Diventa sempre più precaria la posizione della Chiesa cattolica in Cina. D’altro canto non va certo meglio per i fedeli di altre religioni. Sono nel mirino di governo e Partito comunista, infatti, anche le varie confessioni protestanti, molto attive nell’opera di evangelizzazione. Ed è notissima la violenta repressione degli uiguri, musulmani che vivono nella regione autonoma dello Xinjiang.
L’ultimo, clamoroso fatto che riguarda i cattolici risale al 12 maggio. A Hong Kong la polizia ha arrestato il cardinale emerito della ex colonia britannica, il 90enne Joseph Zen Ze-kiun, assai noto all’opinione pubblica internazionale per il suo incondizionato appoggio alle manifestazioni del movimento democratico, represse con la violenza dalle autorità cinesi.
Ora che Hong Kong è stata completamente “normalizzata” con il divieto assoluto di manifestare e con l’arresto di tutti gli esponenti contrari al regime, Pechino agisce indisturbata e senza più freni. In linea con le direttive di Xi Jinping e del suo gruppo dirigente, che temono (per usare un eufemismo) l’influenza dei movimenti religiosi sulla popolazione. La precedente governatrice Carrie Lam, molto fedele alle direttive del regime, è stata sostituita da John Lee, già ministro della sicurezza e capo delle forze di polizia che hanno represso la rivolta della città-isola. Nessun dubbio, quindi, che la morsa del governo centrale diventerà ancora più stretta.
La notizia dell’arresto del cardinale emerito, in seguito liberato dopo il pagamento di una cauzione, ha comunque destato sconcerto. Significa, infatti, che Pechino è decisa a schiacciare ogni ostacolo, del tutto incurante delle proteste internazionali. Negli ultimi mesi molti sacerdoti cattolici sono stati arrestati nella Cina continentale, con la solita accusa di condurre attività sovversive, tra le quali Pechino annovera anche la mera celebrazione delle messe domenicali.
L’arresto di Joseph Zen getta un’ombra sulla politica cinese di Papa Francesco e del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin. Entrambi hanno infatti scelto una linea “morbida” per non pregiudicare il dialogo con Pechino.
Il problema è che tale dialogo resta assai difficile, per non dire quasi impossibile, giacché governo e Partito comunista cinesi vogliono controllare l’ordinazione dei sacerdoti e soprattutto la nomina dei vescovi, non accettando che sia Roma a indicare chi deve essere scelto. Il tentativo è quello di organizzare una Chiesa cattolica fedele a Pechino, analogamente a quanto avveniva a Mosca ai tempi della ex Unione Sovietica.
Il cardinale Zen si è sempre opposto con forza a tale strategia giudicandola infruttuosa, e non ha esitato a criticare apertis verbis i vertici vaticani per questo. Del tutto contrario alle nomine episcopali “congiunte” imposte da Pechino, l’anziano cardinale non è stato neppure ricevuto dal pontefice in occasione della sua ultima visita a Roma nel 2020.
Per Zen cristianesimo e comunismo sono inconciliabili, mentre in Vaticano si ritiene che la “politica del dialogo” sia destinata a fornire risultati. Rammenta, questa politica, quella praticata dal defunto cardinale Agostino Casaroli, anche lui segretario di Stato, che inaugurò il dialogo con la ex Unione Sovietica, non rivelatosi molto fruttuoso e comunque interrotto a causa del crollo dell’URSS.
In linea con questa strategia, Papa Francesco ha da poco nominato come nuovo cardinale di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow, considerato molto fedele a Bergoglio. Risulta che la nomina sia stata gradita dal regime. Resta ovviamente da verificare se apporterà vantaggi ai cattolici cinesi perseguitati.