza di certe battaglie di retroguardia: passata la tornata elettorale, agitato e brandito lo spauracchio dell’uomo nero, mobilitato e polarizzato il proprio elettorato, azzerate le divergenze interne, la richiesta è evaporata fino a scomparire, riposta in un cassettino.
E così quello che sembrava l’imminente pericolo di un nuovo trionfante fascismo alle porte, è divenuto un placido e quasi inudibile rumore di fondo. Non scomparso del tutto, intendiamoci, perché tra inchieste giornalistiche sempre più simili a dossieraggi con tanto di agente provocatore e indagini giudiziarie in tempo reale, caso più unico che raro in Italia, quel leit-motiv si agita ancora sotto la brace, utile per essere rivitalizzato alla prima occorrenza utile.
D’altronde, si sa, un altro piatto forte della sinistra è quello del dipingere la destra come ‘la peggiore destra di sempre’, divertendosi a fare le pulci a letture, riferimenti culturali e storici, modelli economici, biografie individuali, parentele, e dispensando patenti di legittimità e di ‘buona destra’, ovvero di destra addomesticata, inservibile e al guinzaglio corto della sinistra stessa.
Tutto ciò che si situa fuori da questo panorama strumentale, diventa terra desertica dei barbari, l’hic sunt leones della politologia contemporanea. Chiaramente senza mai fare i conti con il proprio passato ideologico e con gli scheletri, copiosi, che il mondo comunista, post-comunista e compagnia cantante si porta dietro.
Lo abbiamo visto anche di recente con la tragicommedia andata in onda direttamente dal Senato, dove la sinistra si è affossata da sola il tanto prezioso ddl Zan, autentico esempio di marketing legislativo ad uso identitario ed elettorale: lo ha affossato dimostrando protervia, saccenza, e volontà di muro contro muro, e respingendo al mittente qualunque invito alla mediazione e al dialogo.
Al grido di ‘sui diritti non si tratta’, i cavalleggeri del Pd sono andati incontro alla metaforica bella morte e il tutto o niente si è trasformato in un niente che nelle sapienti mani dei progressisti diventa comunque vittoria: perché, un secondo dopo la bocciatura del ddl ad opera dell’aula, con un numero non indifferente di franchi tiratori, la solfa innalzatasi fino in cielo è stata quella della pericolosità bigotta del centrodestra, a cui ormai viene considerata organica, sempre per fini chiaramente strumentali, pure Italia Viva.
E così mentre Letta invece di fare mea culpa si lanciava in un apocalittico scenario di ritorno al medioevo in caso di vittoria alle elezioni del centrodestra, non spiegando in base a quale logica la mancata approvazione di una legge possa far tornare al medioevo (sorvolo poi pietosamente su questa storia patetica del medioevo visto e considerato quale epoca oscura, ma su questo sarà necessario tornare in altra sede), Alessandro Zan attaccava direttamente Italia Viva e Renzi.
Da citare, chiaramente, anche il popolo delle vedove del ddl defunto, tra cui Fedez, il quale ha comunque maturato una lezione, quella secondo cui i milioni di follower non valgono voti in Parlamento: fin quando non diventeremo una democrazia basata sulle reazioni social, il rapper e consorte (pure lei ‘sobria’ nella reazione digitale…) dovrebbero farne tesoro.
In generale l’abietto fiume di odio riversato dai sostenitori del ddl e dei diritti civili e umani contro chiunque sia stato individuato come responsabile, vero o presunto, dell’affossamento del testo di legge la dice lunga su quanto poco di umano ci sia nei sostenitori dei diritti umani. Il tripudio agghiacciante di minacce di morte, di insulti, ingiurie, promesse di tortura, rivolte ai diretti interessati e ai loro familiari ci insegna che il progressismo non è più soltanto una fede dogmatica e fanatica, ma è ormai assurto alla piena fisionomia della psicosi.
Ed è su questa gente, sulla psiche di questi individui, che si sta giocando una partita pericolosa assai. L’innalzamento della posta in gioco e della tensione, in un momento di grande crisi sociale e di incertezza acuita dalle misure sanitarie e di contrasto alla pandemia, rischia di sfuggire per becero calcolo politico dalle mani dell’apprendista stregone, come la materia ormai animata.
Stiano attenti a non soffiare troppo sul fuoco, perché poi nessuno potrà davvero dire quale meccanismo finirà con il mettersi in moto.