Siamo sotto elezioni e si sa, ognuno scrive sui propri programmi un po’ quello vuole, ne abbiamo sentite di tutti i colori dall’uscita dall’Euro alla flat tax passando per gli ottanta euro e tanto altro. Ma fino ad ora mai mi sarei aspettato da un partito (Più Europa con Emma Bonino) che si dice essere “pro Europa” le seguenti parole “(…) Siamo perciò favorevoli al ritiro delle armi nucleari tattiche (bombe per aereo) statunitensi schierate in Belgio, Germania, Italia e Paesi Bassi, in parte assegnate per un eventuale uso alle aeronautiche nazionali di questi quattro paesi.”
Il paragrafo incriminato si trova in un contesto più ampio sull’esercito Europeo che però va oltre lo scopo di questo articolo.
Ci sono tante buone ragioni per mantenere le testate atomiche non solo in Italia ma anche a livello globale; la principale si chiama con un nome che agli amici pro Europa piace tanto: Pace.
Le bombe nucleari nei paesi europei sono un fondamentale e decisivo deterrente contro la guerra.
Ma facciamo un passo indietro, che cosa è la deterrenza?
La deterrenza è una minaccia della forza atta a scoraggiare un avversario dal compiere un’azione sgradita. Ciò può essere ottenuto attraverso la minaccia di ritorsioni (deterrenza per punizione) o negando gli obiettivi di guerra dell’avversario (deterrenza per diniego), ed è un tema che appartiene all’ambito di studio della teoria dei giochi. Questa semplice definizione porta spesso alla conclusione che tutto ciò che serve per scoraggiare è mettere in mostra una forza sufficiente. Finché entrambe le parti agiscono “razionalmente”, cioè secondo un calcolo costi-benefici, e se nessuno di loro è suicida, i loro potenziali militari si terranno sotto controllo.
Purtroppo non è così facile, la storia abbonda di esempi di fallimenti di questa strategia, nonostante un equilibrio di forze, e persino di casi in cui il lato più debole ha attaccato il più forte, magari sfruttando l’elemento sorpresa.
La leadership militare del Giappone imperiale, ad esempio, era pienamente consapevole della superiorità militare statunitense. Un attacco a sorpresa alla base navale di Pearl Harbor, tuttavia, ha permesso di eliminare una parte importante della flotta del Pacifico degli Stati Uniti ed è riuscito a paralizzare Washington politicamente, offrendo al Giappone una possibilità di prevalere. Nel 1973 la Siria e l’Egitto attaccarono un Israele militarmente superiore – non perché speravano di vincere, ma perché volevano ristabilire il peso politico che avevano perso dopo che Israele li aveva sconfitti nella Guerra dei Sei Giorni del 1967. Israele non riuscì a prevedere l’attacco: perché due paesi militarmente inferiori avrebbero persino pensato di attaccare un avversario che sarebbe sicuramente uscito vittorioso? Questa sicurezza di sé ha portato Israele a ignorare i molti segnali di allarme di un attacco imminente. Di conseguenza, gli eserciti in rapido avanzamento dell’Egitto e della Siria inizialmente hanno avuto molto più successo del previsto. La superiorità militare non aveva assicurato la deterrenza.
Un altro esempio importante delle insidie della deterrenza è fornito dalla Guerra delle Falkland del 1982. L’Argentina, che contesta l’autorità del Regno Unito sulle isole nell’Atlantico meridionale, conosceva fin troppo bene la superiorità delle forze armate britanniche. Tuttavia, nel corso di diversi decenni, il Regno Unito aveva gradualmente ridotto la propria protezione militare nelle isole. Così, mentre Londra continuava a sottolineare che le Falkland erano britanniche, la giunta militare di Buenos Aires si convinse che tali affermazioni erano un mero servizio. Quando la giunta si trovò di fronte a una crisi interna che minacciava il suo governo, cercò di generare sostegno agitando sentimenti patriottici e occupando le isole. La deterrenza aveva fallito perché il Regno Unito aveva ignorato un fattore importante: aveva diminuito il suo contingente militare nelle Falklands e aveva quindi perso qualcosa di estrema importanza, ovvero la credibilità di potersi difendere. La storia non è finita qui comunque. Con grande sorpresa dell’Argentina, la marina britannica salpò per il Sud Atlantico e riconquistò le isole. Il generale Galtieri, capo della giunta militare argentina, in seguito ammise di non aver mai creduto che un paese europeo sarebbe stato disposto a pagare un prezzo così alto per alcune isole insignificanti così lontane. Anche l’Argentina aveva sbagliato i suoi calcoli.
Ma Galtieri e i suoi concittadini non avrebbero potuto immaginare che una nazione orgogliosa come il Regno Unito non sarebbe rimasta a guardare mentre una parte del suo territorio d’oltremare veniva occupata da un altro potere? E che il restare passivo avrebbe significato la fine per qualsiasi governo britannico? La risposta: sì, in tempi normali l’Argentina avrebbe potuto riflettere su tali scenari. Tuttavia, durante una crisi i governanti tendono a pensare secondo un diverso tipo di logica. Infatti, molti studi sul comportamento umano dimostrano che le persone che temono di perdere qualcosa di prezioso sono pronte a correre rischi maggiori di quelli che sperano di ottenere un guadagno. Nel contesto della Guerra delle Falkland, ciò significa che per la Junta, che era sotto assedio politicamente, occupare le “Malvinas” non era un guadagno, ma piuttosto un modo di evitare di perdere il potere. Questo li ha fatti correre dei rischi che altrimenti non avrebbero osato prendere. Il fatto che il Regno Unito non avesse nessuna unità in zona e quindi non aveva più credibilità militare ha portato l’Argentina ad attaccare. La razionalità, presupposto per un sistema di deterrenza stabile, era svanita. Stimolare il nazionalismo per generare un sostegno politico può portare all’avventurismo militare che può essere controproducente.
Tutti questi casi dimostrano che la dissuasione non riguarda solo gli equilibri militari, ma anche gli interessi. Se l’interesse dell’opponente nel raggiungimento di un determinato obiettivo è più alto del proprio, la dissuasione può fallire. Un esempio classico è la crisi dei missili cubani del 1962. Quando divenne chiaro che Washington era pronta a difendere i suoi principali interessi di sicurezza, l’Unione Sovietica ritirò i missili che aveva iniziato a schierare a Cuba. Un altro esempio è la guerra del Vietnam. Sebbene gli Stati Uniti fossero militarmente di gran lunga superiori, alla fine dovettero ritirarsi perché i nord vietnamiti e i vietcong erano disposti a fare sacrifici molto più grandi per raggiungere i loro obiettivi di quanto gli Stati Uniti fossero disposti a fare a sostegno del Vietnam del Sud. Questo insieme di interessi asimmetrici non solo fa fallire la deterrenza, ma fa sì che le grandi potenze perdano piccole guerre, come nel caso dell’URSS in Afghanistan o degli USA in Vietnam.
E per quanto concerne la deterrenza nucleare? La paura dell’enorme potere distruttivo di tali armi non dovrebbe essere sufficiente a garantire virtualmente la pace? La risposta a questa domanda è la stessa degli esempi “convenzionali” citati sopra: anche nel dominio nucleare, la deterrenza dipende dagli interessi che si cerca di proteggere. Se è in gioco l’esistenza di una nazione, l’uso di armi nucleari è credibile. Di conseguenza la deterrenza tra stati di armi nucleari è considerata relativamente “stabile”. Al contrario, estendere la propria deterrenza nucleare nazionale agli alleati è molto più complicato. Come disse il ministro della difesa britannico Denis Healey negli anni ’60, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano bisogno del cinque per cento di credibilità del proprio arsenale atomico per scoraggiare i russi, ma il 95 per cento rassicurava gli europei. Nonostante questo “Teorema di Healey”, tuttavia, la deterrenza nucleare estesa è diventata un pilastro centrale dell’ordine internazionale. Questo non è solo il caso della NATO, ma anche della regione del sud est asiatico, dove Giappone, Corea del Sud e Australia sono sotto l’ombrello nucleare degli Stati Uniti.
È discutibile ipotizzare se gli Stati Uniti siano davvero disposti a rischiare un’escalation nucleare per proteggere un alleato. Ma ciò che conta è il segnale politico che Washington considera la sicurezza dei suoi alleati come un interesse fondamentale per la sicurezza nazionale. Tuttavia, un tale messaggio sarà convincente solo fin tanto che gli Stati Uniti sono presenti militarmente in quelle regioni che pretendono di difendere. Questo assicura che in un conflitto Washington sarà coinvolta sin dall’inizio. Senza tale presenza, né gli alleati né gli oppositori percepirebbero un tale impegno nucleare come credibile.
Alla luce di tutto ciò, consiglierei agli amici “pro Europa” di essere davvero pro Europa e di lavorare per rafforzare l’alleanza (la Nato) che ci ha tenuto al sicuro fino ad ora. Però si sa, come scriveva Gordon Tullock: “Per essere un grande senatore, per prima cosa uno deve essere un senatore” (e in Italia per essere senatore un programma populista fa sicuramente bene).