Le due Leghe: come andrà a finire lo scontro (sempre più manifesto) tra LegaEuro e LegaSalvini?

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Quando nacque il governo, scrivemmo su Atlantico che Draghi aveva “graziosamente ottriato tre sgabelli per la LegaEuro”, destinati a “neo-ministri scelti come Letta scelse Alfano: per evitare che lascino l’esecutivo nel caso in cui la destra decidesse di ritirare l’appoggio al governo” ed aggiungevamo: “man mano che Draghi verrà avanti … Salvini troverà l’occasione di allontanarsene, lasciando la LegaEuro a far la fine del partito di Alfano e i tre ministri quella di Angiolino. In difetto, la Lega di Salvini farà la fine dei grillini”.

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Naturalmente, ci venne risposto che “di Lega ce n’è una sola”. Ma i fatti sono testardi. Per cominciare, Salvini negozia ormai direttamente con Draghi (e molte volte alla settimana, egli fa sapere): il che significa che Draghi tratta, contemporaneamente, con le due Leghe in quanto corpi separati.

Sin qui, apertamente, le due Leghe si sono scontrate sul Green Pass. Qui, la LegaEuro tutt’altro che muta, anzi: a Salvini che scandiva “non risulta nessuna estensione di Green Pass a tutti i lavoratori del pubblico e del privato”, Giorgetti entrava direttamente negli stinchi con un clamoroso “quella di estendere il Green Pass a tutti i lavoratori è un’ipotesi in discussione … credo si andrà verso un’estensione” … cioè l’esatto contrario del proprio segretario federale. Ha pure aggiunto che le divisioni “non servono a nulla” … tanto comanda lui.

Ancor prima, ad un Salvini che a luglio proclamava “vaccino, tampone o Green Pass per entrare in bar e ristoranti? non scherziamo”, ha risposto un robusto fuoco di controbatteria. Nel quale si sono distinti, non solo i tre ministri della LegaEuro (Giorgetti, Garavaglia, Stefani), ma pure i governatori leghisti (Zaia, Fedriga, Fontana). In ultimo, qualcuno di loro avrebbe pure mostrato ai giornalisti del Fatto Quotidiano la chat con la quale discutono e coordinano gli attacchi. Tra gli osservatori, i più attribuiscono tale allineamento alle responsabilità esecutive da tutti questi soggetti ricoperte. Ma, a parer nostro, il Green Pass è solo l’occasione, per le due Leghe, di esercitarsi nello scontro senza rischiare di farsi subito del male. Lo ha spiegato il capogruppo Molinari: “la Lega non ha intenzione di mettere a rischio la sua presenza nel governo sul tema del Green Pass”.

Diverso il caso di una questione veramente cruciale per la Lega: la migrazione. Qui non v’è chi non veda il segretario attaccare il ministro dell’interno e il ministro capo delegazione restare muto: lascia parlare Draghi, il quale non considera la questione degna di nota (“i numeri di quest’anno non sono spaventosi, abbiamo avuto anni molto peggiori di questo. Quindi io credo che la ministra Lamorgese faccia il suo dovere e lo faccia bene”). Ciò che Salvini non può accettare, infatti rilancia continuamente le proprie accuse al ministro.

Ugualmente muta la LegaEuro la troviamo sull’altro terreno di scontro: l’Europa. Dapprima la Carta dei Valori della destra europea, che Giorgetti nega persino di conoscere. Poi il caso Durigon, l’uomo di quota 100 cacciato dal governo dopo che Giorgetti lo aveva attaccato. Infine, le concessioni demaniali marittime nel mirino della direttiva Bolkestein, con il ministro del turismo Garavaglia che prima assicura (“siamo già d’accordo, faremo un giro in Europa per farla finita una volta per tutte”), poi fa finta di cadere dalle nuvole. Segnando una distanza profonda da Salvini, il quale promette fuoco e fiamme a difesa sia di quota 100 (“noi faremo le barricate pacifiche in Parlamento e fuori”), che delle concessioni (“la Lega si opporrà, ovunque e comunque”). Ciò mentre Draghi fa sapere di voler colpire entrambe da qui a poche settimane, perché da esse dipende la Legge Finanziaria ed il versamento della prossima tranche del mitico Recovery Fund.

Da ultimo, la LegaEuro è rimasta muta tutte le volte che Draghi ha aggredito pubblicamente “il senatore Salvini”, come lo chiama lui. Ad esempio, quando gli ha dato dell’assassino (“l’appello a non vaccinarsi è un appello a morire”), irridendone l’irrilevanza (“il chiarimento politico lo fanno le forze politiche … il governo va avanti”) ed ingiungendogli “maggiore disciplina”. Roba che qualsiasi ministro di qualsiasi governo della storia repubblicana si sarebbe dimesso sette volte … ma Giorgetti niente, zitto.

Ormai è evidente pure ai ciechi: di Lega non ce n’è una sola, ce ne sono due.

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Di più c’è da dire che non si tratta di uno scontro nuovo, bensì del manifestarsi di uno scontro che preesisteva. Il Giorgetti che oggi dichiara: “quando siamo entrati nel governo sapevamo di assumerci un peso, una responsabilità … magari c’è qualcuno che non è contento, ma fa parte delle regole del gioco” … è lo stesso che aveva descritto tale peso e responsabilità in un’intervista del febbraio 2020. Sulla migrazione “l’Europa comincia ad accettare l’idea che l’Italia non può essere lasciata da sola” e (addirittura) “Lamorgese può andare a trattare in Europa”. Sull’Euro, “noi non vogliamo uscire … io sono il responsabile degli esteri della Lega. E se dico che non usciamo, non usciamo. Punto”. Sull’Europa, “noi dobbiamo essere potabili quando arriverà il momento. Per questo voglio che l’Europa ci conosca per quello che siamo … un partito di governo da vent’anni”, appoggiandosi su Mario Draghi (“in giro per il mondo potrebbe parlare con qualsiasi interlocutore al suo stesso livello”). Quanto al consenso elettorale, lo dava per scontato: “ne abbiamo in abbondanza”.

Non aveva parlato di quota 100 e concessioni, ma era implicito che ciò che non piace all’Europa non piace neppure a lui: come la Lira e la lotta alla migrazione clandestina. Non aveva parlato di Covid, solo perché la pandemia non era ancora scoppiata. Se lo fosse stata, sicuramente egli avrebbe aggiunto che pure il lockdown (semplice o travestito in forma di Green Pass) è parte delle regole del gioco.

Questo agosto è tornato in argomento, facendo sapere che avere tanti voti senza il consenso della CDU tedesca sarebbe inutile. Come inutili sarebbero i tanti voti che potrebbe ricevere la Meloni. E che, una volta ottenutolo, si sarebbe risolto pure il problema dei migranti.

Di Lega non ce n’è una sola, ce ne sono due. E da molto tempo.

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Lo scontro potrebbe farsi molto rumoroso, dopo le prossime elezioni amministrative. Tema apparente del contendere sarà decidere chi le avrà non-vinte: il partito di governo di Giorgetti? o il partito di lotta e di governo di Salvini? Tema reale sarà decidere chi compilerà le liste elettorali: Giorgetti vuole la testa di sovranisti e sudisti perché, senza questi ultimi, Salvini diverrebbe un disarmato uomo immagine, licenziabile a piacere. Il golpe non si può fare in una notte però e il rischio è che Salvini resista fino all’elezione di un nuovo presidente della Repubblica che sciolga subito le Camere: in tal caso, le liste verrebbero compilate da Salvini. A meno che al Quirinale non ci vada lo stesso Draghi, il quale avrà offerto alla LegaEuro tutte le necessarie garanzie di voler portare la legislatura al termine naturale.

Salvini, la vittima preferita di entrambe Draghi e Giorgetti, sarebbe ben sciocco a cascarci. E potrebbe reagire facendo finta di sostenere il candidato Draghi come Renzi fece finta di sostenere il candidato Prodi: bruciandolo. In tal caso, Draghi non potrebbe far altro che dimettersi e il nuovo presidente della Repubblica indirebbe nuove elezioni.

Altrimenti, se fosse costretto ad agire d’anticipo, Salvini potrebbe passare per una restaurazione della normale catena di comando, per la quale è il partito a dare istruzioni ai propri ministri, non il contrario. Siccome la LegaEuro controlla sino a un terzo dei gruppi parlamentari, l’occasione dovrà essere scelta con cura: diremmo un voto sul ministro Lamorgese, meno probabilmente sul Nuovo Trattato Mes, o chissà … lasciando i tre ministri a far la fine di Angiolino. Già oggi, un autorevole dirigente della LegaSalvini scrive di “una rivolta di chi era al 4 per cento contro quello che è al 20 per cento” (sia pur per negarla) … laddove l’accento va posto sul termine rivolta: la rivolta della delegazione ministeriale contro il partito che la ha designata.

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I nuovi amici di Giorgetti lo colmano di promesse. Così Lilli Gruber: “la classe dirigente più qualificata della Lega ha tracciato la rotta in modo inequivocabile a favore di Green Pass, sostegno a Draghi, euro ed europeismo; ora dipende da Salvini scegliere”. Detto dalla grande sacerdotessa della fede in €uropa. €uropa che, rassicura Antonio Polito, con il Covid è cambiata. Mentre Venanzio Postiglione indica ai fedeli “una ripresa alle porte, un approdo europeo nello spirito e nei conti”.

A noi, che il Vitello d’Oro non adoriamo, resta la curiosità. Sarà curioso vedere la LegaEuro ribellarsi in nome del ministro Lamorgese, del federalismo europeo, del ritorno alla Legge Fornero, della direttiva Bolkestein. Più curioso quando la campagna vaccinale si sarà trasformata in un inseguimento a sempre nuove dosi e il Green Pass in una limitazione permanente dei diritti costituzionali. Tanto più curioso quando di Bruxelles non si parlerà più a proposito di una impossibile riforma del Patto di Stabilità, bensì degli effetti nefasti della sua politica ambientale sulle bollette delle famiglie. Ancor più curioso quando Bce avrà ridotto i propri acquisti di Btp ed il bluff di Draghi avrà cominciato a trasformarsi in un incubo montiano. Insomma, non è certo un caso che Draghi cerchi così disperatamente di piazzarsi al Quirinale: sa di star andando contro un iceberg … ma Giorgetti nessuno lo ha avvisato.

Al contrario, alla LegaSalvini basterebbe chiamarsi fuori ed attendere che passino i relitti dell’ultima possibile reincarnazione dell’€urismo in Italia. E sottolineiamo ultima.

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