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La tirannia dello Status Quo: siamo condannati a tassi bassi e spesa pubblica elevata?

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Il termine “status quo ante bellum” era usato dagli antichi romani dopo una battaglia o una guerra, quando si dovevano definire le condizioni territoriali nel caso in cui nessuno dei due schieramenti avesse ottenuto una vittoria chiara. Nel secolo XVIII iniziamo a vedere il termine “status quo” riferito ad altri campi, per esempio la politica. All’inizio degli anni ’80, all’alba della vittoria che porterà Ronald Reagan alla Casa Bianca, è Milton Friedman a iniziare un documentario dal titolo “The Tyranny of the Status Quo”.

Nel documentario, Friedman spiega in maniera pacata quali sono i problemi che dovrà affrontare il nuovo presidente repubblicano e perché, secondo lui, sarà fallimentare in molte delle promesse elettorali, soprattutto in quella dei tagli alla spesa pubblica. La spesa pubblica americana era aumentata in misura sostanziale durante gli anni di Lyndon Johnson e molte delle spese ormai erano diventate uno “status quo”, un beneficio dato per scontato dalla popolazione americana. Rimuovere certi benefici quindi si rivelò impossibile anche per Reagan dopo due mandati e una politica molto liberale. Sempre rimanendo in campo politico, abbiamo visto come anche Donald Trump abbia provato all’inizio del suo mandato a cambiare la struttura dell’ObamaCare senza ottenere alcun risultato.

Oggi la situazione politica è in certo qual modo meno volatile. Ovvero, abbiamo capito bene che sia con i Democratici o i Repubblicani in America, sia con il centrosinistra o il centrodestra in Europa, la spesa pubblica non diminuirà, ma al contrario rimarrà stabile o aumenterà.

Oggigiorno, ciò che importa di più è la politica monetaria, sempre più legata alla politica fiscale dei Paesi. Le banche centrali sono passate da un modello liberale di semplice controllo dell’inflazione attraverso l’offerta di liquidità ad un controllo molto più esteso sull’economia: domanda, mercati finanziari, cambiamenti climatici. I tassi bassi e l’acquisto di obbligazioni non servono solo a far aumentare l’inflazione ma anche a sostenere la domanda, evitare fallimenti nel mondo obbligazionario e sostenere la transizione energetica.

Ora, c’è da chiedersi se sarà mai possibile ritornare ad una situazione di normalità, ovvero con una Fed, la banca centrale Usa, che inizi ad alzare i tassi quando veda l’inflazione avvicinarsi al 2,5-3 per cento e una crescita economica stabile.

Ogni crisi ha aumentato il livello di debito pubblico ed è solo grazie ai tassi ai minimi storici che Paesi come Stati Uniti e Regno Unito (ma anche l’Italia!) stanno pagando un costo del debito minore rispetto a vent’anni fa, anche se il livello del debito sul Pil negli Stati Uniti è passato dal 56 per cento nel 2000 al 125 di oggi. L’ultima volta che l’attuale governatore della Fed, Jerome Powell, ha provato ad alzare i tassi, nel 2018, ha provocato una caduta del 14 per cento dell’indice S&P500 nell’ultimo trimestre, che lo costrinse poi a cambiare rotta nel 2019 abbassando di nuovo il tasso di riferimento dal 2,5 all’1,75 per cento. Poi è arrivato il Covid, con nuovi livelli di debito, tassi di nuovo a zero e nuova spesa pubblica.

Insomma, siamo ormai intrappolati in questo vortice di spesa pubblica sostenuta teoricamente dalla MMT (Modern Monetary Theory) e da banche centrali sempre più obbligate a soddisfare i bisogni di debito dei governi.

Molto probabilmente Powell non verrà confermato alla guida della Fed a febbraio. L’attuale governatore è un repubblicano scelto da un presidente repubblicano, ma il vero problema è che non è abbastanza dovish per i parametri dei Democratici.

Il nuovo “status quo” monetario è di tassi bassi, ai minimi storici, e di una Fed sempre accomodante e pronta ad immettere nuovi flussi di liquidità appena i mercati, azionari e creditizi, mostrino segni di debolezza. Gli esperti lo chiamano new normal, ma è solo ciò che Milton Friedman aveva definito la “tirannia dello status quo“.

Certo, le azioni continueranno ad aumentare di valore in questo new normal, ma a pagarne le conseguenze sarà la produttività. I classici boom e bust delle generazioni precedenti, che erano accompagnati da movimenti rapidi al rialzo e ribasso dei tassi delle banche centrali, provocavano certamente distruzione di ricchezza, ma le società che sopravvivevano erano quelle con modelli di business più sani e solidi. Al giorno d’oggi, i sussidi statali e le politiche monetarie portano con sé il rischio di incentivare una “allocation” di capitale da parte di investitori istituzionali e retail non efficiente, provocando una minore produttività nel futuro.

La direzione che abbiamo intrapreso non è cosi lontana dal modello cinese attuale. Ci stiamo avvicinando ad un paradigma di mercato dove i governi dei Paesi occidentali accentrano sempre di più le decisioni in ambito pubblico ma anche privato (basti pensare alla pressione sugli investitori istituzionali per investire in ESG (Environmental, Social and Governance).

E l’inflazione? L’inflazione, se arriverà, sarà tenuta sotto controllo dai governi e dalle banche centrali in maniera forzata, utilizzando soldi dei contribuenti oppure nuovo debito monetizzato. Questo fenomeno lo possiamo già vedere in vari Paesi sviluppati che replicano il modello argentino dei prezzi calmierati. Nel 2017, nel Regno Unito, il governo May aveva imposto un cap, tetto, ai prezzi delle bollette elettriche. Con il prezzo del gas naturale aumentato del 57 per cento quest’anno le famiglie inglesi avrebbero visto bollette molto più elevate se non fosse stato per il tetto. Tutto bene, finché non hanno iniziato a fallire le piccole società di distribuzione elettrica, che verranno prontamente salvate dal governo inglese attraverso nuove tasse e/o nuovo debito. In Spagna è iniziato un processo simile, con il governo di Sanchez che ha iniziato a porre dei controlli sui prezzi dell’elettricità che già da questa estate erano aumentati del 30 per cento.

Nel 1984, Friedman ha pubblicato un libro come riassunto dei vari episodi del suo documentario. Nel suo libro dà risposte pratiche su come smantellare lo status quo, fatto di burocrazia e conflitti di interesse politici. Oggi lo status quo e la sua tirannia si sono diffusi in tutte le istituzioni, arrivando anche nelle banche centrali. I tassi rimarranno bassi ed il debito (insieme al deficit) aumenterà ancora.

Luca Fedele è autore della newsletter Il diario di un contrarian

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