Capisco che si tratta di un argomento oggi molto impopolare, ma penso sia giusto menzionare un tema come quello della guerra, che purtroppo sta di nuovo assumendo un’importanza fondamentale anche nel (relativamente) pacifico contesto europeo.
Il fatto – a mio avviso evidente – è che non basta detestare la guerra per evitare possibili coinvolgimenti italiani. Altrimenti detto, e per essere ancora più precisi, il pacifismo integrale non scoraggia affatto eventuali aggressori.
Se così fosse la storia umana sarebbe priva di conflitti, e vivremmo in uno dei tanti Eden vagheggiati da vari tipi di pensiero utopico. Per somma sventura è vero il contrario. L’aggressività fa parte della natura umana. La pace perpetua si può sognare ed è pure bello immaginarla ma, nel frattempo, sarebbe meglio attrezzarsi per fronteggiare chi a essa non crede.
Discorsi astratti? Non proprio, se appena si volge attorno lo sguardo. Già i conflitti sanguinosi, ma limitati, che hanno colpito l’Europa a cavallo tra il secolo scorso e l’attuale sono lì a rammentarci che gli eventi bellici ricorrono più spesso di quanto si creda.
Ora la situazione è diventata davvero critica poiché la guerra è ormai uno stato permanente in aree vicinissime ai confini italiani e a quelli europei in genere. Si può certamente chiudere gli occhi e continuare a sventolare le bandiere arcobaleno sperando che, nel frattempo, qualcuno non le riempia di buchi con una sventagliata di kalashnikov.
Tuttavia le suddette bandiere appaiono anacronistiche se si esamina con un minimo di oggettività quanto accade intorno a noi e, spesso, pure all’interno dei confini dell’Unione europea. Ovunque stanno prevalendo gruppi che trasformano in furore bellico il fanatismo religioso, il quale ha in tempi rapidi rimpiazzato quello ideologico.
Naturale che Papa Francesco continui a invocare la pace: fa parte dei suoi compiti e, soprattutto, della sua formazione culturale. Ed è pure comprensibile che quasi tutti i governanti europei auspichino la stessa cosa, riscuotendo ovviamente il plauso dell’opinione pubblica.
Meno ovvio è il fatto che non si dia il dovuto rilievo ai gravi pericoli che ci minacciano, e che potrebbero ben presto risvegliarci dal torpore in cui siamo colpevolmente avvolti.
È un torpore che data almeno dalla fine del secondo conflitto mondiale, quando gli stremati europei si affidarono in toto agli Stati Uniti per tutto quanto concerne i temi della difesa e della sicurezza. Salvo criticarli, gli Usa, quando ricorrevano alla loro potenza militare per intervenire in varie parti del globo.
Adesso li si attacca per motivi opposti, e cioè per il rifiuto di impiegare truppe sul terreno al fine di risolvere – o almeno tentare di farlo – conflitti sanguinosi che, spesso, riguardano più noi che loro. Trovo tale atteggiamento assai contraddittorio.
Ogni volta che in Europa (e particolarmente in Italia) si parla di aumentare il budget militare per rendere più operative ed efficienti le forze armate, si levano subito grida di dolore. I soldi – questo è il refrain usuale – vanno spesi per ospedali, assistenza, istruzione etc. Affermazione nobile che, però, trascura una questione di fondamentale importanza.
Il nostro livello di vita è stato garantito negli ultimi decenni dall’assenza di minacce dirette alla sicurezza nazionale. Se il quadro cambia, come sta in effetti avvenendo, occorre mutare anche la forma mentis facendo notare che la possibilità di un’aggressione è ormai uscita dalla sfera della pura fantasia. Non mi pare che tale consapevolezza ci sia e, se esiste, non è di certo maggioritaria. Continuiamo a cullarci nel sogno pacifista mentre altri manifestano propositi di tutt’altro segno (basti rammentare la politica di Erdogan). È senza dubbio un fatto preoccupante, e speriamo che il risveglio non sia troppo violento.