Poco meno di un mese fa, a Kigali, capitale del Ruanda, è stata scritta una pagina importantissima della storia del continente africano, soprattutto dell’Africa subsahariana. Vediamo di cosa si tratta.
Nella capitale di uno dei paesi più poveri dell’Africa orientale, si sono incontrati i leader di 44 paesi africani per sottoscrivere un accordo finalizzato a creare uno spazio di libero commercio intra continentale. L’accordo, che è stato chiamato AfCFTA (African Continetal Free Trade Area Agreement), consiste nell’eliminare il 90 per cento di dazi e barriere doganali sulle merci che circolano all’interno del continente. Il restante 10 per cento verrà eliminato in un secondo tempo. I paesi firmatari hanno tempo fino a 18 mesi, oramai quasi 17, per ratificare e convalidare l’accordo all’interno dei rispettivi parlamenti e sarà effettivo solo con la firma della metà dei paesi firmatari, ovvero 22 su 44, dunque bisognerà trovare i fondi necessari per avviare l’apertura di questa zona di libero scambio. E sarà necessario stabilire quali prodotti far rientrare nel 10 per cento ancora sotto il controllo delle dogane. Infine toccherà alla Commissione dell’Unione Africana, che ha sede ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, istituire un segretariato che possa vigilare su una corretta attuazione dell’accordo.
L’importanza rivestita da questo accordo è epocale. Non solo per il luogo dove esso è stato stipulato, il Ruanda, che nel 1994 è stato teatro di un sanguinoso genocidio dove gruppi paramilitari di etnia Hutu, appoggiati dal governo, massacrarono a colpi di arma da fuoco, machete e mazze chiodate più di 800.000 persone di etnia Tutsi, ma anche Hutu più moderati. La firma di questo accordo, voluto a lungo dall’Unione Africana, organizzazione nata nel 2002, costituisce un evento di eccezionale importanza anche perché può costituire una possibilità e una speranza concreta per l’Africa di risollevarsi.
Un continente che, nel 2018, vede ancora 420 milioni di persone sotto la soglia di povertà. Un continente devastato da siccità, da variazioni climatiche che danneggiano l’agricoltura e da conflitti etnici sui quali i nostri media si soffermano raramente. Tutti fattori che hanno sensibilmente accresciuto l’emigrazione giovanile verso il vecchio continente.
Ora questo accordo, appunto, può costituire una speranza concreta. Perché come diceva un certo Frederic Bastiat, “dove non passano le merci, passeranno gli eserciti” e questo può essere il segnale che i paesi africani con gli eserciti, o meglio con gruppi paramilitari e bande armate, vogliono definitivamente chiudere ogni porta. Lo stesso spirito con i quali tre signori, i quali pur provenendo da paesi diversi per ragioni geografiche parlavano entrambi un fluentissimo tedesco e che rispondono al nome di Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman, concretizzarono il sogno di una cooperazione tra i vari paesi dell’Europa occidentale. Paesi che fino a qualche anno prima si erano massacrati a vicenda e che avevano combattuto due sanguinosi conflitti anche per la gestione di risorse e materie prime e che ora cooperavano per permettere a queste risorse di circolare liberamente in un mercato unico.
Un sogno bellissimo andato in frantumi, concretizzatosi in un leviatano opprimente e autoreferenziale arroccato attorno ad una fortezza chiamata Bruxelles. Che spaccia per apertura solo la rinuncia ai propri valori, ma di fatto è chiuso su se stesso. Dovremmo forse tornare alla terra dell’homo sapiens, padre del genere umano, per riscoprirci liberali?