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La speranza può ripartire dalla libertà economica: fieri di essere italiani, liberali e liberi

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Che cosa ti aspetti dalla prossima legislatura? Un quesito che di primo impatto potrebbe sembrare semplice, ma ad un attento ragionamento si rivela complicato: le argomentazioni sono innumerevoli, come lo sono anche le speranze e i dubbi.

Innanzitutto, prima di affrontare la questione bisogna fare una premessa: le ultime legislature si sono prevalentemente occupate di politiche per il breve periodo, quasi come se si volesse arrestare un’emorragia con dei semplici cerotti, per poi lasciare il problema al medico del turno successivo. Questo tipo di comportamento si è poi riflesso successivamente nel voto degli italiani tramite un’espressione di vendetta e rancore – per chi ancora va al seggio.

È cruciale guardare al prossimo Governo come un punto di partenza per un percorso positivo di crescita nel lungo periodo, proprio come quando si pianta un seme nel terreno: è impensabile pretendere di raccogliere i primi frutti dopo pochi anni. Ed è bene che questo seme sia focalizzato sui giovani, soprattutto le ultime generazioni: quei ragazzi e quelle ragazze cresciuti nel bel mezzo della più grave crisi economica dal ’29. Quella gioventù che ora si trova davanti ad un mondo tanto globalizzato e tanto dinamico che può incutere timore. Quei giovani che purtroppo non si sentono pienamente compresi ed ascoltati dalla politica attuale, e che di conseguenza vengono violentemente strattonati a destra e sinistra dai vari populismi e socialismi. In poche parole, una generazione cresciuta nell’incertezza.

Ed è proprio dall’incertezza che bisogna ripartire, basandosi su idee politiche che sappiano dare una visione diffusa e travolgente di speranza. La speranza che innanzitutto scaturisce dalla libertà economica, perché attorno ad essa i giovani di oggi costruiscono il loro futuro di domani. Libertà di poter guadagnare, di poter spendere e mettere da parte in tutta tranquillità, di poter formare una famiglia senza esser asfissiati da tasse eccessive e burocrazia stagnante.

Se la classe politica vuole riuscire nell’intento, è cruciale uno sforzo congiunto di tutti i partiti liberali nello sdoganare l’errata percezione negativa diffusa sui tagli e la riduzione dell’intervento statale: non significa essere lasciati allo sbando o ricevere meno servizi, ma si tratta di avere – e pretendere – più libertà nel poter scegliere e plasmare il proprio destino con le proprie mani, avendo la piena libertà di essere.

Cruciali sono le parole di Luigi Einaudi, sulle quali bisogna riflettere attentamente:

“Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie ed investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi”.

La speranza e l’ottimismo che tutti noi riponiamo nell’autorevolezza del nostro Paese. In uno scenario politico caratterizzato sempre più da maggiori sfide, dove il confronto e la competizione a livello mondiale è all’ordine del giorno, non possiamo permetterci di guardare il tutto seduti dal retroscena.

L’Italia che conta, l’Italia che è l’ago della bilancia nel panorama geopolitico: è questo l’obiettivo. C’è stato un periodo in cui eravamo considerati tra i grandi attori della politica internazionale: i soli in Europa a poter far da interlocutori tra Israele e Palestina, gli unici capaci di far stringere la mano tra America e Russia dopo un periodo di grandi tensioni.

Il dibattito odierno si è incancrenito sulla politica del “chi sta con chi”, alimentando tribalismi capaci di spaccare la società e di farci perdere di credibilità davanti alla comunità internazionale. E’ necessario fare un passo indietro e ritornare a quella politica estera forte sì dallo sguardo atlantista, ma comunque capace di osservare, studiare, mediare e dialogare senza mai rinunciare alla dignità e all’autorevolezza. Un’Italia che fa il proprio gioco senza scomporsi, non quello del potente (germano-francofono) di turno.

Ed infine, la speranza che deriva dalle nostre radici. Non dobbiamo mai scordarci che siamo una Nazione di grandi condottieri, esploratori, artisti e intellettuali. Possiamo vantare un patrimonio naturale, culturale e storico invidiato dal mondo intero, ma che purtroppo viene ignorato in larga parte dalle nuove generazioni facendo venire meno quel senso di coesione ed orgoglio che ci accomuna. In questo mondo giustamente globalizzato, si rischia di perdere non solo la bussola, ma proprio ogni punto di riferimento.

Bisogna restituire ai cittadini la fiducia nella Patria e nell’ideale di Europa, disdegnando quelle correnti di nazionalismo distorto, corrotto e autodistruttivo che puntualmente vengono ripresentate come unica salvezza. L’obiettivo deve essere quello di ridare un senso di appartenenza grazie ad un Patriottismo nel solco della tradizione risorgimentale, proteso alla libertà, all’illuminazione ed elevazione dell’uomo.

L’Italia è un Paese ancora giovane e il meglio di sé che tanto decantiamo nella sua storia lo ha dato proprio quand’era ancora divisa. Immaginiamo quello che invece potrebbe fare unita nel pieno dell’eredità repubblicana, democratica e liberale.

In poche parole, dalla prossima legislatura mi aspetto che si ritorni fieri di essere italiani, liberali e liberi.

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