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L’esito di Brexit passa anche dal porto di Rotterdam

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Ha ricordato il legame personale con quella terra, dove ha anche studiato da adolescente, in Galles; ha reso tributo alla cultura, alla tradizione politica liberale e al sense of humor che lo allieta in ogni occasione, ma pure espresso preoccupazione per gli effetti che Brexit potrebbe avere sui rapporti commerciali e ha dichiarato di sostenere l’operato di Michel Barnier, il negoziatore incaricato dall’Unione europea di gestire le trattative per il divorzio con il Regno Unito.

Il protocollo non concede che le affermazioni rilasciate dal sovrano olandese in conferenza stampa siano riportate tra virgolette, ma l’elaborazione del pensiero formulato lo scorso lunedì da re Guglielmo Alessandro ha dato inevitabilmente un tono anche politico alla visita di stato che lo porterà il 23 e il 24 ottobre ad essere ospite, assieme alla regina consorte Máxima Zorreguieta, di Elisabetta II a Buckingham Palace. L’evento ufficiale era stato annunciato la scorsa estate durante un incontro all’Aia tra Theresa May e il primo ministro dei Paesi Bassi Mark Rutte, nel quale si era parlato della relazione futura tra le due nazioni. Una relazione saldata da vicende storiche e, ovviamente, di corte.

Quando nel 1568 le Sette province unite olandesi si ribellarono al controllo spagnolo, dando inizio a quella che si sarebbe poi trasformata nella Guerra degli ottant’anni, fu Elisabetta I a fornire loro sostegno: un fronte protestante contro il potere reale cattolico di Madrid. Nel 1688 invece furono i protestanti britannici ad affidare il trono all’olandese Guglielmo III a conclusione della Gloriosa rivoluzione con la quale fu spodestato l’ultimo re cattolico dell’isola, Giacomo II: Gugliemo non conosceva una parola d’inglese e ciò avrebbe favorito il Parlamento londinese nell’operare senza intromissioni reali, dando così origine a quel sistema di monarchia costituzionale che caratterizza il regno.

All’inizio era stato il commercio della lana ad avvicinare Regno Unito e Paesi Bassi; poi le vie del mare li hanno portati ad allargare i propri confini oltre il continente; le beghe di famiglia tra parenti coronati e le ambizioni imperiali hanno a volte semplicemente raffreddato gli umori, a volte condotto a veri e propri scontri militari, ma il legame non si è mai definitivamente spezzato e, dal punto di vista economico, si stima che oggi raggiunga il valore di 60 miliardi di euro. Ai quali vanno aggiunti i 454 miliardi che le aziende olandesi hanno investito direttamente a Londra. Shell, Unilever e ING sono solo alcune delle società che operano con una partenrship anglo-olandese e tra esse rientra anche l’ex gruppo nel settore dell’acciaieria Corus, poi acquisito dall’indiana Tata Steel.

Il traffico di beni che quotidianamente salpano dal porto di Rotterdam per raggiungere quelli britannici è enorme e poi ci sono le merci che volano attraversano la compagnia di bandiera KLM: fino a poco tempo fa, almeno un paio di volte al mese a pilotare uno dei vettori era proprio re Guglielmo, che ha indicato Belfast e Inverness come i suoi aeroporti preferiti.

Tra meno di una settimana andrà in scena il vertice europeo proprio su Brexit, dopo la bocciatura del piano Chequers elaborato dalla May che apparentemente ha aperto la strada ad un no deal. Le trattative fervono e come ha raccontato Gabriele Carrer sul numero primaverile di Atlantico, “L’Aia sta cercando di tenere Londra il più vicino possibile al contiente”, anche perché numeri alla mano è il secondo partner commerciale per i Paesi Bassi dopo la Germania. Un’analisi ufficiale del governo di Rutte ipotizza che la rottura dei rapporti avrebbe un impatto negativo dell’1,2 per cento sul prodotto interno lordo olandese, senza contare i posti di lavori a rischio. Facile percepire, alla luce dei dati presi in considerazione, i brividi freddi anche a Londra.

“Resto fiducioso che si possa raggiungere un accordo entro l’anno e che il piano Chequers sia utile, ma che non sia l’esito definitivo”, aveva dichiarato Rutte durante l’incontro di settembre a Salisburgo tra i leader europei. Fiducioso, ma anche pragmatico: nel budget studiato dal suo esecutivo è previsto lo stanziamento da 100 milioni di euro da cui attingere per aumentare il personale doganale di 900 unità in caso di fallimento delle contrattazioni tra le parti in causa. La speranza del premier olandese è di raggiungere l’accordo che “possa essere un risultato positivo sia per il Regno Unito che per l’Unione europea”.

Gli incroci tra un lato e l’altro della Manica d’altronde riguardano lo stesso Rutte, che quando fu ospite di David Cameron nella residenza di campagna del primo ministro inglese, ovvero Chequers, raccolse la confidenza dell’allora leader conservatore che sperava in una riforma del sistema europeo, che rendesse l’Unione più vicina alle richieste e alle sensibilità espresse dai suoi abitanti. Una buona intenzione svanita nel nulla, ma di cui Rutte può tentare di farsi portavoce.