Doppio inganno sul Green Pass: prima durata a 12 mesi, contro ogni evidenza scientifica, per invogliare a vaccinarsi; ora vogliono ridurla a 9 o 6 per costringere alla terza dose
Ma la decisione di dare la caccia fino all’ultimo dei non vaccinati e inseguire persino i bambini lascia scoperte le persone più a rischio
Il copione era già scritto, ma non per questo possiamo darlo per letto e passare oltre. Era scritto che con l’arrivo della stagione fredda, più propizia alla circolazione del virus, e con il progressivo incremento della quota di vaccinati che hanno ricevuto la seconda dose da oltre 6 mesi (tra marzo e maggio 2021), non solo i contagi sarebbero tornati a salire, ma sarebbe salita, tra i contagiati (e anche tra i ricoverati), la percentuale dei vaccinati con doppia dose. Oggi in Germania gli over 60 con doppia dose rappresentano il 45 per cento dei ricoverati, riporta la Bild.
E già scritto era anche l’improvviso switch della narrazione del governo e dei media mainstream. Assistiamo in questi giorni al brusco risveglio: contrordine compagni! L’efficacia dei vaccini dura 6 mesi, correte a farvi la terza dose. “Ora c’è da correre”, dice letteralmente il ministro della salute Speranza.
Addirittura, ha fatto trapelare il Corriere della Sera, il governo starebbe pensando di ridurre la validità del Green Pass a 9 o anche 6 mesi, dato che la protezione del vaccino cala più velocemente del previsto (previsto da chi?). Ma allora, è stato un errore innalzarla da 6 a 12 mesi in estate? D’altra parte, ci viene risposto con imperturbabile faccia tosta e sprezzo del ridicolo, bisogna modulare le regole in base alle evidenze scientifiche che mano a mano emergono…
Eccola, l’ennesima mistificazione in corso in queste ore: presentare all’opinione pubblica la drastica riduzione dell’efficacia dei vaccini dopo 6 mesi come una recente acquisizione scientifica, un dato emerso in questi giorni e non, invece, un fatto ormai accertato da mesi ma che in Italia autorità e informazione allineata hanno deliberatamente ignorato, rifiutando di adeguare di conseguenza le politiche anti-Covid.
Si sapeva invece dall’inizio dell’estate, da quando cioè Israele e Regno Unito – i Paesi in quei giorni più avanti nella campagna di vaccinazione – avevano registrato una inattesa impennata dei contagi, che non si poteva spiegare altrimenti – come avevamo subito osservato su Atlantico Quotidiano – che con un significativo contributo dei vaccinati alla circolazione del virus. Già a partire dalla metà di giugno in Israele la tendenza era chiara: con la diffusione della variante Delta si è subito notato un significativo calo di efficacia dei vaccini dopo 5-6 mesi dalla somministrazione della seconda dose. E le autorità israeliane non ne hanno fatto mistero, i dati settimana dopo settimana erano pubblici.
La stessa Pfizer, in un comunicato dell’8 luglio, spiegava che “come si vede dai dati raccolti sul campo dal Ministero israeliano della salute, l’efficacia del vaccino nel prevenire sia l’infezione che lo sviluppo dei sintomi declina sei mesi dopo la vaccinazione, sebbene resti alta l’efficacia nel prevenire i casi gravi”. E la casa farmaceutica annunciava che nelle settimane successive avrebbe chiesto alle autorità regolatorie, la Fda in Usa e l’Ema nella Ue, l’autorizzazione per la terza dose del suo vaccino.
A metà luglio i dati pubblicati dal governo israeliano, relativi al periodo 20 giugno-17 luglio, non lasciavano dubbi, confermando inequivocabilmente il calo di efficacia del vaccino nel prevenire l’infezione, crollata al 39 per cento. E tra la seconda metà di luglio e la prima metà di agosto cominciavano ad arrivare i primi studi scientifici, sulla base dei dati raccolti da Israele e Regno Unito.
Erano gli stessi giorni in cui in Italia l’obbligo di Green Pass veniva esteso, a partire dai dodicenni, a molte attività quotidiane, ben oltre viaggi all’estero e grandi eventi, per i quali era stato inizialmente concepito. Il Green Pass si è quindi basato dall’inizio su una duplice pretesa che già allora, a metà luglio, quando veniva reso obbligatorio per l’accesso ai locali interni di bar e ristoranti, e per poter svolgere attività sportive o assistere a spettacoli, era smentita dalla scienza: e cioè che i vaccinati non potessero contagiarsi e contagiare e che l’efficacia dei vaccini fosse garantita per almeno 12 mesi.
Il 22 agosto il primo ministro israeliano dichiarava: “Se sono trascorsi cinque mesi dalla seconda dose, non sei protetto”. Ma in Italia non si poteva dire.
In Italia chi in quei giorni osava avanzare dubbi, chi sulla base delle esperienze israeliana e britannica osservava che con la diffusione della variante Delta l’efficacia dei vaccini nel prevenire l’infezione era significativamente inferiore, e calava dopo soli 5-6 mesi, veniva additato come no-vax, perché allora c’era da “vendere” i vaccini come salvifici e giustificare il Green Pass a 12 mesi.
E si capisce perché: non si potevano obbligare le persone (perché di questo si tratta, di un obbligo surrettizio) a farsi un vaccino ammettendo che la sua efficacia sarebbe durata solo 6 mesi. Ci voleva un incentivo. Da qui la menzogna: estendendo a 12 mesi dalla seconda dose la validità del Green Pass emesso con il vaccino si è fatto credere ai cittadini, contro ogni evidenza scientifica già disponibile allora, che la copertura durasse minimo un anno, come tra l’altro qualche televirologo si azzardava a sostenere…
Ancora più grave quindi aver reso il Green Pass obbligatorio per lavorare e ricevere lo stipendio, unico Paese tra quelli avanzati. Una battaglia ideologica, dato che la campagna di vaccinazione procedeva a buon ritmo ed eravamo già tra i Paesi con i più alti tassi di vaccinati, condotta su false premesse scientifiche.
E in questa battaglia il governo Draghi si è gettato anima e corpo, ha puntato tutte le sue fiches sullo strumento Green Pass, incurante delle profonde lacerazioni nel tessuto sociale che stava provocando. Il risultato è che oggi, che i contagi stanno risalendo, anche tra i vaccinati, scopriamo non solo di essere indietrissimo con le terze dosi, ma di trovarci anche con un grosso problema di comunicazione: come spiegare – e spiegarlo in fretta – agli italiani che ops, il vaccino non dura 12 mesi, dovete farvi il richiamo.
Come si fa? Semplice, con un’altra menzogna: dai titoli dei giornali e delle tv è improvvisamente scomparsa la distinzione – decisiva – tra protezione dal contagio e protezione dalla malattia grave e dalla morte. Nell’arco di un paio di giorni, a Green Pass vigente e ancora valido per molti mesi per la maggior parte delle persone, la doppia dose sembra essere passata da unica possibilità di sopravvivenza ad acqua fresca. Non passerà molto tempo, temiamo, e i vaccinati con doppia dose indecisi se farsi la terza verranno bollati come no-vax.
La comunicazione istituzionale sulla terza dose è a malapena, e in modo confuso, iniziata in questi giorni, ma rischia di essere già tardi. Oggi gli hub dovrebbero essere pieni di over 60, invece sono vuoti, molti addirittura chiusi.
Il governo ha sbagliato strategia. Troppo impegnato a imbavagliare e criminalizzare il dissenso no-vax e no-greenpass, a spacciare i vaccinati per “immunizzati”, a procurarsi un capro espiatorio, ad avviare il “project fear” per vaccinare anche i bambini, si è presentato di nuovo impreparato all’appuntamento con la realtà. Certo, possiamo vantarci del quasi 90 per cento di vaccinati, ma di questi forse già un terzo senza reale copertura e con un nulla di fatto nel frattempo su scuole e trasporti. E i più scoperti sono proprio i più a rischio, gli anziani, il personale sanitario e scolastico, che hanno per primi ricevuto la seconda dose, tra marzo e maggio. Una vera e propria bomba sanitaria pronta a esplodere. La “campagna” estiva e di inizio autunno avrebbe dovuto essere non per il Green Pass ma per le terze dosi alle persone a rischio.
Qui sta non solo l’inutilità, ma il vero e proprio danno del Green Pass. Che avrà senz’altro, con un vile ricatto, costretto qualcuno a vaccinarsi, in gran parte ragazzi che non avrebbero in ogni caso riempito le terapie intensive, al prezzo però di una menzogna sull’efficacia dei vaccini – per non parlare di uno scontro sociale profondo – che rende oggi più difficile andare a spiegare agli italiani, e proprio ai più a rischio, che devono correre – letteralmente – a farsi la terza dose. Su temi così delicati la fiducia si costruisce con la trasparenza e la credibilità, non con le balle e la coercizione. Ed è questo il motivo per cui la somministrazione di terze dosi langue. Abbiamo ignorato il dato emerso dalle esperienze estive di Israele e Regno Unito, perdendo mesi di tempo.
E proprio la strategia del Regno Unito, derisa e diffamata, perché opposta alla nostra, si è invece dimostrata vincente. La curva dei contagi è in discesa già da due settimane, dopo il picco di 50 mila al giorno a metà ottobre (con ricoveri e decessi sempre sotto controllo) che aveva fatto scattare la solita canea di attacchi e battute. Ed è in discesa senza la reintroduzione di alcuna restrizione e senza obbligo esteso di Green Pass. Non è la prima volta, anche questa estate avevamo assistito alla stessa dinamica, dopo la completa riapertura di luglio.
Come si spiega? Le autorità britanniche hanno sapientemente dosato la loro strategia adattandola ai punti di forza e ai limiti dei vaccini. Hanno innanzitutto distanziato il più possibile le due dosi, in modo da ritardare il calo di efficacia. Raggiunta una percentuale di circa il 75 per cento di vaccinati, inferiore alla nostra, non si sono accaniti sui recalcitranti e i dubbiosi, ma hanno iniziato a puntare sulle terze dosi alle persone più a rischio, gli over 50, richiamate con un sms (già 11 milioni le terze dosi effettuate, mentre da noi 2,5 milioni), mentre i più giovani sviluppavano gli anticorpi naturali – i più efficaci e durevoli – entrando in contatto con il virus. In questo modo, proteggendo le persone più vulnerabili ma senza pretendere di azzerare i casi, ad ogni ondata il virus incontra una barriera di immunità sempre più estesa e i contagi iniziano a scendere rapidamente senza troppi danni.