Il 3 febbraio scorso, sul suo account ufficiale Twitter in italiano, l’ayatollah Khamenei ha pubblicato un tweet ove testualmente ha affermato che: “Nell’Islam, non c’è differenza tra uomo e donna sotto l’aspetto dei valori umani e divini. Lo sguardo dell’Islam alla donna è basato sul rispetto mentre lo sguardo della civiltà occidentale è uno sguardo strumentale.”
Ora, chi scrive non è un esperto di teologia islamica, ma conosce bene quali sono le leggi in vigore nella Repubblica Islamica dell’Iran, che sul Corano pretende di fondarsi, a proposito degli uomini e delle donne. E in merito al comportamento del regime iraniano verso le donne, in particolare quello di Khamenei, il giudizio non può che essere univoco e senza appello.
Per ricordare solo qualche esempio, degli abusi della legge iraniana sulle donne. In Iran le bambine sono costrette a portare il velo dall’età di sette anni ed è ancora oggi legale dare una bambina di tredici anni in sposa ad un adulto, se la famiglia è consenziente. Le spose bambine ogni anno sono almeno 37.000 e solamente lo scorso settembre, il mondo intero ha visto il filmato di una povera bimba di 11 anni costretta sposarsi con un ragazzo che aveva più del doppio della sua età. Andiamo avanti: in Iran è legale il cosiddetto “matrimonio temporaneo”, che permette a molti clerici di contrarre anche matrimoni di un’ora con alcune donne, per avere rapporti sessuali e poi separarsi senza aver commesso alcun peccato. Di fatto, una legalizzazione della prostituzione, svolta spesso da ragazze poverissime, talvolta minorenni, al solo scopo di sopravvivere.
Anche nel diritto di famiglia e di fronte alla legge, in Iran la discriminazione delle donne è la norma: una donna che si separa dal marito non può ottenere l’affido dei figli senza il consenso dell’uomo da cui si sta separando e la stessa testimonianza delle donne davanti ai tribunali vale la metà di quella di un uomo. Senza contare che, anche per lasciare il Paese o trovare un lavoro, le donne iraniane hanno bisogno di un protettore, ovvero una figura di sesso maschile – il marito o un parente prossimo – che garantisca per loro. Ancora in vigore il divieto per le donne di accedere negli stadi pubblici e la segregazione di genere, ovvero l’imposizione della separazione tra uomine e donne imposta nelle scuole, sugli autobus e nei tribunali.
Infine, ma solo per estrema sintesi, come ricordiamo le fatwe emesse dall’ayatollah Khamenei, che ha pubblicamente vietato alle donne di pedalare in pubblico, al fine di non provocare la libido dei maschi… Queste sono solo alcune delle norme discriminatorie in vigore in Iran e che rendono la Repubblica Islamica il sesto Paese al mondo tra i peggiori in cui vivere per le donne, secondo i dati del Forum Economico Mondiale.
In questi anni, nonostante le durissime repressioni del regime, con grande coraggio le donne si sono ribellate, organizzando proteste simboliche come togliersi pubblicamente il velo nei cosiddetti “White Wednesday”, in segno di protesta contro il regime. Molte hanno pagato a caro prezzo la loro ribellione, con abusi e arresti, e decine di loro sono state condannate a anni e anni di detenzione. Tra chi oggi miete ci sono attiviste come Narges Muhammadi, Atena Daemi e l’avvocatessa Nasrin Sotoudeh, privata del suo diritto alla libertà per aver difeso attivisti impegnati nei diritti umani.
Ecco, quindi, la reale situazione delle donne in Iran. Situazione che richiederebbe condanne costanti, ma che purtroppo è molto spesso ignorata dal mondo occidentale, in primis proprio dalle donne progressiste che si vantano poi di essere in prima fila nella lotta per l’uguaglianza. Così come è ignorata a quanto pare da Twitter, che permette ad un dittatore di scrivere liberamente delle menzogne, umiliando ancora di più – se possibile – l’immagine delle donne iraniane e non solo.