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Leggi e burocrazia che ostacolano le opere e “ingessano” la crescita del Paese

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La legislazione sulle opere pubbliche ha subito negli ultimi anni numerose e spesso contraddittorie modifiche. Nel 2006 fu approvato il Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e relativo regolamento attuativo e di esecuzione, il Dpr 207 del 2010; nel 2016, a distanza di circa 10 anni dal codice sopra richiamato, è stato approvato il Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 il cosiddetto “Codice dei contratti pubblici”. Nel 2019 infine, con il cosiddetto decreto “Sblocca Cantieri”, il legislatore è intervenuto nuovamente con modifiche ed integrazioni al cosiddetto Codice dei contratti. Tutti i testi di legge, sommariamente sopra elencati, invece di contribuire a rendere chiaro e “ottimizzante” il quadro normativo in materia, hanno nel tempo di fatto rallentato e “ingessato” la crescita del paese. La circostanza evidenziata pocanzi ha altresì di fatto generato un evidente “gap” infrastrutturale dell’Italia, in termini assoluti ed in termini relativi, nel confronto con gli altri stati d’Europa e del mondo.

È necessario quindi dare all’Italia un moderno, chiaro ed efficace insieme di norme che abbiano l’obiettivo di promuovere lo sviluppo infrastrutturale del Paese. La svolta in tal senso, naturalmente, non può che attestarsi su principi e valori che si richiamino alla cultura liberale.

Un principio cardine su cui basarsi, è quello secondo cui la pianificazione e la programmazione delle opere pubbliche spetta allo stato ed agli enti. Questo criterio si fonda sulla semplice considerazione che le istituzioni sono il luogo ove devono conservarsi ed essere salvaguardati gli interessi generali dei cittadini. In tal senso, figura centrale del processo di programmazione e pianificazione è il responsabile unico del procedimento, tra i suoi compiti fondamentali vi devono essere esclusivamente la programmazione, la pianificazione e il controllo dell’iter dei procedimenti amministrativi connessi alla realizzazione dell’opera pubblica.

Bisognerebbe quindi eliminare la possibilità di progettazioni interne attraverso personale della pubblica amministrazione. Principio altresì fondamentale è sancire in maniera chiara la centralità del progetto e della progettazione. Il progetto di qualità rappresenta l’aspetto centrale e fondamentale di un opera pubblica. Pertanto è giusto prevedere tre livelli di progettazione: progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo. Aspetti fondamentali connessi alla progettazione sono la conferenza dei servizi e la verifica e validazione del progetto.

La conferenza dei servizi rappresenta giustamente un momento importante perché il progetto è sottoposto a pareri di competenza da parte degli enti preposti ed interessati dall’opera oggetto di istruttoria; altresì di fondamentale importanza è la fase di verifica e validazione del progetto, che di fatto garantisce, se eseguita oculatamente, la completezza e la qualità della progettazione e soprattutto la cantierabilità dell’opera. Andrebbe introdotto nuovamente il principio secondo cui “un progetto verificato e validato non può essere oggetto di riserva da parte della impresa appaltatrice”.

A valle di questi processi inerenti le fasi della progettazione si dovrebbe necessariamente pervenire alla conclusione che l’appalto dei lavori può avvenire solo ed esclusivamente sulla base del progetto esecutivo. Considerato tale principio, andrebbe eliminato completamente l’appalto integrato, quest’ultimo infatti non contribuisce alla buona progettazione ed alla buona realizzazione delle opere, essendo tale procedura di conforto solo alla imprese appaltatrici.

In Italia, tenendo conto di quanto fin qui messo in evidenza, andrebbe strutturato un fondo di rotazione per la progettazione. Ogni anno lo stato centrale di concerto con le regioni dovrebbe individuare gli ambiti prioritari di intervento e allocare risorse da destinare alle progettazioni.

La realizzazione delle opere può avvenire se vi sono controlli tecnici ed amministrativi competenti e puntuali. Centrale pertanto deve essere la figura del direttore dei lavori, al quale vanno dati maggiori poteri per effettuale la verifica ed il controllo tecnico amministrativo delle opere. Certamente potrebbe essere utile ripristinare la figura dell’ingegnere capo, al quale andrebbe affidata la vigilanza e l’alta sorveglianza delle opere e della realizzazione. È indispensabile una accurata fase di collaudo, che a differenza di quanto è previsto ed avviene oggi, dovrebbe essere molto più incisiva sulla verifica tecnica e sulla funzionalità delle opere realizzate.

Le figure professionali fin qui richiamate andrebbero individuate non sulla base di una gara, come avviene oggi, che ha insiti criteri di scelta anche quantitativi ma esclusivamente sulla base della qualità e della professionalità; elemento centrale allora per la scelta di un professionista non può che essere il proprio curriculum professionale. In conclusione, non c’è bisogno di scomodare illustri economisti per rendere palese che uno sviluppo infrastrutturale efficace ed efficiente consente una rapida crescita economica complessiva, rende buoni servizi ai cittadini e trasformerebbe l’Italia in una meravigliosa piattaforma strategica sul Mediterraneo.

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