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L’addio di Hancock, il remainer lockdowner che ha violato le norme da lui stesso volute

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Quando Boris Johnson nominò il suo primo cabinet nel luglio 2019, i commentatori si chiesero chi fossero molti dei suoi componenti: pochi avevano esperienza con rango di partecipazione al Consiglio dei ministri, e quasi nessuno poteva definirsi un “johnsoniano”, essendo il premier un unicum nel panorama conservatore. Più che sulle affiliazioni politiche o personali, i ministri di Johnson si erano ritrovati con lui nella campagna per la Brexit del 2016, nell’opposizione all’accordo Ue-Uk di Chequers portato avanti da Theresa May e, soprattutto, sembravano quasi tutti novellini che non avrebbero turbato le notti del primo ministro per ottenere il suo posto.

La nomina di Matt Hancock a capo del dipartimento della salute era passata inosservata. Nella campagna elettorale del dicembre 2019 Johnson aveva promesso ingenti investimenti nell’NHS e nelle sue infrastrutture e voleva essere lui a prendersi il palcoscenico di un nuovo partito Tory che diventava anche il partito dell’NHS. Per di più, Hancock era un remainer legato all’ex Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne: non certo il miglior biglietto da visita per un governo che doveva portare a termine la Brexit e che si era disfatto di tutta – o quasi – l’ala filo-europea del partito.

Lo scoppio, inatteso, della pandemia ha portato però il titolare della salute nell’occhio del ciclone. Spesso Hancock affiancava Johnson nel briefing giornaliero a Downing Street e le sue decisioni hanno modificato la vita degli inglesi come poche altre: le restrizioni alle libertà personali messe in atto dal governo Tory hanno creato polemiche a non finire nella patria dei diritti costituzionali e civili. Allo stesso modo i ritardi e gli affari poco chiari nell’acquisto di mascherine protettive lo hanno esposto al pubblico ludibrio: persino Boris Johnson a quanto pare lo ha definito “un incapace senza speranza” in un sms al suo ex consigliere capo Dominic Cummings.

L’addio di Hancock – reo, il caso vuole, di avere violato le restrizioni sul distanziamento sociale per abbracciare, a favore di telecamere a circuito chiuso, la sua amante – pone problemi politici e non solo al governo conservatore. Johnson non ama i rimpasti ed è stato rapido nel nominare l’ex Cancelliere Sajid Javid nel ruolo di Hancock. Quello che la questione ha rivelato però è ben altro. In primis, come può un video a circuito chiuso all’interno di un ministero essere finito nelle mani del tabloid The Sun, determinando la fine dell’esperienza di governo di Hancock? Qualcuno, forse, ha voluto liberarsi di lui. Tra i suoi colleghi di governo tutti sono accorsi pubblicamente in sua difesa. Il segretario di Stato ai trasporti, Grant Shapps, ha detto che le vicende di cui era accusato Hancock sono “personali”. Ma la realtà è che nei corridoi di Westminster in molti hanno chiesto a Johnson di cacciarlo e che la “personal matter” è diventata pubblica nel momento in cui gli inglesi hanno dovuto sottostare alle regole imposte da Johnson, Hancock e tutto l’esecutivo, mentre un ministro – proprio quello della sanità – le infrangeva travolto dalla passione. Hancock sarà perdonato – non è peregrino pensare a un suo ritorno, magari come minister o undersecretary tra un po’ di tempo – ma la sua posizione era, di fatto, indifendibile.

Un problema che resta è invece quello relativo alla nomina dei consulenti dei ministeri: Gina Coladangelo, l’amante di Hancock, era a libro paga del Department of Health, con una consulenza da 15 mila sterline l’anno. Cifra risibile, ma che pone un interrogativo: come avvengono le nomine degli advisor nella PA britannica? Senza contare che la famiglia di provenienza della donna è titolare di una multinazionale farmaceutica che collabora con la NHS. Dopo il caso Greensill – che riguarda un altro grande ex della vecchia guardia Tory, l’ex premier David Cameron, nuovo materiale per fare chiarezza nei rapporti tra mondo del business, Whitehall e Westminster.