Legge elettorale, i tedeschi prendano esempio dagli inglesi

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Chissà se ora, cornuti e mazziati, Cristiano-democratici e Socialdemocratici tedeschi penseranno che, forse, il proporzionale non è così meraviglioso come hanno sempre immaginato.

Già, perché tra le varie analisi che hanno destrutturato il voto in Baviera, nessuno si è lanciato oltre all’anatema contro l’ascesa della destra euroscettica, l’arretramento dei partiti di governo, e una nuova fase di rampantismo dei Verdi. Invece, la soluzione per contenere tutti questi fenomeni, definiti nella migliore delle ipotesi come despicable dall’establishment europeo, c’era, c’è, e funziona pure: una bella legge elettorale maggioritaria.

Ebbene sì, i tedeschi possono prendere a esempio gli inglesi (verrebbe da dire “ancora una volta”): con il maggioritario uninominale first-past-the-post l’AfD avrebbe fatto la fine dello UKIP di Nigel Farage, ormai ridotto ai minimi termini dopo il referendum polarizzante sulla Brexit, e riassorbito in gran parte nel contenitore del partito conservatore. Così come a sinistra, la sinistra di Die Linke e i Verdi avrebbero faticato non poco a ottenere seggi al Bundestag e allo stesso Parlamento bavarese.

Chi in Italia si batte da anni per una politica più chiara nelle scelte e nelle proposte conosce già il ritornello proporzional-inciucista dei fautori del caos e delle trattative a oltranza: nella traduzione dei voti in seggi il maggioritario non rispecchia l’espressione del voto popolare. Sbagliatissimo: la logica dell’uninominale si palesa ancora di più sul territorio rispetto al proporzionale, avendo come momento supremo dell’espressione popolare l’elezione di un rappresentante del collegio, e la sconfitta dell’avversario diretto di un altro partito. Un rapporto, quello tra constituents e constituencies, che viene quasi a coincidere, permettendo scelte che rispecchiano il volere delle maggioranze.

Ecco perché dare dell’antidemocratico all’electoral college, o rimarcare che, come in alcune elezioni della storia del Regno Unito, un partito che ha ottenuto più voti di un altro ha perso, non ha molto senso. (Andiamo volutamente oltre alla questione delle liste bloccate e delle candidature plurime).

Ma in Italia, nelle ultime elezioni dello scorso 4 marzo, i cornuti e mazziati dalle urne sono andati ben oltre, marcando un autogol degno di Communardo Niccolai.

Partorendo il Rosatellum Bis – con le sue schede-capolavori dell’arte concettuale, e, faute de mieux, i nomi da votare già pre-stampati dalle segreterie dei partiti – questi ingegneri delle leggi elettorali e della matematica si aspettavano un risultato elettorale grossomodo di pareggio, per dare vita a una bella Grosse-Koalition all’italiana. Peccato che non avessero fatto i conti con l’elettorato – problemino di poco conto per chi dal 2006 a oggi è stato nominato e non scelto dai cittadini – che tutto voleva tranne quello che rozzamente, ma efficacemente, è stato definito “inciucio”.

Così, una volta scappati i buoi dalla stalla, il proporzionalissimo Rosatellum Bis si è rivelato controproducente per gli ingegneri di cui sopra, che, ora, non hanno né i numeri in Parlamento, né la convenienza elettorale per proporre un sistema diverso, magari maggioritario, che finirebbe inevitabilmente per cancellarli da Montecitorio, a tutto vantaggio di una Lega straripante al nord, e di un M5S spadroneggiante al sud.

Non c’è cosa peggiore che una furbata che va a finire male. Magari si potrebbe pensare a leggi elettorali meno arzigogolate e più vicine ai concetti basi della rappresentanza e della governabilità. Può apparire strano, ma i vantaggi di una legge made-to-measure possono tramutarsi in svantaggi il giorno dopo. E perfino un comico una volta capì che “l’opposizione di oggi è il governo di domani”.

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