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Lezioni dall’Estonia thatcheriana: da ex Repubblica sovietica a modello di libertà e crescita

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Le repubbliche baltiche, che appartenevano all’ex Unione Sovietica, hanno gradualmente maturato un attaccamento alla libertà inusuale per la loro storia nazionale. L’Estonia, indipendente dal 1991, è forse l’esempio più adeguato a dimostrare empiricamente come gli insegnamenti del liberalismo abbiano fatto breccia in un mondo che per troppo tempo ha dovuto fare i conti con l’oppressione. È stata infatti definita“one of the brightest stars in the post-Soviet firmament”. 

Lanciando uno sguardo all’attualità, e all’illegittimità con cui Putin sta violando la sovranità del territorio ucraino, l’idea, purtroppo non più così remota, di una minaccia all’integrità delle repubbliche baltiche da parte della Russia ci sembra altrettanto impensabile, a fronte di una stagione di libertà di cui l’Estonia e i suoi vicini stanno da tempo vedendo i frutti.   

In Estonia, il processo di liberalizzazione economica cominciò sin dagli anni Novanta, con i due governi guidati da Mart Laar (1992-1994; 1999-2002), i cui capisaldi si basavano su una vera inversione di marcia rispetto al passato comunista. Laar, vincitore del Milton Friedman Prize nel 2006, è sempre stato affascinato dalle teorie economiche liberali e da esse ha preso spunto per costruire una nuova Estonia. E quale miglior riferimento se non quello di Margaret Thatcher poteva ispirare un rinnovamento culturale all’insegna dell’apertura verso l’Occidente?

Nel 1994, fu proprio lei a congratularsi con Laar per il grande lavoro che stava svolgendo nel privatizzare, ridurre l’inflazione e la tassazione, nonché il perimetro dello Stato nel suo complesso: 

“Asked recently what kind of Estonia you were seeking to create, you said you favoured an open society based on a market economy, one which was part of Europe and integrated into its defence and market structures. If I may say so Prime Minister, you sound like my kind of European. Welcome”. 

Come molti altri Stati tramortiti da decenni di comunismo, l’Estonia desiderava entrare a tutti gli effetti nell’universo occidentale: nel 2004 diventò infatti membro Ue e Nato. Trent’anni fa, pochi avrebbero immaginato che una delle terre più thatcheriane al di fuori del Regno Unito sarebbe stata una nazione dell’Est europeo. L’influenza della Signora di ferro su quei Paesi è stata infatti fortissima. E a dire il vero è molto comprensibile, data la condizione nella quale realtà orientali come l’Estonia si sono trovate per molto tempo. La Thatcher era, con Reagan, colei che aveva contribuito al processo di liberazione di quei territori dal peso opprimente dell’orso sovietico.   

Il momento di transizione che ha condotto l’Estonia verso il libero mercato è stato drammatico, come del resto in gran parte dei Paesi limitrofi. Ma nel giro di qualche anno, grazie a riforme lungimiranti, cominciò una fase di espansione economica strabiliante.                                                                   

Attualmente, l’Estonia si trova al settimo posto nella classifica mondiale della libertà economica (2022 Index of Economic Freedom), alla luce di una performance migliore di Regno Unito, Stati Uniti e Paesi scandinavi. Nella stessa classifica, risulta quarta tra le nazioni del continente e terza fra i membri Ue. È uno dei pochi Paesi europei ad aver adottato un sistema di tassazione proporzionale e non progressivo, con un’infrastruttura economica quasi interamente in mani private, un tasso di corruzione tra i più bassi e una facilità disarmante con la quale si possono intraprendere attività imprenditoriali e attirare aziende straniere.

L’attuale aliquota sui redditi e sulle imprese è una flat tax del 20 per cento, per un overall tax burden del 33.1 per cento (contro il 42.5 per cento dell’Italia). Il sistema proporzionale, denigrato da gran parte della vulgata comune, è molto più equo di quello progressivo e favorisce una maggior crescita. Ognuno paga la stessa proporzione di tasse e i vituperati ricchi continuano comunque a pagare proporzionalmente di più. Ovviamente, la spesa pubblica estone è poco superiore al 40 per cento del Pil (contro il 51.4 per cento italiano) e il debito pubblico, pari al 18,5 per cento del Pil (il nostro è superiore al 150 per cento), è il più basso dell’Ue.

Questa piccola Repubblica baltica potrebbe dare lezioni di economia e di libertà a chi per decenni ha soffocato le sue aspirazioni, ma anche a chi, in Occidente, ha dimenticato il valore profondo di tale libertà, imponendo uno statalismo mentale, prima ancora che economico, capace di annichilire imprese e cittadini.

L’Estonia ci permette di fare due importanti considerazioni finali. Innanzitutto, che un’alternativa liberista è sempre possibile e ampiamente auspicabile e che, laddove si era abituati a vivere in assenza di libertà, questa diventa ancor più inestimabile. 

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