Davvero qualcuno si stupisce per l’uscita del nostro uomo all’OMS, Walter Ricciardi, che scientificamente si sollazza con quelli che sfondano il pupazzo di Trump? Per quell’altro, l’epidemiologo Lopalco, “nominato dal governatore Emiliano responsabile delle emergenze in Puglia”, che si diverte sulla sfiga di Boris Johnson mezzo accoppato dal virus (e l’amico Burioni pronto gli mette il like)? Uomini di scienza ma di sicuro personaggi vanitosi, dai comportamenti a volte superficiali, da social bulli (il ragazzo Ricciardi è stato attore nel film “L’ultimo guappo” con Mario Merola, si vede che gli è rimasta addosso la polvere del personaggio). Sono questi a tenere per le palle il Paese, si sfidano a chi la spara più dura, più drastica, chissà, l’Italia non dovrebbe riaprire mai più o almeno non prima che le beghe politiche vengano definite: deve passare il Covid o il Mes?
Perché c’è un acre afrore di potere che traspira da certe prediche, da certe indicazioni. Ricciardi, il nostro uomo all’OMS nonché al Ministero della salute, è per forza di cose collegato alla politica che conta: già con il benefattore Monti (Scelta Civica), poi sotto la Lorenzin, è passato in eredità all’attuale Speranza ed ha incarichi nella Ue. La sua furia iconoclasta verso Trump potrebbe suggerire acrimonia verso la decisione del presidente americano di tagliare i fondi all’OMS cinese, diretta da un ex del Fronte di Liberazione del Tigrè, vale a dire il marxismo leninismo maoismo in salsa sanitaria. Sacrosanta decisione, quella di Trump, visto che l’OMS è stata più zelante di una guardia rossa nell’occultare allarmi, sintomi, sviluppi e degenerazioni della pandemia. Ricciardi proviene da uno scazzo giudiziario con il Codacons, che lo accusava di conflitti d’interesse con l’industria farmaceutica, e dal quale è uscito perdente in giudizio: il 10 luglio 2018 il Tribunale di Roma ha prosciolto il Codacons e il suo presidente Rienzi dal reato di diffamazione, constatando che Ricciardi “aveva effettivamente svolto consulenze per diverse case farmaceutiche anche produttrici di vaccini”.
Con Scelta Civica di Monti, evidentemente una attrazione fatale per i virologi, pure Ilaria Capua, la virologa sempre con quell’aria dolente e il sorrisetto enigmatico via satellite (risiede da tempo in America, dove si è spostata al termine di una campagna mediatica denigratoria patita qualche anno fa, definitivamente smentita in giudizio).
Burioni è il re delle pubbliche relazioni: oggetto di corte asfissiante – lo ammise lui stesso – da Renzi, è uno dei Fazio Boys, di fatto una dépendance leopoldina, col Matteo rosso che non perde intervista per citarlo, nominarlo, venerarlo (se son rose rosse fioriranno). È celebre per il ciuffo e per la supponenza con cui liquida i contestatori, e anche per l’agilità con cui resta in sella: ha ipotizzato sperimentazioni sui gatti, sui giovani, e una sorta di polizia del pensiero scientifico affidata all’Ordine dei Giornalisti, nientemeno, per verificare chi diverge dalla linea scientifica: la sua, par di capire. Il problema è che è inguaribilmente ondivago, prima dava degli scemi a tutti quelli che si ostinavano a restar chiusi in casa, adesso dà degli scemi a quelli che vogliono uscire, tutti scemi tranne lui; l’Ordine questurino come dovrebbe comportarsi, in caso?
Di Lopalco si è detto. Di Maria Rita Gismondo si può dire che, dopo averne cannate alla grande, è stata fisiologicamente arruolata da Travaglio al Fatto Quotidiano dove, a fior di labbra, regala spunti grillini sullo scibile umano (tutto tranne la virologia, vi prego). Si potrebbe continuare, ma il punto è chiaro: non la scienza ma gli scienziati, ormai in fama di totem e tabù, guai a criticarli, si passa per untori, stragisti e, soprattutto, sovranisti: a difenderli più di tutti le bimbe di Conte, i grillini convertiti nell’arco di una luna. Dal novax al supervax.
Ma ecco una imperdibile rassegna, lo scoppiettante “Archivio Contagioso” meritoria opera di Michele Arnese su Twitter: 27 febbraio, Ricciardi: “La strategia del Veneto non è stata corretta perché ha derogato all’emergenza scientifica” (no, ha derogato al modello cinese di Ricciardi ed è stata la sua fortuna, anche grazie ad un virologo preparato e coraggioso come Andrea Crisanti); 23 febbraio, Gismondo: “Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale” (voleva farsi fare un ciondolo a forma di coronavirus: l’orafo ha provveduto, nel frattempo?); 26 febbraio, Matteo Bassetti, infettivologo a Genova: “È meglio annullare i viaggi? Se uno li ha programmati li deve fare, cerchiamo di non fermare un Paese, ci stiamo facendo del male da soli” (adesso che i suoi colleghi vogliono ridurre l’Italia come la rocca di Cagliostro a San Leo, non ha niente da dire? Chiedo per un amico recluso); 5 aprile, Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità: “Usare le mascherine? Quello delle mascherine è un argomento in cui non esistono evidenze fortissime” (certo, se le sue premesse fossero non infondate, le sue deduzioni sarebbero attendibili); 25 febbraio, Fabrizio Pregliasco, virologo in Milano: “La malattia provocata dal nuovo coronavirus, rispetto ad altre, è banale e non è contagiosissima, come possono esserlo, ad esempio, il morbillo o la varicella, ma è piuttosto comparabile all’influenza” (applausi); 14 marzo, ancora Walter Ricciardi circa le strategie adottata da Lombardia e Veneto: “È una questione molto complessa. Delle due strategie una segue le indicazioni di organismi internazionali, come l’Oms” (cioè la Lombardia; notevole l’insistenza citazionista dell’Oms).
Voilà. Si dirà: ma uno scienziato può sbagliare, nessuno è infallibile, la scienza procede per tentativi, per errori. Giusto, ma allora il virologo utilitè non se la tiri come una popstar, specie dopo che ha passato giorni a ironizzare perché “dobbiamo avere paura del coronavirus così come abbiamo paura dei fulmini“, copyright Burioni da un’altra conduttrice golosa d’involtini primavera, Myrta “maga” Merlino. E magari accetti anche l’ipotesi divergente dei colleghi anziché spedirli al Sillabo e al Confino, sempre Burioni, contrariato su Twitter perché Bruno Vespa ha osato invitare Giulio Tarro, secondo il quale esistono alternative al vaccino di massa. Certo, anche Vespa: poteva invitare Burioni, che non lo si sente mai. Poi Burioni, che forse si sente dr House, ha carinamente rincarato la dose: “Se Tarro è virologo da Nobel, io sono Miss Italia”. In effetti, gli manca solo quella trasmissione lì, ci starebbero bene a presentarla lui e la stessa Gismondo, così ritrosa, così a disagio quando la interpellano. O perché no l’allegra virologa Capua, che ieri gettava acqua sul virus, “pochissimi i casi al di fuori della Cina”, “è un virus molto meno aggressivo di tanti altri che conosciamo” (pensa se lo era di più) e oggi getta benzina sul lockdown: riaprire il 4 maggio è un suicidio di massa, i nonni non potranno più stare coi nipoti, e altre profezie da buonamorte.
Domanda: davvero questi meritano la fiducia cieca, fanatica e incondizionata che pretendono? Anche il virologo è un uomo, direbbe Gianni Minà, e quindi erra; qui, però, hanno errato più dell’ebreo errante, il che consiglierebbe un minimo di umiltà. Ma vai, con più spocchia di pria, il coronavirus ha disvelato una profonda verità: c’è una supponenza contagiosa, un’arroganza baronale, di casta, molto provinciale, tipicamente italiana, che rende questi virologi influencer, questi studiosi mediatici, degli oracoli costruiti, irreali, avulsi dall’umanità comune. Il nostro uomo all’Oms, per spiegare il suo imbarazzante tweet (poi rimosso) su Trump ha detto: non sono stato capito. E giù libri, interviste, rubriche, pubbliche relazioni, moniti, anatemi, scazzi, fronde: non sono d’accordo neppure tra loro, si curano, si spiano, fanno malattie se uno ha addosso un riflettore più dell’altro. E troppo influenzati dalla politica che non rinunciano a influenzare.
E intanto siamo qui, a non saper che fare di noi, da due mesi: la gaia scienza le ha ciccate tutte, ha inanellato sfondoni, scivoloni di dubbio gusto, ha palesato, anche in forma volgare, le proprie militanze, le pubbliche relazioni, ma su una cosa è (quasi) graniticamente unita, e non transige: incamiciarci, applicarci, monitorarci e vaccinarci tutti, a vita, su tutto. E se poi non moriremo di contagio ma di inerzia e di inedia, tanto peggio per noi, asini da vax, come ci vede voscienza Burioni.