Il presidente russo Vladimir Putin, venendo a Roma, ha messo d’accordo tutti. E ha fatto sparire la spazzatura. Se c’è un tema che accomuna destra e sinistra, in questo periodo, è l’idea di ripristinare buoni rapporti con la Russia (sempre che si siano mai deteriorati). Ma cosa vuole Putin da noi? E cosa si aspetta, in genere, dall’Europa?
Lo si può leggere molto bene da quel che lui stesso scrive e quel che lascia intendere nella sua intervista rilasciata al Corriere della Sera. E prima di questa anche da quella rilasciata al Financial Times. Sul Corriere della Sera fa capire chiaramente cosa si aspetta dal nostro Paese e dai nostri alleati. In quella al Financial Times, quale sia la sua idea sul nostro sistema politico, in senso lato. In entrambi i casi, non vediamo affatto la figura di un “amico” che esprime la sua fiducia nei nostri confronti. Ma quella di un leader straniero che pretende di comandare, o quantomeno di dettare lui le regole del gioco.
Dall’intervista al Corriere della Sera emerge un dato che molti italiani, specie se imprenditori e di centrodestra, dimenticano spesso e volentieri: è la Russia che ha imposto sanzioni al settore agroalimentare italiano, non l’Ue. E dall’intervista risulta anche che Mosca non intende ritirarle, almeno finché l’Europa nel suo insieme non ritirerà le sue. Di più, afferma che i buoni rapporti saranno ripristinati quando “l’Europa si lascerà guidare innanzitutto dai propri interessi e non da suggerimenti altrui”. Per “altrui”, chiaramente, intende gli Usa e qui non fa che riproporre la classica politica che fu dell’Unione Sovietica: cercare di separare gli Usa dall’Europa. Quanto al nostro caso particolare, Putin stesso afferma che l’interscambio con l’Italia è aumentato nonostante le sanzioni: lo ricordino tutti quelli che, d’ora in avanti, parlano in termini catastrofisti di “crisi da sanzioni alla Russia”. Ma soprattutto quel che si legge è l’intento delle sanzioni russe nei nostri confronti: una rappresaglia contro le sanzioni europee. Quel che non si legge, ma si dovrebbe ricordare, è la sproporzione della rappresaglia: a sanzioni europee che colpiscono singoli individui e imprese oltre a settori limitatissimi (mercato delle armi e dell’hi-tech militarmente sensibile e il turismo nella sola Crimea), la Russia ha risposto con un embargo su tutto l’agro-alimentare. E si dimentica la causa: le sanzioni sono la piccola, tardiva e timida risposta all’occupazione russa della Crimea, il primo atto di annessione territoriale ai danni di uno Stato europeo dalla Seconda Guerra Mondiale. Un fatto gravissimo che non può essere dimenticato.
A proposito di Ucraina, sempre nella sua intervista al Corriere, Putin evita accuratamente di parlare del suo atto di aggressione ai danni di uno Stato confinante, in compenso bacchetta gli Usa per la loro “ingerenza”. E per “ingerenza” intende il loro sostegno alla Rivoluzione del Maidan in Ucraina. Notate qualcosa di strano? Oltre al fatto che l’ingerenza americana è tuttora presunta e da dimostrare, il fatto più singolare è che l’Ucraina non è Russia. Se anche l’ingerenza ci fosse, non sarebbe compito della Russia intervenire per fermarla. Putin parla come se Kiev fosse in Russia. Di fatto sta giustificando la sua annessione della Crimea come se fosse una risposta a interferenze americane… all’estero. E già questo dovrebbe aprire gli occhi sulla sua mentalità imperiale, non differente da quella dei suoi predecessori sovietici, ma neppure ammantata del loro internazionalismo.
Putin non è eterno, lo sa anche lui, ma alla domanda sulla sua successione, risponde che non ci sta pensando perché in questi cinque anni ha ancora troppo da fare. Notate anche qui qualcosa di strano? Ad una domanda simile, un leader democratico risponderebbe “deciderà il popolo russo”. Al massimo si parla di successione alla leadership di un partito, ma qui invece si parla proprio della successione alla guida del Paese. Ciò vuol dire che Putin dà per scontato (per quello che dice e soprattutto per come lo dice) che a decidere il successore, al momento buono, sarà lui e non il suffragio universale. E qui si arriva all’altro punto importante: cosa pensa lo “zar” russo del nostro sistema politico? Tutto il male possibile, stando a quel che ha scritto al Financial Times.
Al prestigioso quotidiano economico britannico ha rivelato la sua idea che il sistema liberaldemocratico occidentale sia al tramonto. Elenca una serie di fallimenti sotto gli occhi di tutti (multiculturalismo, immigrazione, famiglia, crisi di legittimità europea), ma non li attribuisce ad una parte politica. E’ tanto inutile far dei distinguo fra la traduzione del termine “liberal” (che nell’anglosfera indica i progressisti) in “liberale” e far notare che Putin punta il dito solo contro le politiche progressiste, mentre ha un occhio di riguardo su Trump e sulla Brexit. Non è questo il punto: per quel che lo stesso presidente russo dice e soprattutto per come agisce in patria, quelli che elenca sono, a suo avviso, difetti sistemici, connaturati nel liberalismo. Multiculturalismo, immigrazione incontrollata, crisi della famiglia naturale, crisi delle leadership, sono, agli occhi dell’autocrate (non solo di Putin, ma di tutti gli autocrati), conseguenze inevitabili del liberalismo. In Russia, Putin ha puntualmente ricostruito le istituzioni democratiche perché non prevalga un sistema liberale: nessuna alternanza possibile, nessuna vera concorrenza economica ai monopoli di Stato, nessuna sfida permessa ai valori tradizionali, il tutto contro una libertà individuale che in patria è sinonimo di “caos”.