Mentre assistevo alla frattura del regime di Maduro ieri notte mi è capitato fra le mani dal mio archivio questo speech che dipana molte delle mie opinioni su un discreto numero di questioni morali, ma soprattutto fornisce una lettura chiara e puntuale di ciò che rende l’Occidente il migliore dei mondi possibili. Confesso di non aver potuto fare a meno di leggerlo per l’ennesima volta.
Correva l’anno del Signore 1983 e il mondo usciva zoppo dai disordini degli anni Settanta, mentre le conseguenze di ciò che avevano partorito i Sessanta avevano ormai cominciato a radicarsi nelle istituzioni. Sul proscenio della storia si affacciavano tre personaggi molto differenti, accomunati da umili origini ed una medesima prospettiva morale: Karol Wojtyla, Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Avrebbero combattuto e sconfitto il comunismo sovietico, quella gabbia che soffocava metà continente europeo affacciandosi fino al Pacifico seminando morte e miseria.
Lasciatemi sottolineare qualche passaggio saliente di questo discorso che l’ultimo dei tre, un attore dell’Illinois, divenuto il 40esimo presidente degli Stati Uniti d’America pronunciò nel 1983 alla Convention della NAE (National Association of Evangelicals). Il discorso si apre con una significativa citazione di Abraham Lincoln in cui il presidente Reagan riconosce di fronte ai fedeli di “essere finito in ginocchio (di fronte a Dio) nella schiacciante convinzione di non avere alcun altro posto dove andare”. Gli uomini devoti per quanto nascosti esistevano ed esistono tutt’oggi nella dimensione pubblica, e “l’esperimento democratico compiuto dagli Usa riposa su questa intuizione”, che è quella dei Padri fondatori di cui emergono alcune parole:
“Se non saremo governati da Dio saremo governati da tiranni” – William Penn
“Il Dio che ci ha dato la vita ci ha dato al contempo la libertà” – Thomas Jefferson
“Di tutte le disposizioni e di tutti i costumi che portano alla prosperità politica, la religione e la moralità sono i sostegni indispensabili” – George Washington
“Solo quando sono entrato nelle chiese americane e ho sentito quei pulpiti animarsi di zelo ho compreso la grandezza e il genio degli Stati Uniti”. […] Gli Stati Uniti sono buoni. E se mai gli Stati Uniti cessassero di essere buoni, cesseranno anche di essere grandi” – Alexis de Tocqueville
Prima di un passaggio sulla rule of law viene posta dal presidente Reagan attenzione al ruolo della morale nel campo della bioetica:
“Quelle molte persone che si sono convertite al laicismo moderno ricusando i valori sperimentati e verificati da tempo su cui è basata la nostra stessa civiltà […] dicendo di liberarci dalle superstizioni del passato si sono assunti l’incarico di controllarci attraverso norme e regolamenti statali. […] Quanto in là vogliono spingersi nel concedere allo Stato le proprie prerogative di genitori?”
Oggi l’aborto a richiesta si prende le vite di un milione e mezzo di bambini non nati ogni anno. A meno che e fintantoché non verrà provato che il bambino non nato non è un essere vivente, allora il suo diritto alla vita, alla libertà e al conseguimento della felicità deve essere protetto. […] Molti di voi hanno lanciato l’allarme affermando che tale pratica avrebbe portato a una diminuzione del rispetto per la vita umana, vale a dire che le premesse filosofiche adoperate per giustificare l’aborto a richiesta avrebbero poi potuto essere usate per giustificare altri attacchi alla sacralità della vita umana, quali l’infanticidio o l’uccisione per pietà. Tragicamente, quei moniti si sono tutti rivelati sin troppo esatti. Giusto l’anno scorso un tribunale ha permesso la morte per fame di un bambino handicappato”.
La conclusione dello speech è un breve capolavoro di manicheismo, consapevolezza della situazione geopolitica contingente e fermezza nell’affermare i valori che hanno reso grande l’Occidente.
Passa attraverso le parole di C. S. Lewis che ne “Le lettere di Berlicche” scrive:
“Oggi il male maggiore non viene compiuto in quei sordidi covi del crimine che Dickens amava descrivere. Non viene compiuto nemmeno nei campi di concentramento e nei campi di lavoro. In questo noi vediamo infatti l’esito finale del male. Il male viene invece concepito e perpetrato in uffici lindi, arredati con bei tappeti, ben riscaldati e pure ben illuminati da parte di pacifici uomini con la camicia bianca, le unghie curate e le guance ben rasate che non hanno mai bisogno di alzare la voce”.
“La crisi del mondo occidentale, scrive W. Chambers, esiste nella misura in cui l’Occidente è indifferente a Dio, nella misura in cui esso collabora al tentativo comunista d’isolare l’uomo privandolo di Dio. […] Credo che dovremmo accettare questa sfida. Credo che il comunismo sia un altro triste, stravagante capitolo della storia umana le cui ultime pagine si stanno scrivendo ora. Lo credo poiché l’origine della nostra forza nella ricerca della libertà umana non è materiale ma spirituale. E poiché essa non ha limiti, deve terrorizzare e infine trionfare su chi vorrebbe ridurre i propri simili in schiavitù.”
Un discorso che descrive attraverso un coraggio mai avuto prima da alcun leader occidentale la realtà teorizzata da Marx e materializzata da Lenin: quell’Impero del Male che ha fatto morire di fame, assassinato e brutalizzato il suo stesso popolo. Un sistema che oggi in declinazioni diverse, da quella venezuelana, nordcoreana, cubana, vietnamita, a quella cinese, rifacendosi il maquillage non ha perso le proprie caratteristiche di erogatore perpetuo di schiavitù, bassezza e miseria.
Buona visione.