L’appello contro Stagnaro e Puglisi: la solita robaccia da comunisti

4.3k 0
generica_porro_1200_3

La nomina, in seno a una task-force devoluta alla verifica dell’impatto delle misure del PNRR, degli economisti Carlo Stagnaro e Riccardo Puglisi (il primo direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni e con in passato esperienze amministrative significative al Ministero dello sviluppo economico, il secondo professore associato di economia pubblica a Pavia) ha ingenerato la solita scomposta reazione della sinistra: incapace di accettare il pluralismo delle idee e che altri siano chiamati a gestire frammenti di potere, ha inscenato ciò che le riesce meglio da sempre, la chiamata alle armi sotto forma di petizione.

Ed è così che l’appello attinge al meglio, cioè al peggio, delle tirate moralistiche e discriminatorie in cui eccelle lo strutturalmente ipocrita mondo progressista: sono quasi tutti uomini, bofonchiano gli appellanti, quasi tutti liberisti, tutti provenienti dal Nord, le principali argomentazioni che lo capirebbe chiunque non hanno niente a che vedere con la asserita diminuzione del prestigio del ‘governo dei migliori’. 

Parallelamente alla lettera aperta, firmata molto spesso da accademici che non hanno alcuna competenza economica e talmente ‘aperta’ da esser stata firmata pure da personaggi di fantasia, come il Guidobaldo Maria Riccardelli che i cinefili, emozionati, riconosceranno per essere il feroce direttore di Fantozzi, fanatico del cinema d’autore, si sono schiusi i petali d’inferno del tentativo di macinare le ossa dei due, portato avanti dalla stampa compiacente e dal solito mondo che reclama sempre più intervento pubblico in economia.

Di Puglisi si dice essere una specie di troll del web e se ne criticano le modalità comunicative su Twitter, dove avrebbe, addirittura, ecceduto in sarcasmo ultravioletto contro altri utenti; e poi si dice che essendo uno spietato liberista e non credendo nel dogma della immacolata concezione dello Stato salvatore, sarebbe ben ipocrita da parte sua abbeverarsi ai denari pubblici e dover valutare come lo Stato finisca per spendere i denari europei.

Il denaro pubblico lo possono spendere solo keynesiani e nostalgici dell’Urss, ovviamente. Il che, potremmo dire, sarebbe anche accettabile se, al tempo stesso, il denaro privato lo potessero spendere e gestire solo i liberisti. Poi vedremmo a chi conviene maggiormente.

Le argomentazioni della lettera aperta/lista di proscrizione sono la summa del comunismo fucsia celato dietro la prosopopea logorroica delle solite, drammatiche prese di posizione anti-storiche di un certo mondo che da sempre, non avendo lavorato un singolo giorno della propria vita, vive fuori dalla realtà; d’altronde, al netto del fatto che ogni ministro di orientamento progressista si è nominato anche le sue commissioni con i suoi esperti, molto spesso ideologicamente affini e keynesiani per volar bassi, appare incredibile dover continuare a sentire il lamento di chi ha gestito il potere politico, culturale, burocratico e istituzionale per decenni, come se ora fosse avvenuta chissà quale ostracizzazione.

La lesa maestà avviene solo perché nel corpaccione della alta burocrazia vengono innervati anche esperti che non hanno orientamento ideologicamente affine a quello del 90 per cento dei tecnici che da anni svernano tra uffici, dipartimenti e coordinate da grand commis

Viene spezzata la uniformità dell’organicismo ideologico che ha trasformato l’Italia in un carrozzone nutrito di spesa pubblica fuori controllo, di sussidi, di indennità, e di uno Stato tentacolare e capillare che ha invaso ogni sfera dell’esistente, asfissiando e annegando libera iniziativa imprenditoriale, lavoro autonomo, tutela della proprietà privata.

La lesa maestà incide sulla rendita di posizione pluridecennale di un mondo che si replica strutturalmente nel corpo burocratico e delle accademie e che nello Stato vede l’inizio e la fine del mondo; e solo in questa prospettiva si può inserire, e spiegare, una frase come quella di Tomaso Montanari, storico dell’arte che però vuole scrivere di tutto, politica, economia, sociologia, antropologia, secondo cui il Governo Draghi sarebbe addirittura un ‘gabinetto paleoliberista di destra’. 

D’altronde, col solito senso della misura e tanto perché sarebbe stato poi Puglisi ad eccedere coi toni su Twitter, Montanari ha definito l’attuale presidente del Consiglio ‘il nostro Bolsonaro’, preconizzando poi una carneficina da pandemia perché si stava osando tornare alla vita, dopo un anno e mezzo di chiusure, limitazioni, restrizioni di ogni ordine e grado.

Montanari è stato appena eletto rettore dell’Università per stranieri di Siena, e a nessuno è venuto in mente di buttar giù una lettera di protesta o un appello collettivo per rimarcare la discutibilità del suo comportamento social, come è stato per Puglisi: ma è naturale, perché l’ostracismo mascherato sotto la locuzione comoda e pelosa dell’impegno civico è roba per comunisti, per nostalgici di Vopos e Stasi, per zelanti compilatori di liste di proscrizione. E tutta questa robaccia la lasciamo, appunto, ai comunisti.

Su Stagnaro ci si è sbizzarriti ancora di più, involgendo nella critica direttamente l’Istituto di cui fa parte, il Bruno Leoni: d’altronde Draghi aveva già ‘osato’ chiamare a collaborare Serena Sileoni, del medesimo istituto, suscitando un brivido di orrore sulle schiene irsute dei pasdaran del keynesianesimo sovietico da accademia.

Qui le critiche si sono biforcate: di Stagnaro è stato sottolineato il suo essere un presunto negazionista del riscaldamento globale e climatico, e questo solo perché ha curato un volume in cui la vulgata comune sempre più thunberghiana viene sottoposta a vaglio critico, poi lo si accusa di essere un apologeta della liberalizzazione totale della circolazione delle armi e dell’autodifesa, come se queste poi potessero essere davvero delle accuse.  

I comunisti chiedono la legalizzazione delle droghe sostenendo che tenerle sommerse sotto la coltre della illegalità favorirebbe la criminalità e le mafie, rendendo più complessi i controlli e la prevenzione stessa: i comunisti dimenticano tutte queste argomentazioni quando poi si parla di armi, partendo dal presupposto, fallace e apodittico, secondo cui la circolazione libera delle armi finirebbe per ingenerare un far west totale, e dimenticando per convenienza che i fatti di sangue avvengono quasi sempre a causa di armi detenute illegalmente.

D’altronde è un po’ difficile immaginare un beota che andrebbe a rapinare una banca o ad ammazzare un rivale d’amore con la propria arma legalmente registrata e ben immatricolata…

Chiaramente, tutto questo non ha alcuna attinenza con il compito che Stagnaro sarà chiamato a occupare in seno alla tecnostruttura governativa, però fa sempre scena buttare fango, ombre e sospetti.

E c’è poi il capitolo sul Bruno Leoni, dipinto come epicentro di una Spectre mondiale del neoliberismo, nemico giurato dello Stato, a favore di inquinamento, speculazione, profitto anti-umano, e via dicendo, in un quadro così fosco che stupisce non trovare l’istituto milanese inserito in qualche bel romanzo distopico alla P. K. Dick.

Che dei liberisti (vetero o neo) siano messi in condizione di poter dire la loro mi appare talmente naturale, nel nome del pluralismo delle opzioni ricostruttive della spesa e della gestione del PNRR, che tutto questo articolo in un Paese civile non avrebbe senso alcuno di esistere, ma essendo noi in un Paese ancora oggi infestato da comunisti appellanti che vorrebbero escludere chiunque non la pensi come loro mi sono trovato a doverlo scrivere.

Quel che però lascia assai perplessi è un altro aspetto; i comunisti fanno ciò che riesce meglio loro, cioè i comunisti, ma tutti gli altri, quelli che fanno pretenziosi gargarismi con la sedicente ‘svolta liberale’ della loro compagine partitica, desiderosi di farsi abbronzatura rinnovante, che fanno? Dormono, sonnecchiano, sono in coma?

Nessuno chiede difese di schieramento, né contro-lettere aperte, ma appare evidente come se un leader politico parla di svolte liberali dovrebbe chiarire cosa ne pensa di certe modalità di intervento economico, e prendere una posizione su alcune figure istituzionali, dicendo una parola di chiarezza sulla necessità di tutela del pluralismo e soprattutto sulla intrinseca pericolosità di certe ‘lettere’.

Perché queste lettere che forse faranno sorridere qualcuno, in realtà sono iniziative abiette: sono le petizioni di sempre, le lettere per indicare un nemico, per spersonalizzarlo, renderlo antipatico o peggio odioso, per additare alla gogna pubblica, alla esecrazione collettiva il nemico assoluto. 

E su questo no, non si può transigere, e non potete transigere nemmeno voi redenti leader politici scoperti da poco ‘liberali’.

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version