L’ennesima task force di Conte: un mostro tecno-burocratico di dubbia legittimità, perfetto per lo scaricabarile

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La complessità della struttura concepita per il Recovery Plan garantisce un’evidente diluizione delle responsabilità, l’ideale per proteggere politicamente il presidente del Consiglio. Chi sarà il responsabile, il decisore finale? I sei super manager con poteri eccezionali? Il triumvirato composto da Conte, Gualtieri e Patuanelli? Se le cose dovessero funzionare, il premier se ne prenderebbe i meriti; altrimenti, potrà sempre scaricare la responsabilità sui tecnici e i super manager. Si prepara un perfetto scaricabarile in pieno stile contiano

Un sistema elefantiaco composto da due task force, una cabina di regia, un comitato interministeriale e sei super manager. È questa la soluzione che il governo sembra aver individuato per realizzare il Recovery Plan. Malgrado i fallimenti della scorsa primavera (chi si ricorda del piano Colao?) e gli scarsi risultati conseguiti dal sistema delle 15 task force, il premier Giuseppe Conte pare essersi deciso a costruire un mostro tecno-burocratico per vincere quella che ha definito la sfida della vita.

La complessità della struttura, senza considerare i rapporti che si dovranno instaurare tra le sue componenti, è impressionante. Al vertice dovrebbe esserci una cabina di regia costituita dal premier, dal ministro dell’economia Gualtieri e dal ministro dello sviluppo economico Patuanelli, a cui dovrebbe affiancarsi il Comitato interministeriale per gli affari europei guidato dal ministro Amendola. A questi due organi di natura politica dovrebbe aggiungersi un comitato esecutivo, composto da sei manager con poteri eccezionali che si dovranno occupare della realizzazione degli obiettivi del Recovery Plan. A disposizione di ciascuno vi saranno cinquanta tecnici, che formeranno una speciale task force da trecento membri. Ed infine, per controllare che il sistema funzioni, ci sarà un comitato di garanzia formato da dieci membri che dovrebbe sovraintendere all’attuazione dei progetti.

Come si può facilmente intuire, il sistema è talmente intricato che risulta impossibile individuare la catena delle responsabilità e il decisore finale. Saranno i sei super manager con poteri eccezionali? Sarà il triumvirato composto da Conte, Gualtieri e Patuanelli?

Resta poi da capire come una struttura così mastodontica possa partorire decisioni rapide, efficaci e facilmente ridiscutibili. È difficile pensare che un marchingegno di tali dimensioni possa verificare senza lungaggini l’efficacia delle proprie scelte ed eventualmente correggerle.

L’impressione è che Conte abbia dato consapevolmente vita a un organismo ambiguo ed elefantiaco per evitare di assumersi delle responsabilità che potrebbero essere politicamente devastanti, anche alla luce dei proclami sui fondi europei. Se le cose dovessero funzionare il premier potrebbe prendersi i meriti perché è pur sempre al vertice della cabina di regia; se non dovessero andare come sperato, potrebbe invece scaricare la responsabilità sui tecnici e i super manager. Un perfetto scaricabarile in pieno stile contiano. La complessità della struttura, in ultima analisi, garantisce un’evidente diluizione delle responsabilità, l’ideale per proteggere politicamente il presidente del Consiglio.

Inoltre, tenendo a mente le acute riflessioni di Lorenzo Castellani sulla tecno-democrazia, risulta interessante interrogarsi sulla legittimità delle task force e dei manager: saranno nominati dal governo o verranno votati dal Parlamento? Il sistema costruito da Conte, in questa prospettiva, è anche poco trasparente e se non dovessero esserci dei cambiamenti rappresenterebbe una scorciatoia per scavalcare il Parlamento. Infine, stando alle parole dello stesso premier, è molto probabile che vengano strutturati dei momenti di confronto con le parti sociali. Non è quindi da escludere che possano essere organizzati degli eventi simili agli Stati generali, ma dedicati al Recovery Plan. Un ulteriore segnale della fumosità del marchingegno architettato e dei meccanismi ideati per proteggere, e anche rafforzare, l’immagine dell’avvocato del popolo.

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