L’Europeo della “calciopolitica”: sintomo della crisi di consenso delle democrazie

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Il numero della scorsa settimana del magazine britannico The Economist conteneva un richiamo in prima pagina sul campionato europeo di calcio in corso e definiva il calcio come “la politica con altri mezzi”. Già. Perché mai come questa volta la rassegna continentale ha preso una politicizzazione così smaccata: dalle divise della nazionale Ucraina raffiguranti la Crimea, alla stucchevole diatriba sui calciatori in ginocchio per sostenere il Black Lives Matter, passando per impossibili richiami di socio-calcistica sulla Brexit, le nazionali multietniche contro quelle monoetniche e così via. Non si è ancora capito se è il calcio a essersi politicizzato o la politica a essersi calcistizzata (basta vedere le immagini dei leader politici che sfruttano i successi delle rispettive nazionali sui social).

Certo, il football è vittima del suo successo planetario e proprio per questo è considerato un veicolo di propaganda fondamentale per la politica, specialmente in un’era in cui di politique-politicienne non ne vuol sentire parlare nessuno. L’editoriale dell’Economist sottolineava la squalifica del calciatore austriaco di origini serbe Marko Arnautovic, reo di avere insultato un collega della Macedonia del Nord, e si focalizzava sugli scontri calcistici nei Balcani. Rimase celebre il famoso calcio di Zvonimir Boban a un poliziotto serbo sferrato durante una partita negli anni in cui la ex Jugoslavia stava sbriciolandosi.

Tuttavia, guardando alla storia delle manifestazioni delle nazionali di calcio, non si può non notare che una volta a dare un aspetto marcatamente politico a esse erano i regimi militari o antidemocratici. Il Mondiale Argentina ’78 fu l’apogeo di questo modo di intendere lo sport. Mentre alla Escuela de Mecanica venivano torturati gli oppositori della junta Videla, a poco meno di un chilometro, l’Argentina guidata dal videliano Daniel Passerella alzava la coppa del mondo proprio di fronte allo stesso dittatore allo stadio Monumental. Per farlo ebbe bisogno di un clamoroso 6-0 nella partita contro il Perù, che le permise di sopravanzare per differenza reti.

Non che politica e sport siano rimasti due mondi separati anche in Occidente, ma mai come a Euro2020 la portata della politicizzazione è stata così evidente. Talmente evidente da mettere in secondo piano persino i risultati sportivi. Prima di Italia-Belgio nessuno ha messo in primo piano le scelte di Mancini nella formazione iniziale ma è stato tutto un vuoto cicaleccio social-mediatico sul sostegno o meno a Black Lives Matter con accuse di razzismo e anti-razzismo sui due fronti. Poi sono arrivate le analisi dei giornali engagé su Italia-Spagna con tanto di racconti sulla guerra civile spagnola e il ruolo di fascisti e comunisti nei combattimenti. Del duello a centrocampo tra Barella e Pedri nessuno si è occupato. E in questi giorni chissà cosa sentiremo prima della finale tra l’Inghilterra e l’Italia di domenica. Lo stesso Boris Johnson ha dimostrato di sapere cavalcare l’onda della calciopolitica opponendosi al progetto di Super Lega in aprile dopo avere constatato l’opposizione della stragrande maggioranza dei tifosi inglesi.

Forse, quest’invasione della politica nel calcio anche nelle democrazie occidentali è inevitabile visti i tempi che corrono. I partiti e i loro leader fanno sempre più fatica a comunicare un messaggio prettamente politico e strutturato alle masse e colgono ogni occasione per riannodare i fili di un consenso sempre più sfilacciato, cangiante e legato all’emotività. Quello che è certo è che la calciopolitica è destinata a durare. Più dura la crisi di consenso delle democrazie, più si troveranno altri espedienti per compattare il popolo attraverso altre forme di coinvolgimento nella società: e allora influencer, calciatori e personaggi della tv diventano lo strumento privilegiato per ingaggiare chi, altrimenti, non avrebbe nessun riferimento politico. Ha ragione l’Economist: il calcio è la politica con altri mezzi ormai. Per le ricadute di questa nuova fase sulla società, sulla politica e sullo sport appuntamento tra 20 anni.

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