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La solita ipocrisia europea dietro il piagnisteo sullo spionaggio “amico”

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La scoperta, spesso riemergente, che gli Stati Uniti “spiano” in maniera pervasiva anche le nazioni alleate crea polemiche a non finire in Italia e altrove. Alti esponenti dell’Unione europea fanno sentire – stranamente, proprio in questa occasione – la loro voce pretendendo subito spiegazioni e minacciando al contempo non si sa bene cosa, considerato il loro scarso peso a livello internazionale.

Le reazioni, intendiamoci, sono più che prevedibili. I governi europei debbono fornire alle loro opinioni pubbliche l’impressione di prendersi cura della tutela della privacy, sia a livello pubblico sia sul piano dei diritti individuali.

Mette però conto notare che dietro tali reazioni si manifesta una grande dose di ipocrisia. Si parte dal fatto incontestabile che gli europei in altre circostanze erano rimasti silenti, accettando le decisioni americane in tema di politica estera quasi senza fiatare (anche quando si rivelavano discutibili).

Forse si dimentica che, dalla fine del secondo conflitto mondiale in avanti, l’Europa ha in pratica appaltato tutti i problemi riguardanti la difesa agli Stati Uniti.

C’è stata qualche eccezione rappresentata soprattutto da Charles de Gaulle, che cercava di riservare alla Francia uno spazio di autonomia. Ma, considerati i limiti di spesa con cui anche i francesi dovevano fare i conti, tale autonomia era più teorica che reale.

La sproporzione tra le forze che potevano mettere in campo l’ex Unione Sovietica da un lato e i Paesi dell’Europa occidentale dall’altro risultava enorme. Tant’è vero che era nota a tutti la necessità di un intervento Usa in caso di attacco.

La delega alla difesa non è però scomparsa con il crollo dell’Urss. È proseguita anche dopo, quando lo scenario mondiale è profondamente cambiato con l’avvento di nazioni emergenti quali Cina, India e la stessa Russia post-sovietica, e con il parallelo emergere del fondamentalismo islamico.

Per dirla con franchezza, agli europei fa comodo continuare a delegare le questioni della difesa agli Stati Uniti, e per parecchi motivi. Questa strategia ha permesso di concentrare l’attenzione sulla crescita economica poco curandosi di una politica militare comune. E ha pure consentito ai governi della Ue di fronteggiare il pacifismo unilaterale che predica il disarmo a senso unico.

Gli Usa, rimasti (per ora) l’unica superpotenza globale, anche se insidiati dalla Cina, hanno accettato di continuare a svolgere il loro ruolo di custodi dell’Occidente, anche se stanno crescendo tendenze isolazioniste che in America hanno sempre avuto una certa popolarità. E, puntualmente, i governi europei si sono preoccupati temendo che la delega alla difesa venisse alla fine rifiutata, costringendoli a ripensare radicalmente la strategia adottata dal 1945 in poi.

Purtroppo è difficile essere pacifisti a senso unico. Può andar bene se si è sicuri che nessuno – ma proprio nessuno – ci attaccherà. È in sostanza la tesi sostenuta da molti pacifisti nostrani. Essendo l’Italia un Paese tollerante e che non minaccia nessuno – così si argomenta – perché dovrebbe investire nel settore militare? Meglio rinunciare a ogni ambizione di difesa, sicuri che tale politica scongiurerà il pericolo di essere aggrediti.

Sfortunatamente la storia insegna che non è proprio così. Una nazione imbelle costituisce un obiettivo appetibile per tutti coloro che invece adottano una politica aggressiva, determinata da ragioni ideologiche o meramente economiche.

La delega alla difesa di cui ho parlato in precedenza comporta in una certa misura, soprattutto oggi, anche quella alla raccolta delle informazioni, strumento principale per combattere il terrorismo e i Paesi che lo proteggono.

È certo spiacevole che pure gli alleati siano sottoposti a controllo, ma quali sono in fondo le alternative? Dotarsi di un apparato paragonabile a quello americano colmando un gap che è diventato sempre più grande? Oppure cedere, sperando che il terrorismo internazionale si dimentichi di noi?

Ipotesi assai improbabile. Per questo l’ipocrisia non può essere l’atteggiamento prevalente. Se non amano il controllo informatico gli europei devono finalmente crescere e investire, possibilmente in modo comune, sulla loro sicurezza. Il resto è solo chiacchiera.