I sondaggisti tacciono per noi, ma certo non per i leaders, che se ne alimentano quotidianamente, facendosi guidare meno dal fiuto che dal freddo calcolo delle percentuali. E, all’uomo della strada, come si fa per dire, non rimane che seguire i mass media – che certo ne sanno più di quel che possono far conoscere – per capire qualcosa delle strategie in atto e delle scene future. Data la mia curiosità per una sinistra coltivata in un ormai lontano passato, per me la fonte principale è costituita dai giornali e dai programmi televisivi che potremmo chiamare, con espressione ecumenica, progressisti, connotati da una opposizione radicale, non solo politica ma etica, nei confronti dell’attuale maggioranza governativa. Al riguardo, mi sembra di aver notato una evoluzione che si è articolata su una sequenza di tre fasi, senza, peraltro, lasciarne definitivamente indietro nessuna. La prima è quella di una opposizione indifferenziata nei confronti dei 5 Stelle e della Lega, visti e combattuti come un blocco omogeneo, fatto di populisti e sovranisti, cioè di movimenti e partiti portati a parlare direttamente alla gente tramite leaders carismatici, senza una corretta intermediazione istituzionale; nonché a nutrire una più meno forte critica nei confronti dell’Unione europea, all’insegna di una recuperata idea di nazione.
La seconda fase è quella di una sollecitazione nei confronti dei 5 Stelle a liberarsi della soffocante presa di Salvini, facendo forza sulla crescente differenza percentuale denunciata dai sondaggi, con conseguente concentrazione dell’offensiva critica nei confronti del leader della Lega, sempre più etichettato come parafascista o addirittura neo-fascista.
La terza fase è segnata dalla ripresa d’iniziativa dei 5 Stelle, con a suo culmine la vicenda Siri, per poi aprirsi ad una sorta di guerriglia, con continue botte e risposte fra Di Maio e Salvini e comprimari. Ora questa guerriglia è quasi inevitabilmente scivolata su una contrapposizione classica fra sinistra e destra, accentuando la polarizzazione, sì da potersi ora parlare apertamente di una qual sorta di coesistenza di governo ed opposizione, con alla guida una specie di arbitro disarmato, costretto per ciò stesso ad uscire da un presunto ruolo neutro, per ritornare sotto l’ombrello originario dei 5 Stelle.
Qui i mass media progressisti si sono divaricati, fra coloro che hanno ritenuto sussistere ormai un terreno comune fra 5 Stelle e Pd, tanto da prospettare anche a breve termine, cioè in caso del prevedibile collasso del Governo dopo le elezioni europee, una alleanza in presenza di nuove consultazioni popolari. E coloro che, pur dando atto della evoluzione dei 5 Stelle, l’hanno considerata incompleta o addirittura strumentale, dato che questi non solo continuano a coabitare con la Lega, ma addirittura prospettano una legislatura a scadenza quinquennale.
Ora, che sia un gioco tattico delle parti o un dissidio strategico fra due anime profondamente diverse, quel che è certo è che 5 Stelle e Lega si sono divise l’area da coltivare in ragione dei loro potenziali elettorati, puntando la prima su un recupero a sinistra, e la seconda sullo sfondamento a destra, con un centro miniaturizzato fino alla scomparsa. Qualsiasi patrocinio dei 5 Stelle non può che danneggiare il Pd, che non per nulla cerca di marcare le differenze, arrivando ad escludere nettamente un qualche inciucio presente o futuro; ma, al tempo stesso, qualsiasi conventio ad escludendum nei confronti degli stessi 5 Stelle può ugualmente arrecare danno al Pd, che non può prospettare alcuna maggioranza alternativa, sì da far declassare il voto a suo favore come identitario, ma sostanzialmente inutile.
Sicché, per non sapere che scegliere, i nostri mass media progressisti lasciano aperte entrambe le alternative, dividendosi e bacchettandosi fra di loro. Ma cosa fa colui che dovrebbe essere il protagonista delle due strategie apparentemente alternative? L’impressione di uno spettatore seduto in gradinata è che cerchi di coniugarle tutte e due, mettendo avanti una netta e invalicabile distanza dai 5 Stelle prima delle elezioni europee, col negarla in tutte le salse; ma prospettando una qualche apertura, dopo, coll’invocare, nel caso di un prevedibile collasso del Governo gialloverde, un immediato ritorno alle urne. Se questo avvenisse, non credo proprio che il Pd voglia limitarsi a contare in solitudine i suoi voti, ma, presumendo un blocco di centrodestra oltre il 40 per cento, percentuale richiesta dalla attuale legge elettorale, si aspetta che allora i 5 Stelle abbasserebbero un pochino la cresta.
Uno scenario possibile, ma non probabile nell’immediato futuro, dato che le bizze di oggi fra i due “compari” si attenueranno di molto, specie se il risultato delle elezioni europee sarà “equilibrato”, con la Lega in vantaggio solo di 5-6 punti. Ma se il vantaggio fosse superiore, non è affatto detto che un indebolito 5 Stelle si chiamerebbe fuori da un Parlamento e da un Governo in cui è in maggioranza; né che a una rafforzata Lega convenga andare subito all’incasso, quando può far valere comunque il rovesciamento del rapporto di forza.
Quindi tutto sembrerebbe rimandato agli esami di riparazione previsti per l’autunno; da ora ad allora si tratta di galleggiare al meglio, sperando che qualche Ong ci venga a salvare.