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La variante burocrazia sta stritolando il Paese più del Covid: le scuole tra caos e discriminazioni

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L’Italia è caratterizzata da una enorme modulistica e guidata da un immensa burocrazia che rallenta ogni singola azione amministrativa e civile dei cittadini. La farraginosa burocrazia rimane tutt’ora il nostro tallone d’Achille. In questo caso, quando si parla di un problema strutturale, non si può pensare né di risolverlo con qualche provvedimento né in un lasso di tempo breve. Questo è chiaro. Sarebbe quindi superfluo, e ingiusto, affidare tutta la responsabilità all’Esecutivo in carica. Doveroso, però, è criticare, anche aspramente, un governo che non fa nulla per risolverlo e, per di più, riesce solo ad alimentarlo.

L’invadenza burocratica sta superando ogni limite. Con il decreto legge del 5 gennaio siamo a quota tre decreti in due settimane. Se invece prendiamo in considerazione tutto il mese di dicembre il risultato cambia ma la preoccupazione rimane: cinque decreti in un solo mese compreso l’ultimo, deliberato dal Consiglio dei ministri del 5 Gennaio. Non voglio annoiarvi con i numeri ma solo così si può rendere l’idea della nuova variante della già citata burocrazia italiana: il decreto legge. Ricordare la definizione di decreto legge, quale “provvedimento con valore di legge adottato dal governo nei casi straordinari di necessità e urgenza”, e sottolineare volutamente l’ultima parte della definizione, trovo che sia d’aiuto per cominciare a comprendere l’allarmante situazione burocratica e legislativa che un cittadino italiano è costretto ad affrontare in questi giorni.

Il decreto legge è diventato il nuovo e particolare strumento della burocrazia invasiva italiana caratterizzata da una modulistica infinita e da regolamenti incomprensibili. Decreti che, invece di semplificare offrono al cittadino regole sempre più difficili da capire e, ancora peggio, il più delle volte inapplicabili. Decreti legge che si susseguono nell’arco di pochissimi giorni e che sono uno in contraddizione con l’altro. Le regole sulle quarantene, già ampiamente indecifrabili, sono state smontate e rimontate a piacimento. Il tampone rapido è stata messo in discussione, per poi tornare strumento affidabile. È tutto cosi. E l’ultima scusa della “pandemia in continua evoluzione” può convincere solo gli sprovveduti.

A dire il vero si, il virus, con la variante Omicron, è cambiato, la pandemia si è certamente evoluta, ma è bene ricordare che si è evoluta in meglio. Omicron è infatti meno letale, anche se più contagiosa, e di gran lunga meno grave della variante Delta. Noi però ci ostiniamo a mantenere le norme chiusuriste di un anno e mezzo fa e, non contenti, ne aggiungiamo delle nuove, sempre più stringenti. Si crea cosi l’impietoso paradosso di decreti legge contenenti regole ferree che si traducono, per la loro difficoltà di attuazione, in un nulla di fatto.

Per avvalorare queste parole e trasportarle nella quotidianità prendo l’esempio della scuola. Lo slogan, perché ormai è quello di cui si parla, della scuola in presenza è corretto nella sostanza ma quando applicato sul campo rischia di rimanere sulla carta. Poco più di un mese fa il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, aveva promesso la riapertura delle scuole in presenza senza ricorrere alla didattica a distanza. Promessa sacrosanta, che purtroppo si va a scontrare con l’ultimo decreto legge. Nelle materne, con un solo positivo, scatta la quarantena per tutta la classe. Decisione presa dopo aver constatato che, per fortuna, i bambini sotto il quinto anno d’età non rientrano nella campagna vaccinale. Per le scuole primarie invece, dopo due positivi, la classe andrà in Dad per almeno 10 giorni. Nelle scuole medie e superiori la didattica online scatta dopo tre positivi nella stessa classe. Ma per i ragazzi dai 12 ai 19 anni la mannaia della burocrazia qui cala due volte: al secondo contagio scatta la distinzione tra vaccinati e non vaccinati. Questi ultimi dovranno rimanere a casa mentre i loro compagni vaccinati potranno tranquillamente svolgere lezione in presenza.

Tutto questo senza prendere in considerazione la difficoltà per i professori di gestire metà classe in presenza e l’altra metà da casa. Senza capire che, creando questa divisione tra vaccinati e non vaccinati, perfino tra ragazzi, si crea un clima pesante e perlopiù inutile. Mi spingo ancora più in là.  Queste norme creano una discriminazione molto grave, soprattutto se si parla di ragazzi adolescenti e per lo più sottostanti alle decisioni dei genitori.

Regole scellerate che si vanno ad aggiungere a dichiarazioni ancora più preoccupanti. Prendiamo, per ultimo, l’appello dei presidi che, invece di promuovere un repentino ritorno alla normalità, si schierano dalla parte dei ministri più chiusuristi e sostengono a spada tratta la didattica a distanza. Dimenticandosi dell’importanza della scuola come bene essenziale che, invece di essere tutelato, viene colpito dall’ideologia rigorista e per ultimo dalla norme burocratiche dei decreti legge.

Concludendo, l’immensa burocrazia che caratterizza il nostro Paese è un grosso macigno difficile da lasciarci alle spalle ma anche questa volta l’Italia ha perso un’occasione. La pandemia poteva essere una rampa di lancio importante per ripensare il sistema burocratico in sé e ripartire dalla responsabilità dei cittadini. Mentre il governo con una mano esaltava la coesione e l’unita sociale, con l’altra provvedeva a regolamentare ogni singolo elemento della vita lavorativa e pubblica dei cittadini. Così, con questa stessa mentalità, il governo ha eliminato a priori soluzioni come i tamponi fai da te, un’effettiva e massiccia campagna di tracciamento nelle scuole, le cure domiciliari e altre numerose soluzioni che avrebbero potuto aiutare, insieme al vaccino, l’arma più efficace, a rallentare la pandemia. Abbiamo tralasciato il ruolo essenziale dei medici di base e dei pediatri, che occupano una posizione di relativa vicinanza al cittadino. Non abbiamo preso in esame la soluzione di distribuire gratuitamente tamponi veloci per ogni famiglia con una cadenza settimanale. Procedere in questo modo ha fatto aumentare a dismisura le regole e le ha rese ancora più stringenti ma inapplicabili de facto.

E il moltiplicarsi delle contraddizioni burocratiche è il segnale di un governo che ha perso la bussola, lasciandosi guidare dalla ricerca caotica di un’intesa tra i partiti e dimenticandosi, forse, dell’intesa più facile da trovare e più efficiente: l’intesa con il cittadino.