La legge 7 aprile 2014, n. 56 ha cambiato la fisionomia politica e istituzionale dei nostri territori senza nemmeno che ce ne fossimo accorti. È ormai passato inosservato che da qualche anno i cittadini italiani non esercitano più il diritto di voto alle elezioni provinciali. Ebbene, le province esistono ancora.
Uno dei punti oscuri della riforma che ha svuotato i bilanci e le competenze degli enti intermedi tra regioni e comuni è sicuramente una scarsa lungimiranza: in poche parole ci si preparava in via del tutto definitiva alla loro abolizione attraverso il disegno di riforma costituzionale Renzi-Boschi. Da qui il pericolo. Come si possono rendere le province un ente temporaneo senza la sicurezza che una legge costituzionale passi, o meno, al vaglio di un referendum confermativo?
Questa situazione ha portato allo stallo legislativo. A causa della frenesia politica conseguente alla caduta del governo Renzi, ci siamo ritrovati momenti di transizione, in cui ci si preparava a votare presto, senza la preoccupazione di lasciare interi enti pubblici nel limbo. Successivamente nessuno schieramento politico ha pubblicamente manifestato, o praticamente inserito, nel proprio programma elettorale qualsivoglia destino delle attuali provincie depotenziate. Ed ora? Nessuna notizia neanche dai nuovi governanti e nessun segnale dalle opposizioni.
Quale umilissimo consigliere comunale civico, di un piccolissimo comune della provincia di Varese, mi viene recata una lettera in carta semplice con oggetto “Elezione del Presidente della Provincia e del consiglio provinciale”. La cosa mi stupisce poco, è nell’aria tra gli addetti ai lavori, eppure mi sembra quasi surreale. Decine di consiglieri comunali che nel silenzio dei cittadini, eleggono dei rappresentanti provinciali, vittime e complici di logiche politiche, senza il minimo rumore. Senza slogan, senza striscioni, senza manifesti o santini.
Ora da qui il dubbio: vogliamo andare più veloci, vogliamo che la politica racconti la fine della democrazia rappresentativa. Vogliamo decidere noi, attraverso il web, senza intermediari. E nonostante tutto, abbiamo un organo di amministratori locali che decidono il futuro delle strade provinciali, dell’edilizia scolastica delle scuole secondarie di secondo grado e della valorizzazione del nostro ambiente, senza che siano neanche eletti da tutti i cittadini mediante libere elezioni?
Tutto questo viene condito dal silenzio dei partiti. Sembra quasi che le elezioni provinciali siano a scatola chiusa. Impiego un’intera giornata per reperire, in via del tutto informale, le liste dei candidati, per scoprire che la maggior parte di essi sono amministratori locali, già estenuati da un sistema istituzionale poco meritocratico, e che, in maniera del tutto eroica, si spendono a titolo gratuito (la riforma Delrio ha abolito qualsiasi compenso per le ore spese all’amministrazione provinciale) per la propria appartenenza politica senza una prospettiva a lungo termine.
Riprendo dunque coscienza, scorgo le liste, e mi chiedo: “Come faranno a lavorare, in che modo imposteranno il loro mandato”? Già, perché dovranno fronteggiare dei problemi consistenti di inagibilità di alcune strutture scolastiche senza un vero supporto tecnico, e senza denari. Dovranno cercare di manutenere la pubblica viabilità provinciale chiudendo armonicamente il bilancio. Ore di lavoro ed energie non retribuite. E le partecipazioni nelle aziende? Come faranno a gestire gli adempimenti amministrativi senza risorse umane? Non solo il blocco delle assunzioni, ma anche un repentino svuotamento degli uffici attraverso avvisi pubblici di mobilità: sono fuggiti tutti.
E io come mi pongo? È chiaro che rappresento delle persone. Quando sono stato eletto consigliere comunale ho ricevuto un mandato. Più di un centinaio di persone valgono quanto il mio voto a questa lotteria di secondo livello. Quindi non posso astenermi. Eppure, gli interrogativi sono tanti e le soluzioni passano tutte da Roma.
Auspico che il governo prenda una decisione netta e seria sugli enti locali. Le soluzioni sono due e ambivalenti: si potrebbe considerare l’abolizione degli enti provinciali attraverso una legge costituzionale ad hoc, con conseguente smistamento delle competenze. Penso alle strade provinciali che sarebbe opportuno venissero trasformate in strade comunali. Stessa soluzione per l’edilizia scolastica che potrebbe divenire competenza regionale insieme alla valorizzazione ambientale. Tutto questo con nuove risorse economiche ai comuni e alle regioni per fronteggiare le nuove avversità. Oppure seconda opzione: la riabilitazione completa degli enti provinciali: nuovo personale, nuovi amministratori retribuiti e bilanci più prosperi.
Il mio pensiero converge chiaramente sulla seconda opzione. Da buon liberale, credo che meno Stato, meno spesa, rilanci l’efficienza. Preferisco meno edifici e meno uffici purché, quei pochi, siano messi nelle condizioni di lavorare bene attraverso maggior risorse, miglior formazione e incentivi sulla produttività. Ma bisogna intervenire, al più presto.