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Le tre illusioni e mezze verità che spiegano gli errori di calcolo del Cremlino in Ucraina

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 5 agosto 2020

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Ora che russi segnano il passo in Ucraina scavando trincee e disseminando il territorio conquistato di mine è possibile, con più calma, riflettere sui meccanismi mentali che, plausibilmente, hanno spinto Putin e la classe dirigente che lo circonda a lanciarsi in questa avventura bellica.

Se la “guerra lampo” immaginata al Cremlino non è riuscita, è lecito supporre che i vertici russi abbiano coltivato delle illusioni. Come è noto gli errori più dannosi per chi li concepisce sono quelli che contengono un fondo di verità.

La prima illusione coltivata da Mosca riguarda “l’espansione della Nato ad est”: è vero che dopo la Guerra Fredda, la Nato e l’Unione europea si sono estese fino ad inglobare la fascia esterna dell’ex impero sovietico e i Paesi baltici. Il punto però è che si parla – anche in Occidente – di “espansione” come se si fosse trattato delle occupazioni militari tedesche del 1940-41. In realtà, dopo 40 anni di dominazione russo-comunista i popoli dell’est hanno liberamente e fortemente voluto il loro ingresso nell’area economica e di difesa occidentale. Scelte che si sono rivelate felici: in questi anni i Paesi dell’Europa orientale hanno attraversato una fase di sviluppo che, in tono minore, ricorda la rinascita dell’Europa occidentale negli anni ’50.

Per fare un esempio concreto, l’Estonia oggi si sente “occupata dalla Nato”, o non è piuttosto lieta di non condividere la sorte della Bielorussia? In linea generale l’Europa dell’est non rimpiange affatto né il comunismo sovietico né il dominio russo: su questo dato “strutturale” – per ripetere un termine del linguaggio marxista – l’Occidente a guida americana ha vinto il dopo-Guerra Fredda tanto quanto si è impantanato nelle sabbie dell’Iraq e sugli altopiani afghani.

Al dominio russo-sovietico ungheresi, cechi, polacchi, tedeschi dell’est periodicamente si ribellarono; una volta che i carri armati russi hanno abbandonato le loro postazioni la vita civile dei Paesi dell’Est è rifiorita nella doppia cornice europea ed atlantica. Questa fioritura esercita una forza di attrazione sugli ucraini, della quale i russi non si capacitano.

Peraltro i flussi di uomini hanno rinsaldato i legami tra popoli europei: polacchi e rumeni si sono trasferiti a occidente in cerca di lavoro; gli ucraini, oltre ad emigrare dalle nostre parti, hanno riempito gli spazi lasciati vuoti in una Polonia che a sua volta è divenuta meta di immigrazione dall’ex Unione Sovietica.

Per recuperare la presa sull’Ucraina Mosca avrebbe potuto concepire una sorta di piano Marshall utilizzando una parte di quel flusso enorme di denaro che ogni giorno viene dai Paesi occidentali a cui fornisce energia, invece ha scelto di utilizzare ancora una volta il linguaggio della forza. Dopo un mese di guerra si può ragionevolmente constatare che questa dose di forza militare si è rivelata insufficiente: i patrioti ucraini (quelli che Putin e Dugin chiamano “nazisti” con un autentico abuso ideologico) hanno reagito abbastanza efficacemente. E tale reazione Mosca non aveva previsto. Perché?

Probabilmente perché la politici e militari russi hanno coltivato la seconda illusione, quella relativa al “colpo di Stato in Ucraina”. Anche in questo caso l’illusione si alimenta di una mezza verità: americani e anche tedeschi hanno fortemente sollecitato il cambio di regime del 2014. E tuttavia i russi non ammettono che se Euromaidan nel 2014 è riuscito è perché la maggioranza della popolazione, per le ragioni economiche dette prima (ma anche per il ricordo delle profonde ferite del Novecento sovietico), ormai guardava all’Occidente euro-americano.

Ma è sull’orientamento di fondo della società ucraina che forse Putin si è fatto le illusioni maggiori. Ha probabilmente pensato che gli sarebbe bastato dare una spallata militare al sistema politico del fragile vicino, e Zelensky sarebbe fuggito, il governo filo-occidentale sarebbe stato rovesciato e i russi sarebbero entrati a Kiev imponendo un governo tollerato, se non proprio amato dalla popolazione. Che ciò non si sia verificato è stato palese poche ore dopo l’inizio dell’invasione, quando l’appello di Putin a rovesciare Zelensky è caduto nel vuoto.

Particolarmente amaro risulta per Putin il confronto tra il comportamento dell’ultimo leader filo-russo dell’Ucraina Yanukovych e Zelensky. Mentre il burocrate post-sovietico scappò con rapidità di fronte alla rivolta, quello che viene sprezzantemente definito come “il comico” dopo quattro settimane di assedio da parte di uno degli eserciti più temibili del mondo è ancora al suo posto e resiste.

La cosa sorprendente è che Mosca non abbia avuto il polso della situazione a Kiev. Gli ucraini erano divisi in schieramenti incompatibili tra loro e bellicosi: l’immaturità politica si confondeva con una consolidata pratica di corruzione. E tuttavia nessun settore della società civile ucraina era disposto a tornare sotto protettorato russo… Putin è riuscito con la guerra del 2014 a ricompattare, contro di sé, i frammenti scomposti dell’Ucraina. Non era facile.

Ma intanto nell’est russofono dell’Ucraina? La propaganda russa insiste – e anche qui vi è un fondo di verità che non può essere negato – sugli atti di violenza, intimidazione, repressione culturale che il governo di Kiev ha inferto alle regioni orientali, più simili alla Russia. E tuttavia adesso per effetto della “operazione speciale” sono proprio le città abitate a maggioranza da russofoni quelle più martirizzate: Kharkiv, Mariupol, Dnipro.

Nei giorni scorsi Odessa si è fatta fortezza contro i russi: la stessa Odessa dove avvenne il massacro di 40 persone in un incendio divampato nella casa dei sindacati dopo gli scontri tra nazionalisti ucraini e filo-russi. Un evento luttuoso, tragico, ma dopo il quale sono trascorsi otto anni nei quali ad Odessa si è convissuto tranquillamente fino a quando Putin non ha iniziato ad invadere l’Ucraina.

Riguardo al Donbass, per equanimità, è giusto ricordare le angherie dei nazionalisti ucraini, ma anche il fatto che in seguito alla proclamazione delle due repubbliche appoggiate da Mosca vi è stato un esodo di circa 500.000 persone che sfuggivano alle milizie locali, ma anche ai mercenari che Mosca ha fatto affluire. I morti nel Donbass sono stati il frutto degli scontri tra milizie ucraine, anche famigerate, e forze militari russe non propriamente cavalleresche.

Dunque, mescolando propaganda e auto-illusione i russi non hanno capito che:

1) L’Europa dell’est ha scelto liberamente l’Occidente;

2) La società ucraina non era disponibile a far compagnia ai bielorussi nella area “post-sovietica” sotto protettorato di Mosca;

3) Molti russofoni (proprio in città simbolo come Odessa) preferirebbero vivere in una Ucraina, pur difettosa di democrazia, che tornare alla “Santa Madre Russia”.

E senza sforzarsi troppo di capire come è cambiato il mondo, Putin e i suoi sono tornati a mostrare il volto feroce di Budapest 1956, Berlino 1961, Praga 1968.