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Lavrov ci ricorda che l’antisemitismo è ancora vivo nella Russia profonda

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Com’era prevedibile, l’intervista di Giuseppe Brindisi al ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, ha scatenato un mare di polemiche. Le opinioni al riguardo divergono. Per la maggioranza dei commentatori non si doveva proprio fare poiché ha fornito un’ottima occasione di diffondere in Italia – e non solo – le tesi della propaganda putiniana, per di più senza che l’intervistatore si preoccupasse affatto di contraddire ciò che il russo andava dicendo.

Per altri, al contrario, tanto nel nostro Paese quanto all’estero, si è trattato di un vero e proprio scoop, in quanto tale del tutto legittimo da un punto di vista esclusivamente giornalistico. Ritengo, tuttavia, che non sia questo il tema principale in questione.

A mio avviso occorre riflettere su un fatto di cui si parla purtroppo assai poco, e cioè che l’antisemitismo più becero continua ad avere influenza in tante nazioni, e in particolare in quelle dell’Europa orientale. Ma non solo. Basti pensare a quanto le tesi antisemite siano diffuse anche, per esempio, in Paesi che in teoria dovrebbero esserne immuni come Francia e Regno Unito.

Nel suo comizio, poiché proprio questo è stato, Lavrov ha fatto ricorso a una panzana che, per quanto sia stata smentita in modo netto dagli storici, torna a galla con una frequenza impressionante. Secondo tale narrazione, lo stesso Adolf Hitler era in realtà ebreo. D’accordo, Lavrov l’ha tirata fuori come replica all’osservazione che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è di origini ebraiche. E questo è un fatto incontestabile, che non c’entra con la propaganda di qualsiasi tipo.

Si noti però un altro fatto curioso. Perché un politico di grande esperienza come Lavrov ha prestato il fianco al più bieco becerume antisemita? Ho l’impressione che si rivolgesse, più che al contesto internazionale, alla propria opinione pubblica interna, dove l’antisemitismo è moneta corrente da tempo immemorabile, sin dall’epoca dei tanti pogrom zaristi. E dove ha continuato a prosperare anche ai tempi del comunismo sovietico.

Molti leader bolscevichi erano in effetti ebrei, ed è noto che ciò causava problemi a coloro che ebrei non erano. Basti rammentare la paranoia che colse Stalin quando denunciò il presunto e celebre complotto dei medici ebrei ai suoi danni. Ma è necessario rammentare che il fenomeno era (ed è) diffuso in tutta l’Europa dell’Est.

Basti nominare Polonia, Ungheria e Slovacchia. Ma anche gli stessi ucraini in fatto di antisemitismo non scherzano, pur avendo eletto un presidente ebreo. Lavrov, dunque, altro non ha fatto che solleticare gli istinti più bassi della Russia profonda. E stupisce che si sia limitato alla panzana delle origini ebraiche di Hitler.

Già che c’era, poteva anche nominare i “Protocolli dei Savi di Sion”, clamoroso falso storico confezionato dalla Ochrana, la famigerata polizia segreta zarista, i cui metodi sono stati ereditati dal KGB sovietico e anche dallo FSB, gli attuali servizi segreti russi agli ordini di Vladimir Putin.

Un quesito incombe. Lavrov era prima considerato un personaggio abile diplomaticamente, “dialogante” e tutto sommato colto. Come si spiegano, dunque, i toni deliranti della sua intervista? L’unica risposta è la seguente: fanno parte del delirio complessivo che si è impadronito dell’attuale dirigenza russa.

Mentre la guerra va male e l’esercito non riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati, gli oligarchi muoiono come mosche e i generali sono sempre più in fibrillazione. Non si sa ancora se Papa Francesco riuscirà a vedere Putin a Mosca, ma è chiaro che i margini per una trattativa di pace diventano ogni giorno più ristretti.

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