“Vogliamo mantenere un approccio volontario, non coercitivo come quello di altri Paesi”. Il premier inglese, Boris Johnson, trattato dall’informazione italiana alla stregua di uno sprovveduto con la chioma scompigliata, dopo qualche incertezza iniziale, si è forse dimostrato uno dei pochi leader mondiali che ha saputo indicare una strategia equilibrata per uscire dalla fase pandemica. Al di là del partygate che lo tiene sulla graticola in queste ore e può compromettere la sua carriera politica (nel Regno Unito sono piuttosto inflessibili di fronte a comportamenti poco seri di chi detiene il potere), durante questi due anni, Johnson non ha mai seguito l’esempio dell’Europa continentale né il tanto declamato modello italiano che ha sacrificato diritti e libertà sull’altare del dogma sanitario e, a volte, di teoremi che rasentano la superstizione.
Fin dall’inizio, per gli inglesi, il lockdown si è sostanziato nella chiusura delle attività commerciali, compresi i pub che sono un’istituzione al pari della monarchia, e nell’incentivare il lavoro da remoto. Mai, dalle scogliere di Dover alle Highlands, si sono permessi di chiudere i parchi, di vietare la corsa, di inseguire i bagnanti sulle spiagge, di confinare le persone o impedirgli perfino di uscire di casa. Anzi, la precisa indicazione del governo era quella di incoraggiare l’attività fisica all’aperto e le passeggiate per non aggravare le ricadute psicologiche delle chiusure e preservare per quanto possibile la salute mentale.
Ma non è finita qui, perché non si sono mai sognati di imporre la mascherina all’aperto o un determinato tipo di dispositivo nei luoghi chiusi. Alla BBC, uno scienziato, con un registro assai diverso da quello cui siamo abituati nei nostri talk-show, ha illustrato con pacatezza il motivo per cui un determinato dispositivo di protezione può essere previsto solo per particolari categorie di soggetti come per esempio il personale sanitario. Il cittadino comune non va stressato troppo, perché, per esempio, se non tollera la famosa Ffp2, tende poi a toccarla, rimuoverla e a vanificare l’effetto protettivo. Meglio affidarsi al buon senso e permettere al cittadino di usare una mascherina, pure di stoffa e colorata, che lo faccia sentire più a suo agio.
Stesso discorso per il Green Pass. Nel Regno Unito è stata introdotta una versione molto soft del certificato verde, la cui esibizione era richiesta solo per alcuni eventi al chiuso o per quelli all’aperto con la partecipazione di un certo numero di spettatori; certificato verde ottenibile anche con un test rapido, gratuito e fai da te. Questo è un altro aspetto che l’informazione italiana sembra ignorare: in Inghilterra, le farmacie distribuiscono gratuitamente i tamponi rapidi per consentire uno screening massiccio, meno invasivo e molto meno oneroso del nostro. Le uniche vere limitazioni sono state imposte per i viaggi, con l’obbligo di un test a pagamento da effettuare entro il secondo giorno dall’arrivo (per un breve periodo, anche con isolamento domiciliare in attesa dell’esito). E, limitatamente, al periodo natalizio, per entrare nel Regno Unito era necessario anche presentare un certificato attestante la negatività nelle 48 ore precedenti alla partenza.
Peraltro, pure queste poche norme restrittive non sono state accolte di buon grado dalla maggior parte dell’opinione pubblica britannica tanto affezionata alle proprie libertà, compresa quella di circolare. Il paradosso è che a Londra le critiche a Johnson sono giunte dal suo stesso partito o dalla stampa che dovrebbe essergli amica, proprio perché le sue misure erano ritenute eccessivamente severe per un verso e dispotiche per un altro, in un Paese di tradizione saldamente liberale.
Non a caso, il periodico The Spectator ha salutato la prossima abolizione delle misure di contrasto alla variante Omicron, in particolare l’eliminazione del pass all’inglese, con una copertina eloquente, sulla quale campeggiava un passaporto disintegrato e il titolo “Rip it up!” (stracciatelo!). Inoltre, dal 26 gennaio, non sarà più obbligatorio nemmeno indossare la mascherina sui mezzi pubblici, si torna al lavoro in presenza e dovrebbero essere ridotte all’osso anche le limitazioni per i viaggi.
Dall’altra parte della Manica, insomma, non vedono l’ora di ripartire, di rimettere in moto anche i settori che hanno particolarmente sofferto in questo periodo, come quelli dell’accoglienza e tutto il comparto turistico, di lasciarsi definitivamente alle spalle la gestione emergenziale e convivere in maniera intelligente con questa fase epidemica più attenuata.
A questo si aggiunga che loro non hanno subito come effetto collaterale di questa strana epoca la sbornia infodemica a reti e testate unificate, fonte dello sgradevole clima di intolleranza e risentimento ormai dilagante nel nostro Paese. È sufficiente considerare il tono e linguaggio con cui, di recente, Johnson si è rivolto ai suoi cittadini per accorgersi della macroscopica differenza: “Ci fidiamo del giudizio del nostro popolo e non criminalizzeremo chi deciderà di non indossare più la mascherina”. Forse, questo è un modo più corretto per rapportarsi con la propria gente chiedendo senso di responsabilità ma senza demonizzare il capro espiatorio di turno offerto in sacrificio alle folle indignate e terrorizzate. Tanto è vero che più della metà della popolazione ha ricevuto il cosiddetto booster, offerto tempestivamente dal governo di sua Maestà e non imposto come da noi.
Probabilmente, gli inglesi sono meno bravi a tirare i calci di rigori rispetto agli italiani, ma hanno anche dimostrato di essere parecchio affezionati ai diritti e alle libertà individuali, che hanno bilanciato con regole sanitarie più sostenibili e meno aggressive per i cittadini. A quanto pare, e nonostante le previsioni improvvide di qualche nostro scienziato che aveva annunciato l’imminente catastrofe britannica, loro sono davvero all’ultimo miglio o anche oltre. Il nostro, al contrario, sempre più evanescente e sfuocato, assomiglia a quello verde. Dello stesso colore del Green Pass.