PoliticaQuotidiano

La sospensione della Costituzione via Dpcm: un caso da sindrome di Stoccolma

5.1k
Politica / Quotidiano

Riesce sempre un piacevole divertimento vedere la piccante Lilli Gruber in azione nel suo salotto serale, con quell’arte di riuscire a far dire bene, se non benissimo, di Conte e male, se non malissimo, di Salvini, dal suo gruppo di invitati, scelti sempre in modo da averne tre o quattro consenzienti e uno o due educatamente discordi. Venerdì sera ha inaugurato lo show, all’insegna di una domanda retorica, cioè se Conte potesse considerarsi un grande dittatore, recuperando il titolo del celebre film di Charlie Chaplin, che faceva fare al personaggio di Hitler la parte del buffone; retorica, nel senso di avere una risposta obbligata, perché di Conte si può dire ogni cosa, ma non certo che sia ridicolo, è serio anzi serioso. Ma, al di sotto, spuntava la vera intenzione, di far esorcizzare dalle ospiti, che appunto erano in maggioranza donne, la polemica montante circa la sua presa di quei “pieni poteri” che Salvini aveva imprudentemente evocato in quel del Papeete. Cosa quasi pienamente riuscita, perché le signore, tutte autorevoli professioniste, non esitavano ad insistere sulla eccezionalità dell’emergenza Covid-19, tale da mettere a tacere tutte le chiacchere sull’osservanza o meno della Costituzione, lasciando che con queste ultime si dilettasse l’unico maschio presente. E non c’è che dire, perché la partita era impari se giocata sul piano delle impressioni: da una parte, i reparti ospedalieri collassati, i numeri crescenti dei contagi, i rosari giornalieri dei decessi, con impresso nel ricordo collettivo il lungo convoglio militare, che portava fuori Bergamo le bare, in un funerale gelido ed anonimo; mentre, d’altra parte , articoli e commi, al servizio di ragionamenti giuridici poco o nulla accattivanti per il grande pubblico.

Nessun dubbio che la democrazia, che diamo per scontata dalla caduta della dittatura fascista, è cosa complicata da spiegare quando non è messa in pericolo; ma a volerla riassumere in una parola, è la procedura che consente la persistente dialettica fra maggioranza ed opposizione, nella prospettiva di una fisiologica alternanza. A stare alla Costituzione, la nostra è una Repubblica parlamentare, cioè redatta all’insegna di una primazia del Parlamento sul Governo, caratteristica rimasta invariata dal 1948 ad oggi; questo, nonostante le critiche che questa relazione comportava in termini di rapidità ed incisività delle decisioni, culminate in tentate riforme, tutte abortite per l’opposizione popolare, che pur deve significare qualcosa. Ne deriva che se una situazione non è prevista dalla carta fondamentale, come lo stato di emergenza, prendendo spunto dallo stato di guerra che vi è contemplato, bisognerebbe che il Parlamento venisse pienamente interessato nella gestione, con un sostanziale e non solo formale coinvolgimento dell’opposizione.

Per non fare un discorso troppo barboso, prenderò come referente il classico marziano, che, peraltro, prima di mettersi in viaggio, ha studiato diritto costituzionale comparato, nonché ha appreso qualche rudimento d’italiano. Atterrato nel centro di una grande città che supponeva caotica, ha la sorpresa di trovare tutto chiuso, tutto deserto, come se fosse l’effetto di una di quelle bombe che dicono azzerino la vita, ma lasciano in piedi manufatti umani. Coglie al volo un passante apparso all’improvviso, con tanto di mascherina e di guanti uso e getta, che, al suo sguardo interrogativo, risponde con un sibilo, ordini superiori, volteggiandogli in faccia la sua auto-certificazione. Incuriosito, armeggia sul suo computer, fino a ricostruire la catena di comando, a partire da un primo decreto-legge, convertito con la fiducia e quindi senza alcuna possibilità di proporne emendamenti, che avrebbe legittimato un ricorso alluvionale a decreti del Presidente del Consiglio, fonte sconosciuta alla Costituzione. Come tali sottratti al controllo del Parlamento e del Presidente della Repubblica, tutti limitativi fin nel dettaglio dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti: cui hanno fatto seguito mere comunicazioni di fronte ad un Parlamento, con tanto di distanziamento sociale, ma senza alcuna votazione. Di fatto una incarcerazione di un intero popolo, decisa da un solo uomo, se pur dietro la copertura di un Comitato tecnico-scientifico, investito di un ruolo delfico, per cui sembrerebbe esser stato varato un modello di stato autocratico, riecheggiante quello platonico, con tutto il potere attribuito ai sapienti, non più i filosofi del tempo antico, ma a virologi e agli immunologi del tempo moderno, riesumati dai lunghi silenzi per dare responsi oracolari.

Il nostro marziano crede di capire che a dir poco l’opposizione è stata tagliata fuori dal Parlamento, ma si chiede se lo sia stata anche dal Paese. Non ci mette molto a ricostruire il clima soffocante creato da un intero sistema mediatico, dove stampa e tv rinviano di continuo le immagini e le parole del Presidente del Consiglio, costantemente e ossessivamente in primo piano, con un tono suadente ma costrittivo, dove ricorre l’uso del noi, con un misto ambiguo di consiglio e di comando. Conte, Conte, Conte, fuoriesce dagli schermi televisivi di decine di milioni di persone chiuse nelle rispettive abitazioni, sì da dar l’impressione di giungere da altoparlanti nelle strade, come nei bei tempi delle dittature; accreditando così l’idea di un uomo solo, che si fa generosamente carico del terrore sapientemente alimentato dal linguaggio militare, guerra, fronte, stare in guardia, caduti, eroi. Beh, conclude il visitatore extra-terrestre, è un caso classico della sindrome di Stoccolma, di cui è giunta notizia fino al pianeta rosso, solo che qui appare moltiplicato per un intero popolo, che, dall’esterno con le porte di casa metaforicamente sbarrate, mitizza come salvatore il suo carceriere.

Ancora un tratto di strada, poi tutto questo si trasformerà solo in un precedente, però non irrilevante, in una storia costituzionale largamente condizionata dalla prassi; ma c’è qualcosa di ben più duraturo che verrà lasciato in eredità. Questo governo zoppicante, che pare sempre dover inciampare, traballando ma senza mai cadere, con la sua fase 2 sta impegnando il futuro del nostro Paese per almeno un ventennio. Tanto ci vorrà per rendere credibile il nostro debito enormemente accresciuto, destinato a limitare al massimo lo spazio di manovra di ogni successivo esecutivo, sì da risultare, non solo opportuno, ma necessario corresponsabilizzare quella opposizione che alla prossima consultazione elettorale potrebbe contare sulla conquista della maggioranza.