L’appellone speranzoso, ennesima prova di arroganza patetica della sinistra firmaiola

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In principio, lo sappiamo, lo ricordiamo, fu l’appello contro il commissario Calabresi: la sinistra ha una lunga, vigorosa tradizione di manifesti, raccolte, pipponi viva questo o abbasso quello, ma la hit parade dei settecentocinquanta e passa che consideravano il commissario un fascista legato alla Cia è la madre di tutte le vergogne firmaiole: Calabresi finì come sappiamo, un giorno di maggio del 1972, eliminato, secondo sentenze definitive, da killer di Lotta Continua; il tempo essendo se non galantuomo almeno giustiziere, Calabresi emerse postumo per un uomo e un funzionario leale, onesto, umano e del tutto estraneo alla morte dell’anarchico Pino Pinelli; e allora i firmaioli fecero spallucce: chi passò oltre, chi tentò di rinnegare la firma, come oggi si fa coi social – “qualcuno deve avermi hackerato il profilo”, altri, beh, restarono le dure e pure teste di sempre: i tempi erano quelli, era giusto accanirsi, noi avevamo ragione ad avere torto e voi avevate torto ad avere ragione.

Fu ignominia somma ma non sanata, doppiata anzi, un’epoca e tanti appelli dopo, da quella per il criminale e bugiardo Cesare Battisti, esaltato da altri millecinquecento imbecilli che per anni ne garantirono l’innocenza, salvo squagliarsi come neve al sole alle tardive confessioni dell’assassino e cialtrone. Quanto a dire che la sinistra o è firmaiola ad minchiam o non è.

Oggi, su un piano completamente diverso, assistiamo alla carica dei centocinquanta per Speranza, il ministro più disastroso della storia patria: non si capisce come si possa arrivare a tanto se non palesandosi, con orgoglio degno di miglior causa, di sinistra. Così che l’appello “nessuno tocchi Speranza” sa tanto di conta, di noi ci siamo, di eccoci siamo i soliti migliori in soccorso dei migliori, ammaccati, senza più appeal, senza uno straccio di credibilità, perduta da lungo tempo ogni verginità, ma finché ce lo diciamo tra noi… È incredibile l’arroganza patetica con cui si pretende… cosa? L’impunità ad ampio raggio? L’immunità alla critica? Il bando della logica? Per giunta da indefessi forcaioli, giustizialisti purissimi, gente che per molto meno monta il patibolo e ti perseguita a vita coi dossier, questo disse quello, quello affermò quest’altro, anche a distanza di decenni.

In realtà, ciò che pare premere massimamente a questi professionisti dall’autografo è un paio di cosette, la prima: esserci, spolverarsi, mettersi in mostra come sempre; la seconda, difendere, e non lo nascondono, la tenuta del governo a trazione piddina o così piace credere a loro – e avranno le loro ragioni, puntate con un occhio contro “le destre” (eversive, parafasciste), con l’altro contro Renzi: soliti intrugli psichedelici nel pentolone di sinistra. “Come cittadine e cittadini italiani, come donne e uomini della cultura, del lavoro, dell’arte, dello sport, della scienza…” e il tono stentoreo, solenne ricorda quello del Maggiore del film di Trinità. Manca giusto che concludano: ci vedremo costretti a parlarne al nostro personale amico il Governatore!

L’appellone speranzoso vira sul deamicisiano un po’ futurista, si definisce il Martire Speranza come quello che “è tornato a investire significativamente (sic!) nella salute pubblica”, alleggerita per 30 miliardi proprio dalla sinistra speranzosa; suona come il combinato disposto fra la retorica da Primomaggio e quella da liriche guccinian-finardesche. Difatti nella carica dei firmaioli si scorgono parecchi nomi della luminosa cultura e della immaginifica arte, la cui carriera è vegetata fin da subito all’ombra del partitone, una sigla dopo l’altra, un cambio di ditta dopo l’altro. E fin qui si può capire. Si può capire anche, seppure giustificare meno, lo schieramento compatto della triplice sindacale, che con le (scriteriate) scelte in materia di sanità non dovrebbe entrarci o al limite risultare assai critica, posto che 14 mesi di chiusure dissennate, di scelte semplicemente assurde hanno seriamente incancrenito il già malaticcio sistema produttivo nazionale; ma questo ai sindacati non interessa, anzi li esalta, i loro clienti sono da anni e annorum ciò che resta dell’operaismo, poco in verità, e quanto rimane dello statalismo, che è sempre troppo.

Chiarissimi anche i nomi dell’Anpi, istituzione decrepita e militante retta dal Pd, di cui costituisce uno dei bracci propagandistici; a nome della pletora di preti cosiddetti sociali, l’immancabile don Ciotti, santone alla sinistra di Bergoglio; scorrono poi nel torrente circolare degli agit propr i vari Antonio Scurati, Gianrico Carofiglio, Corrado Augias, Michele Serra, Francesco Guccini, Gabriele Salvatores, Lino Guanciale, Neri Marcorè, Ferzan Ozpetek, Gabriele Lavia, Sabrina Ferilli, Massimo Ghini, Monica Guerritore, Tomaso Montanari, Moni Ovadia, Eugenio Finardi, Renzo Ulivieri. Con supremo sprezzo del ridicolo non manca Michele Mirabella, testimonial di Stato, quello che agitando le bacchettine cinesi diceva che il virus non è cosa, non si piglia, niente paura. “Molti gli accademici”, tra cui Domenico De Masi, Gianfranco Pasquino, Alessandro Portelli, Nadia Urbinati, Gianfranco Viesti. Nessuna sorpresa; desta perplessità, invece, il nome di Gian Carlo Caselli, il giudice in pensione: a che titolo? Come privato cittadino, d’accordo, ma cittadino che si ritiene più influente, voce comunque in capitolo? O cittadino che fu e rimane giudice?

Ora, succede che l’intero entourage del ministro, da Arcuri a Ranieri Guerra, sia chiamato in causa con sospetti di macigno in merito ad operazioni gravi che si chiamano mascherine non a norma, ventilatori non in regola, tutta roba rilevata dalla Cina, mentre sullo sfondo si staglia la macchia del piano pandemico, delle manovre spregiudicate per soffocare i retroscena e le critiche in seno all’OMS, delle eventuali responsabilità al riguardo, che potrebbero rivelarsi immani. Che Speranza sapesse o fosse ignaro, come la giri la giri è la conferma di una totale inadeguatezza: come fai a sostenerlo, con che faccia puoi non vedere le responsabilità almeno politiche di un tale sfacelo?

L’allegra brigata dei firmaioli si conclude con gli immancabili giornalisti avvezzi a lamentarsi della scarsa indipendenza della categoria, ovviamente tutti tranne loro: voilà i soliti gendarmi della morale giornalistica, e siamo in area ManifestoFatto Quotidiano coi Giulietti, le Norma Rangeri, i Lerner, quello delle “classi subalterne”, i Serra (“imprenditori, attaccatevi”), I Purgatori che purgano i “fascisti”, i Travaglio, l’uomo che voleva fare la nuova Voce di Montanelli e s’è ridotto a guidare Lotta Continua 50 anni dopo. Vaccinus in fundo Scanzi, quello della variante aretina, quello che si faceva i selfie con l’allora premier Conte che teneva in mano il libro dello Scanzi sul “cazzaro verde”. Quando si dice la schiena dritta, ma per il colpo della strega.

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