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La Women’s March si copre di ridicolo con un tweet, ma il delirio della Cancel Culture non fa ridere

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La nuova sinistra mira a creare un sistema di potere, prima di tutto sulle menti

Per fortuna esistono notizie che ci distraggono dalla pandemia. Questa volta, a crearci un siparietto divertente e diversivo, è l’organizzazione della Women’s March, la marcia annuale delle femministe. Senza rendersi conto del suo umorismo, infatti, ha pubblicato un tweet in cui si scusa per il titolo offensivo della sua ultima email mandata attraverso le sue newsletter ai sostenitori. Qual è il titolo offensivo che richiede addirittura scuse pubbliche? $14.92, che è la media settimanale delle donazioni ricevute, in dollari statunitensi. E quindi? È troppo? È troppo poco? No, non abbiamo capito nulla. Ad essere offensivo è il numero stesso. Infatti, 14.92, se letto distrattamente, diventa 1492, l’anno della scoperta dell’America. Quindi, come leggiamo nel tweet di scuse pubbliche: le femministe non intendevamo aver alcun nesso con “un anno di colonizzazione, conquista e genocidio dei popoli indigeni, specialmente prima del giorno del Ringraziamento”, che è esso stesso una gran disgrazia, visto che è stato introdotto da europei cristiani, puritani, per ringraziare del loro arrivo nel Nuovo mondo.

Questo siparietto fa ridere. E le risposte al tweet della Women’s March rivelano che, per fortuna, c’è ancora molto umorismo in questo mondo: ad esempio, un lettore si chiede come si siano permesse di inviare un messaggio alle 19:33, anno di inizio del regime nazista. Ma a pensarci bene dovremmo rabbrividire. In primo luogo, l’episodio spiega molto efficacemente la dinamica e gli obiettivi della “cancel culture”. La dinamica è facilmente intuibile, anche se non abbiamo visto tutti i passaggi. La mail sarà arrivata a svariate centinaia di sostenitori di estrema sinistra della marcia femminista e avrà provocato loro un mezzo infarto. “Ma come…”, ci possiamo immaginare che abbiano detto nel privato delle loro stanzette, “anche le femministe, adesso, si mettono a celebrare quel maschio, bianco, cattolico, colonizzatore, schiavista e primo genocida di nome Cristoforo Colombo?” e prima ancora di verificare cosa volesse dire quel 14.92 (o scambiandolo direttamente per un messaggio subliminale) si saranno attaccati ai loro smartphone per mandare risposte al vetriolo. Raggiunto un numero critico di risposte al vetriolo e temendo la solita dinamica (protesta, poi ostracismo social, poi boicottaggio, infine minacce fisiche) le organizzatrici si saranno precipitate a formulare le loro scuse.

Ma questo episodio è rivelatore anche dello scopo della sinistra intersezionale: trasformare la società aperta contemporanea in uno spazio controllato, come un manicomio. Come in un manicomio, infatti, al paziente non puoi mostrare immagini o dire cose che potrebbero peggiorare la sua condizione, magari risvegliando le sue fobie. Nella società desiderata da questi “guerrieri della giustizia sociale”, i film che potrebbero offendere le minoranze, dagli Aristogatti (c’è un siamese stereotipato che potrebbe dar fastidio a cinesi e immigrati asiatici in generale) a Via col Vento (“Mizz Rozella”… e agli afro-americani monta la rabbia), devono essere censurati. Le statue di Cristoforo Colombo, devono essere rimosse o nascoste, altrimenti agli indio viene un colpo. E l’autrice di Harry Potter deve essere silenziata perché dice cose come “le donne hanno le mestruazioni”: quindi offende i trans.

Allora dove è il limite di quel che si può dire? Non esiste, o meglio si sposta continuamente. Ed è quello lo scopo del gioco. La nuova sinistra mira a creare un sistema di potere, prima di tutto sulle menti. E un potere assoluto mira a creare una continua incertezza del diritto, proprio per punire e assolvere arbitrariamente, per capriccio e senza possibilità di appello. In una teoria come l’intersezionalità, ci si può ritenere oppressi e offesi in ragione della propria: identità di genere, etnia, classe sociale, disabilità, tendenza sessuale, religione, casta, età, nazionalità e persino specie vivente (ma sono pur sempre esseri umani, in quest’ultimo caso, a punire i presunti oppressori di animali).

Potenzialmente si spalancano le porte ad una lotta di tutti contro tutti, anch’essa solitamente preludio di un potere assoluto e arbitrario. Per non offendere le categorie ritenute “oppresse” si censura ogni possibile forma di linguaggio dell’“oppressore”. E poi iniziano inevitabilmente anche le lotte fra oppressi: trans contro donne, ad esempio, come nel caso di J. K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, donna, femminista, che per la sua frase incriminata (in realtà una banale osservazione di biologia elementare) ha ricevuto tante minacce di morte “che potrei tappezzarci la casa”.

Proprio il caso della Rowling permette di comprendere che il passo dalla farsa alla tragedia è molto breve e può avvenire in ogni momento. Quando meno te l’aspetti, potresti essere ucciso per una frase innocente. O per aver scritto un numero fobico.