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La sinistra delle élites affonda, ma la sinistra regressista avanza

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In quale Italia ci siamo svegliati la mattina del 5 marzo? Così diversa nel “Palazzo”, ma così uguale, a guardar bene, nel cosiddetto “paese reale”. Non molto diversa da quella che è sempre stata, solo più stanca, più arrabbiata, più illiberale (o “a-liberale”).
Un Nord produttivo e dinamico che si rivolge alle forze politiche che pur nelle loro contraddizioni promettono di non intralciarlo troppo. E un Sud come sempre, anzi ancor di più sensibile alle sirene dell’assistenzialismo e del parassitismo in mancanza di ricette di sviluppo.

La sinistra come apparato di potere, salotti, atteggiamenti superficiali, arroganti, elitari, è uscita sconfitta. Ma avanza la sinistra regressista: avversione all’economia di mercato, statalismo, assistenzialismo, tasse e spesa pubblica. La sinistra così intesa è viva e vegeta, anzi esce persino rinvigorita dal voto, maggioritaria nel paese. In gran parte si è riversata nel Movimento 5 Stelle, ma non solo…

Lo tsunami che si è abbattuto sui partiti, ridefinendone radicalmente i rapporti di forza in Parlamento, potrebbe non produrre un cambiamento reale. Ancora una volta le aspettative di milioni di italiani potrebbero rimanere disattese, andando ad aumentare la loro rabbia e frustrazione. La legge elettorale votata nella scorsa legislatura non ha evitato a Pd e Forza Italia una cocente sconfitta, che ha mandato all’aria il piano per cui era stata concepita, quello delle larghe, o piuttosto strette, intese. Ma i due partiti più bocciati nelle urne sono comunque riusciti ad avvelenare i pozzi, a impedire agli italiani di scegliersi un governo.

Alla luce delle dichiarazioni di ieri dei vari leader, vincitori e sconfitti, dovremmo concludere infatti che non c’è alcuna maggioranza possibile in Parlamento. Lo vedremo nei prossimi giorni, lanciarsi in previsioni e scenari rischia di essere prematuro e velleitario. Ma certo, non si vede perché Salvini, appena conquistata una leadership del centrodestra a lungo inseguita, dovrebbe adesso sul più bello, accettare di essere l’azionista di minoranza di un governo Di Maio… Insomma, ancora una volta siamo di fronte ad una situazione complicatissima che rischia di aprire la strada a strane formule e alchimie di palazzo, lontane dalla comprensione e dalla volontà degli elettori.

Ora c’è chi parla di “Terza Repubblica”, e chi di fine del “renzismo”. Ma si tratta di analisi nella migliore delle ipotesi riduttive. Una vera “Terza Repubblica” implicherebbe un nuovo sistema politico, con nuove regole, diversi meccanismi. Ci stiamo invece avvitando, intrappolati in una transizione senza fine.

C’è da diffidare di quanti infieriscono sullo sconfitto, magari dopo averlo a lungo elogiato o sopravvalutato. A uscire sconfitto è sì il segretario del Pd, che dalle Europee del 2014 ha sbagliato tutto ciò che c’era da sbagliare, ma anche i suoi sabotatori, anche chi ha ritenuto di combattere il renzismo come nuova forma di berlusconismo in nome della “vera sinistra”, una sinistra “dura e pura”.

Sono state le elezioni delle “bolle” mediatiche, che si sono ritorte contro chi le aveva create e diffuse.

Bolle tutte le polemiche contro Di Maio e il M5S. I rimborsi, la squadra dei ministri, l’ignoranza dei congiuntivi, la mancanza di curriculum. Polemiche inutili, stucchevoli, che non hanno fatto altro che confermare agli occhi degli elettori potenziali grillini la povertà di argomenti di chi le lanciava. Il M5S deve il suo successo proprio alla mancanza di curriculum dei suoi leader ed esponenti e di credibilità dei suoi avversari. E’ triste ma è così. Molti elettori diffidano – comprensibilmente – di professori e “saggi”, che quando hanno avuto la possibilità di governare hanno fatto danni. “Gli altri hanno già avuto le loro occasioni e hanno fallito, mettiamo alla prova il M5S”, è l’argomento di tanti elettori che i critici e gli avversari del movimento non sono riusciti nemmeno a scalfire.

Una bolla si è rivelata la lista +Europa con Emma Bonino: la “zia d’Italia” a quanto pare non era poi così acclamata come sembrava nelle sue numerose comparsate televisive.

Una bolla la lista LeU. Come si poteva pensare che gli elettori del Pd delusi e arrabbiati dalla guida di Renzi si potessero affidare ad un vecchio ceto politico che aveva già contribuito a pesanti sconfitte e che si era dovuto nascondere dietro al grigiore della seconda e della terza carica dello Stato?

Una bolla il cosiddetto “effetto Gentiloni” (o Tajani, o Calenda…), così come le “larghe intese”, di cui si è parlato per mesi, un’ipotesi surreale per chiunque avesse un minimo di contatto con la realtà, al di fuori dalla propria echo chamber.

E dov’è quel pericolo fascista che ha indotto la sinistra a sacrificare la parte finale della sua campagna elettorale sull’altare dell’antifascismo? Quanti voti sono andati a Casapound e Forza Nuova? Zero virgola. A Macerata, colpita dal doppio shock dell’omicidio di Pamela Mastropietro e del raid razzista di Traini, la Lega è passata dallo 0,6 del 2013 al 21 per cento. Forse l’immigrazione fuori controllo, non il ritorno del fascismo, è in cima alle preoccupazioni degli elettori.

Oltre ad essere “scaduti” Renzi e Berlusconi, il voto è stato uno schiaffo ad un mondo mediatico-giornalistico sempre più autoreferenziale. Una casta di giornalisti ed “esperti” che non mettono il naso fuori dai primi municipi di Roma e Milano. E che pur non avendo compreso ciò che era sotto gli occhi di tutti, ora – c’è da scommetterlo – pretenderanno di venircelo a spiegare, com’è già accaduto con la Brexit e l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti.

A proposito di Brexit e Trump. Anche in Italia si è consumata la vendetta degli elettori contro le élites. Non solo l’incertezza per le prospettive economiche della propria famiglia, ma anche la sfiducia e la diffidenza nel progetto europeo, le insicurezze legate all’immigrazione e agli squilibri della globalizzazione. Tutti sentimenti che i partiti al governo e l’establishment, i mainstream media, hanno negato e persino ridicolizzato, etichettando milioni di propri concittadini come razzisti, xenofobi, ignoranti. Memorabile la definizione “basket of deplorables” usata da Hillary Clinton nei confronti dei simpatizzanti di Trump.

In realtà, il voto anti-establishment, con la richiesta di “riprendere il controllo” sui processi della globalizzazione e dell’integrazione europea, non ha riguardato solo le democrazie anglosassoni, è stato forte anche nei paesi dell’Europa continentale: in Francia (dove il partito socialista è stato praticamente azzerato), in Germania (dove si sono “ristrette” le intese CDU e SPD), in Olanda, in Repubblica Ceca e in Austria.

Ma come osservato giustamente da Daniele Capezzone nella sua nota di ieri, grazie ai loro sistemi politici, a Londra e Washington ha trovato, pur nelle contraddizioni e difficoltà, uno sbocco costruttivo e liberale. In Italia, invece, si afferma una linea statalista e regressista.