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Leadership occidentali alla prova della storia, non è più il tempo del piccolo cabotaggio

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Gli anni Venti si stanno rivelando portatori di fatti che hanno messo in crisi la tenuta delle democrazie liberali e dell’ordine internazionale. Prima la pandemia ha colpito l’Occidente portando alla luce contraddizioni e tendenze che sembravano ormai parte del passato. Poi, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin ha fatto precipitare l’Europa in una guerra che potrebbe avere esiti devastanti.

L’appuntamento con la storia dell’Occidente è solenne. In poco meno di una settimana dall’inizio del conflitto abbiamo assistito ad alcuni scossoni alle fondamenta del suo impianto che vale la pena esaminare con attenzione. Gli Stati Uniti hanno parlato, forse incautamente, di “rischio di terza guerra mondiale”, e alcuni stanno rivalutando l’operato di Donald Trump rispetto a quello di un Joe Biden percepito come troppo debole e arrendevole. Nel Regno Unito ha ripreso quota la figura di Boris Johnson, il leader europeo che ha parlato più chiaro di tutti fin da subito, portando con sé tutto l’Occidente sul bando della Russia al sistema SWIFT dei pagamenti internazionali. La Brexit sembra non avere avuto alcun effetto sul rango dello UK nel mondo. Londra agisce da vice-Usa nell’est europeo (Polonia e Baltico) e collabora strettamente con la Commissione europea sulle sanzioni, come hanno rimarcato lo stesso Johnson e la presidente Von Der Leyen. La Nato ha ripreso ad assumere un ruolo e un valore imprescindibile di fronte all’aggressività di Putin, e le parole di Macron all’Economist sulla sua “morte cerebrale” sembrano sempre più azzardate, così come i piani di leadership francese di una eventuale forza militare europea.

Il cambiamento più importante però è avvenuto a Berlino e, di rimando, a Bruxelles. Il cancelliere Scholz – scottato anch’egli come Macron dal fallimento della sua missione di pace a Mosca – ha appoggiato il bando della Russia dallo SWIFT proposto da Johnson, deciso investimenti nella difesa tedesca per oltre 100 miliardi di euro, bloccato le autorizzazioni per il Nord Stream 2 e deciso di armare la resistenza ucraina. L’Ue, a rimorchio, ha deciso di acquistare armi e cederle a un Paese terzo per la prima volta nella storia. La fine della Ostpolitik berlinese ha compattato l’Occidente anche se sul lungo periodo due scenari sono stati sottovalutati. Il riarmo tedesco non va nella direzione voluta da Washington di una Germania che non deve essere egemone sul continente. Per questo lo spazio aperto a est dal ripiego di Berlino è occupato da Londra, che ha raddoppiato il suo contingente militare all’interno della missione Nato in Estonia, venduto armi di difesa anti-aerea alla Polonia, e si è posta come leader in modo sempre più assertivo della Joint Expeditionary Force, che comprende i Paesi Bassi, i Paesi Baltici e quelli scandinavi.

E l’Italia? Solo due settimane fa lo story-telling dominante era quello di una Russia che si stava ritirando dopo la visita di Scholz a Putin. Subito, potendo cogliere l’opportunità di rimarcare una vittoria della diplomazia sulle armi, il ministro Di Maio ha incontrato il suo omologo russo Lavrov e si è organizzata una eventuale visita di Draghi da Putin. Tutto messo in stand-by ora che la realtà si è presentata diversa da come stava palesandosi all’apparenza. La Russia ha invaso, e sia Draghi che Di Maio sono stati costretti dagli altri leader europei a porsi come fermi sostenitori di sanzioni che possono anche andare a detrimento dell’economia italiana. Per l’Italia – così come per la Germania – il primo problema è l’approvvigionamento energetico, ma c’è la sensazione che da più parti manchi il senso della storia che, mai come in questo momento, sembra pesare come un macigno sulla politica e sulla nostra società.

Mentre si stanno ridisegnando i confini dell’Europa dell’est, si evocano terze guerre mondiali, e si mettono in allerta i sistemi di difesa nucleare, molti sembrano ancora vivere in un’epoca da “fine della storia” – mai previsione è più invecchiata male – quasi infastiditi dall’irrompere delle grandi questioni della politica mondiale nel giardino di casa. Misurare gli uomini politici dal loro atteggiamento in questa vicenda sarà fondamentale per ridare all’Occidente una leadership credibile e all’altezza della sua storia anche recente. Recuperare il potere di attrattività delle democrazie e dello stile di vita a esse associato sarà ancora più essenziale, considerando quanti in questi anni hanno prestato il fianco alla propaganda russa, alle menzogne del regime di Putin e al suo tentativo – bisogna ammettere molto ben architettato – di destabilizzare l’Occidente al suo interno.

Ora che l’appuntamento con la storia incombe solennemente non possiamo più permetterci il lusso delle discussioni di piccolo cabotaggio e delle liti da pollaio. La debolezza nei confronti di Putin è un errore imperdonabile, che potrebbe pesare anche sulle generazioni future.