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L’epoca del “pandemicamente corretto” e la pericolosa assuefazione alla perdita delle libertà

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Non stiamo soltanto vivendo l’epoca della “Likecrazia” (cit. Daniele Capezzone) ma stiamo ormai avventurandoci pericolosamente nel campo del “pandemicamente corretto”, con effetti ancora tutti da sperimentare sulla nostra pelle. Se in principio era l’uomo dotato di ragione, sentimento e raziocinio ad essere al centro della civiltà, come efficacemente rappresentato dall’Uomo Vitruviano di Leonardo, questa schifezza di virus Sars-Cov2 sta consolidando il suo trono ed il suo imperio e siamo proprio noi ad esserne più o meno inconsapevoli sudditi. Passano i mesi dalla fatidica e nefasta scoperta dell’epidemia e sempre più ogni nostra azione privata e pubblica sembrerebbe dover chiedere il permesso al virus per essere esplicitata. Sempre più i nostri giorni sembrano trascorrere all’interno del recinto del poco che ci è concesso. Fino ad un annetto fa, sapevamo tutti di poter fare una gran maggioranza di cose non pericolose e non vietate, e soltanto le poche rimanenti erano pericolose, sconsigliate o persino vietate. Oggi si è ribaltato tutto e sono pochissime davvero le cose lecite a causa della pandemia, o meglio, delle norme anti-Covid.

Sembra incredibile che le più elementari libertà possano esserci fortemente limitate con tanta leggerezza, col discorsino “Vi chiediamo un altro sacrificio…” come si chiedesse di bere responsabilmente o di non guidare quando si abbia bevuto troppo. Se qualcuno, più o meno timidamente (per non dire più o meno incazzato) chiede ragione di tanti divieti ai nostri decisori, essi risponderanno “è colpa del Covid, portate pazienza e restate uniti”. Più che subire passivamente il diktat del virus, dovremmo essere noi, in quanto in gran parte artefici del nostro destino, ad imporre qualche minima rinunzia al progetto egemonico dell’epidemia, incanalandola nei nostri secolari schemi di civiltà e libertà. Non è cosa di poco conto, dopotutto si tratta di non chinare la testa oltre il limite della cintura. Accade invece esattamente il contrario; se il virus, questa merdaccia che dovremmo scrivere sempre in minuscolo, avesse un cervello, gongolerebbe a vederci sottomessi come pecore impaurite ed ondivaghe, sospinte in una corsa scomposta da botoli latranti che a volte nemmeno sappiamo se sono più amici del pastore o del lupo. Ma perdiana, un po’ di dignità! Come possiamo abdicare ad un virusello dalla forma ridicola, e che persino ama viaggiare negli sputi, dimenticando che, almeno in casa nostra, ancora comandiamo noi? Beninteso, sono sacrosante le misure di protezione per noi e per il nostro prossimo, ci mancherebbe, e non basta di certo disprezzare l’avversario, per quanto possa essere vigliacco e subdolo, per batterlo. Ma buttare alle ortiche, anzi nel cesso,  millenni di civiltà, di libero pensiero, di tutela delle nostre attività e della nostra scelta di vivere dove vogliamo e facendo ciò che preferiamo, con il solo limite delle leggi che noi ci siamo dati, è davvero troppo. E non si tiri in ballo la fesseria della “guerra” che staremmo combattendo contro l’infimo microrganismo, perché anche la peggiore e più tribale delle guerre ha le sue regole ed i suoi eserciti, o perlomeno le sue fazioni che si contrappongono. Non stiamo combattendo nessuna guerra ed il nemico rischiamo di diventarlo noi stessi, se continuiamo con questo atteggiamento generale di supina sottomissione, sempre pronti a rinunciare ad ogni nostra cosa e persino persona più cara perché “ce lo chiede il Covid”.

Guarda caso, in questo derelitto Paese, c’è sempre qualcuno che ci chiede qualcosa. Che sia l’Europa, che sia il clima, che sia quello che diavolo volete, c’è sempre qualcuno che ci chiede di fare questo o quello. In attesa che la scienza dimostri se i virus abbiano o meno un cervello ed un discernimento, non sarebbe meglio, scherzi a parte, dimostrare perlomeno a noi stessi un po’ più di fermezza e determinazione? Ci stiamo accontentando di robette, misurette col timer di nessuna importanza, che sarebbero giustificate da numeri assolutamente incerti ed imprecisi che ci vengono sciorinati con la sicumera del (pre)potente che parla agli ignavi.   Che ci venga ri-concesso un sobrio caffè al bar ci pare già una vittoria eclatante, ma intanto rischiamo di perdere ben altro che il caffè o la pizza della domenica sera. Questo assai telegenico Governo, mai stanco di mostrarsi in televisione, ormai settimanalmente c’illustra nuove tattiche di combattimento, ma tutte a breve data di scadenza e tutte di corta visione dell’immenso campo di battaglia (se proprio deve prevalere l’idea della guerra). Nella sfibrante attesa dell’immancabile Dpcm si consuma il dramma della totale incertezza del diritto, una letale randellata al senso dello Stato che gli italiani stanno perdendo del tutto, per la totale impossibilità di tutti noi di mantenersi in regola con la legge. Nel rincorrersi dei decretini (quelli che verranno rimpiazzati dai decretoni pochi giorni dopo) ormai si annunziano divieti ad horas con la disinvoltura di chi crede, in cuor suo, di avere a che fare con una massa di deficienti ai quali si possano cambiare le regole del gioco ogni pochi giorni e senza troppe spiegazioni.

Passiamo, infine, al capitoletto degli insegnamenti morali, delle prediche sul Natale in perfetto stile prevosto di campagna: tutti a rigorosa distanza ma restiamo uniti coi cuori. Bene, bravo, bis… diceva il famoso comico d’altri tempi. Non avremo una lira per comprare un panettone ed un giocattolo ai bambini perché non possiamo lavorare? Pazienza, ce lo avevano già preannunziato i sapientoni: sarà un Natale colmo di interiorità e di senso della famiglia (ristretta al primo grado di parentela sennò ci fanno la multa) e magari, all’albero di Natale fasullo ci appenderemo bollette dell’Enel, del gas e le cartelle esattoriali. Quelle non saranno fasulle. Purtroppo.